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Coltivazione stupefacenti: Cassazione annulla sentenza

La Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso di due fratelli condannati per la coltivazione stupefacenti, nello specifico 175 piante di canapa. La Corte ha ritenuto inammissibili quasi tutti i motivi di ricorso, confermando che la coltivazione su larga scala è un reato offensivo a prescindere dalla maturazione delle piante. Tuttavia, ha annullato la sentenza con rinvio perché i giudici d’appello non avevano motivato la loro decisione di negare la sospensione condizionale della pena, violando un obbligo di legge.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Coltivazione Stupefacenti: Obbligo di Motivazione sulla Sospensione della Pena

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 30180 del 2025, affronta un caso di coltivazione stupefacenti, ribadendo principi consolidati sulla configurabilità del reato ma, al contempo, censurando un vizio procedurale cruciale. La decisione sottolinea come, anche di fronte a un’evidente colpevolezza, il rispetto delle garanzie processuali, come l’obbligo di motivazione del giudice, rimanga un pilastro fondamentale del nostro ordinamento. Analizziamo la vicenda e le conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti del Processo

Due fratelli venivano condannati in primo e secondo grado alla pena di due anni di reclusione e 8.000 euro di multa. L’accusa era quella di aver coltivato illecitamente, in concorso tra loro, 175 piante di canapa indiana di altezza variabile tra 30 e 120 cm. Secondo i giudici di merito, la piantagione era destinata alla produzione di marijuana per uso non personale, data la quantità di piante e il principio attivo riscontrato, pari a 32,6 grammi, sufficiente per confezionare 1340 dosi medie singole.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa degli imputati ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi, tra cui:

1. Vizi di motivazione: Contestazione della valutazione delle prove, ritenute congetturali e basate su presunzioni.
2. Erronea applicazione della legge penale: Si sosteneva che non fosse stata provata l’effettiva idoneità delle piante a produrre un effetto drogante, data l’assenza di infiorescenze e di sistemi avanzati di coltivazione.
3. Mancato riconoscimento di attenuanti: La difesa lamentava il mancato riconoscimento dell’ipotesi di lieve entità (art. 73, comma 5) e delle attenuanti generiche (art. 62-bis c.p.).
4. Omessa motivazione sulla sospensione condizionale: Il punto cruciale del ricorso era la totale assenza di motivazione da parte della Corte d’Appello riguardo al diniego della sospensione condizionale della pena, esplicitamente richiesta dalla difesa.

La Posizione della Cassazione sulla Coltivazione Stupefacenti

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili quasi tutti i motivi di ricorso. Ha ribadito, citando un importante pronunciamento delle Sezioni Unite (sent. n. 12348/2019), che ai fini della punibilità della coltivazione stupefacenti, è sufficiente che la pianta sia conforme al tipo botanico previsto e sia idonea, anche solo potenzialmente, a giungere a maturazione e a produrre sostanza drogante. L’offensività del reato non è esclusa dalla mancanza di un principio attivo immediatamente ricavabile.

Inoltre, la Corte ha escluso sia l’ipotesi della particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) sia quella della minore gravità (art. 73, comma 5), data l’ingente quantità di piante (175) e il numero di dosi ricavabili. Questi elementi, secondo i giudici, delineano una condotta di notevole gravità, incompatibile con qualsiasi beneficio di questo tipo.

Le Motivazioni della Decisione

Nonostante la conferma della colpevolezza, la Cassazione ha accolto l’ultimo motivo di ricorso. La Corte d’Appello, nel confermare la condanna, aveva completamente omesso di rispondere alla richiesta della difesa di concedere la sospensione condizionale della pena. Questo silenzio costituisce un vizio di motivazione che viola l’art. 163 del codice penale e i principi generali del giusto processo.

Il giudice ha sempre l’obbligo di motivare le proprie decisioni, specialmente quando nega un beneficio richiesto dall’imputato. Non è sufficiente che la decisione sia implicita; deve essere esplicitata, permettendo così all’imputato di comprendere le ragioni del diniego e, eventualmente, di contestarle. Per questa specifica ragione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata, ma solo limitatamente a questo punto.

Conclusioni

La sentenza in esame è emblematica: da un lato, conferma un orientamento rigoroso in materia di coltivazione stupefacenti, considerata reato anche in assenza di un prodotto finito e maturo; dall’altro, riafferma un principio di garanzia fondamentale. La colpevolezza per un reato non esime il giudice dal dovere di fornire una motivazione completa su ogni aspetto della sentenza, inclusa la concessione o il diniego dei benefici di legge. Il caso è stato quindi rinviato a un’altra sezione della Corte d’Appello, che dovrà riesaminare la questione e fornire una motivazione esplicita sulla richiesta di sospensione condizionale della pena.

Quando la coltivazione di canapa è reato, anche se le piante non sono mature?
Secondo la Cassazione, la coltivazione non autorizzata di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti è reato indipendentemente dal grado di maturazione. È sufficiente che la pianta appartenga al tipo botanico vietato e abbia l’attitudine, anche solo potenziale, a produrre principio attivo.

Perché la coltivazione di 175 piante non è stata considerata di ‘lieve entità’?
La Corte ha ritenuto che l’entità della piantagione (175 piante) e la quantità di principio attivo potenzialmente ricavabile (pari a 1340 dosi medie singole) fossero elementi tali da escludere sia la particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) sia l’attenuante della minore gravità (art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990).

Cosa succede se un giudice non motiva il diniego di un beneficio come la sospensione condizionale della pena?
L’omessa motivazione su una richiesta specifica della difesa, come quella relativa alla sospensione condizionale della pena, costituisce un vizio della sentenza. Ciò comporta l’annullamento della decisione su quel punto, con rinvio a un altro giudice che dovrà riesaminare la richiesta e fornire una motivazione adeguata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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