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Coltivazione marijuana: quando è reato? La Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per la coltivazione di tre piante di marijuana. La Corte ha stabilito che l’elevato numero di dosi ricavabili (195) esclude la destinazione a un uso puramente personale e impedisce l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, confermando la decisione dei giudici di merito.

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Pubblicato il 17 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Coltivazione Marijuana: La Cassazione Chiarisce i Limiti tra Uso Personale e Reato

La coltivazione marijuana per uso personale è un tema ricorrente e complesso nel panorama giuridico italiano. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a fare luce sui criteri utilizzati per distinguere una condotta penalmente irrilevante da un reato. Il caso in esame riguarda un imputato condannato per aver coltivato tre piante di cannabis, da cui era possibile ricavare un numero cospicuo di dosi. Analizziamo la decisione della Suprema Corte e le sue implicazioni.

I Fatti del Caso

L’imputato era stato ritenuto responsabile, sia in primo grado che in appello, del reato previsto dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/90 (Testo Unico Stupefacenti). La contestazione riguardava la coltivazione di tre piante di marijuana. Dalle analisi tecniche era emerso che dalle piante era estraibile una quantità di sostanza stupefacente contenente un principio attivo sufficiente a confezionare ben 195 dosi medie singole.

Contro la sentenza della Corte d’Appello, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione, basando le proprie argomentazioni su due punti principali.

I Motivi del Ricorso

La difesa ha lamentato principalmente due violazioni:
1. Erronea applicazione della legge e vizio di motivazione: Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe sbagliato nel non riconoscere che la coltivazione fosse destinata a un uso esclusivamente personale, data l’esiguità del numero di piante.
2. Violazione dell’art. 131-bis del codice penale: Si sosteneva che, anche qualora la condotta fosse stata ritenuta reato, avrebbe dovuto essere considerata di ‘particolare tenuità’, e quindi non punibile.

La Coltivazione Marijuana e l’Uso Personale: Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile, confermando la solidità dell’impianto argomentativo della sentenza impugnata. Riguardo alla prima doglianza, la Suprema Corte ha sottolineato che i rilievi difensivi erano ‘palesemente versati in fatto’. In altre parole, la difesa cercava di ottenere una nuova e diversa valutazione delle prove, un’operazione che non è consentita nel giudizio di legittimità.

La Corte ha evidenziato come la motivazione della Corte d’Appello fosse logica e coerente. I giudici di merito avevano correttamente valorizzato il dato oggettivo del numero cospicuo di dosi ricavabili (195) per concludere che la destinazione della sostanza non poteva essere considerata esclusivamente personale. Questo elemento, secondo la Corte, è un indicatore cruciale che sposta l’ago della bilancia dalla coltivazione marijuana per consumo proprio a una condotta penalmente rilevante.

L’Esclusione della Particolare Tenuità del Fatto: Le Motivazioni

Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla violazione dell’art. 131-bis c.p., è stato respinto. La Cassazione ha giudicato immune da censure la decisione della Corte d’Appello di non applicare la causa di non punibilità.

Facendo ‘buon governo dell’istituto’, i giudici di merito avevano escluso la particolare tenuità del fatto sulla base di una valutazione complessiva che teneva conto sia del ‘disvalore oggettivo della condotta’ (legato alla quantità di principio attivo) sia dell’ ‘intensità del dolo’ riscontrato. La motivazione è stata ritenuta immune da incongruenze logiche e coerente con le risultanze processuali.

Le Conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: nella valutazione del reato di coltivazione marijuana, il numero di piante non è l’unico elemento da considerare. Il potenziale quantitativo di dosi che se ne possono ricavare è un fattore determinante per stabilire se la destinazione sia o meno esclusivamente personale. Un numero elevato di dosi, come nel caso di specie, è sufficiente a fondare una condanna e a escludere l’applicazione di istituti di favore come la non punibilità per particolare tenuità del fatto. La decisione finale è stata quindi la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

La coltivazione di poche piante di marijuana è sempre considerata per uso personale?
No. Secondo la Corte, il numero di dosi ricavabili è un fattore decisivo. In questo caso, 3 piante da cui si potevano estrarre 195 dosi medie sono state considerate indicative di una destinazione non esclusivamente personale.

Quando si può applicare la causa di non punibilità per ‘particolare tenuità del fatto’ alla coltivazione di stupefacenti?
La sua applicazione viene esclusa quando il disvalore oggettivo della condotta e l’intensità del dolo non sono minimi. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la quantità di principio attivo ricavabile e le circostanze del fatto non consentissero di qualificare l’offesa come di speciale tenuità.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare i fatti di un processo?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che il suo ruolo è quello di giudice di legittimità, che valuta la corretta applicazione della legge, non di merito. Non può effettuare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella, logicamente motivata, dei giudici dei gradi precedenti. I motivi di ricorso che contestano la valutazione dei fatti sono considerati inammissibili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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