Coltivazione Illecita: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito i confini del proprio giudizio, dichiarando inammissibile un ricorso avverso una condanna per coltivazione illecita su vasta scala. Questa decisione offre spunti importanti sui limiti dei motivi di ricorso e sulla distinzione tra questioni di fatto e di diritto.
I Fatti del Caso: Una Piantagione di Vaste Dimensioni
Il caso trae origine da una condanna emessa dalla Corte d’Appello nei confronti di un individuo, ritenuto responsabile del reato previsto dall’art. 73, comma 4, del d.P.R. 309/1990. La condanna, a tre anni di reclusione e 8.000 euro di multa, era legata alla scoperta di una imponente piantagione illegale.
Nello specifico, le forze dell’ordine avevano rinvenuto ben 7.015 piante di marijuana in pieno sviluppo, coltivate all’interno di ventisei serre. Le serre erano situate su un fondo che, secondo i giudici di merito, era gestito dall’imputato, il quale fu peraltro sorpreso sul posto durante la perquisizione.
I Motivi del Ricorso e la questione della coltivazione illecita
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Vizio di motivazione: si contestava il modo in cui i giudici avevano accertato la sua responsabilità nella condotta di coltivazione.
2. Violazione di legge: si metteva in discussione la corretta configurazione giuridica del reato.
3. Violazione del principio di colpevolezza: si sosteneva che la condanna non fosse supportata da prove sufficienti a superare ogni ragionevole dubbio.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha respinto integralmente il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del giudizio di legittimità: la Cassazione non è un “terzo grado” di giudizio dove si possono rivalutare i fatti, ma un organo che verifica la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione.
Le Motivazioni della Inammissibilità
I giudici hanno spiegato che i motivi presentati dal ricorrente non erano ammissibili. Essi si configuravano come semplici “doglianze in punto di fatto”, ovvero critiche alla ricostruzione dei fatti già operata dalla Corte d’Appello. Il ricorso, infatti, si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già esaminate e respinte nei gradi di merito, senza sollevare specifiche critiche giuridiche alla sentenza impugnata.
Inoltre, il ricorrente non ha evidenziato alcun “travisamento della prova”, cioè un errore palese e decisivo nella lettura degli atti processuali. Al contrario, la sentenza d’appello aveva spiegato in modo puntuale e dettagliato perché l’attività di coltivazione illecita fosse direttamente riconducibile all’imputato, basandosi su elementi concreti come la gestione del fondo e la sua presenza al momento del blitz.
Tentare di offrire una “lettura alternativa” delle prove in sede di Cassazione è un’operazione non consentita, poiché invaderebbe la sfera di valutazione riservata esclusivamente ai giudici di merito.
Le Conclusioni
L’ordinanza conferma un orientamento consolidato: per avere successo in Cassazione, un ricorso non può limitarsi a contestare la valutazione dei fatti compiuta dai giudici precedenti. È necessario, invece, individuare e argomentare precisi vizi di legittimità, come l’errata applicazione di una norma di legge o una motivazione manifestamente illogica, contraddittoria o assente. In mancanza di tali elementi, come nel caso di specie, il ricorso è destinato all’inammissibilità, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione a favore della Cassa delle Ammende.
Per quale motivo principale il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano mere contestazioni sui fatti (doglianze in punto di fatto) e non vizi di legittimità. Il ricorrente cercava una rivalutazione delle prove, attività preclusa alla Corte di Cassazione.
Quali erano i fatti che hanno portato alla condanna per coltivazione illecita?
La condanna si basava sulla scoperta di 7.015 piante di marijuana in pieno sviluppo, coltivate in ventisei serre situate su un fondo gestito dall’imputato. Quest’ultimo è stato inoltre sorpreso sul luogo dalla polizia giudiziaria durante la perquisizione.
Quali sono le conseguenze per il ricorrente a seguito della dichiarazione di inammissibilità?
Oltre alla conferma della condanna a tre anni di reclusione e 8.000 euro di multa, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5936 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5936 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a LICATA il 25/12/1963
avverso la sentenza del 29/04/2024 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che NOMECOGNOME condannato per il reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990 alla pena di tre anni di reclusione e di 8.000,00 euro di multa, articolan tre motivi di ricorso, deduce vizio di motivazione con riguardo all’accertamento della condotta d coltivazione illecita a suo carico (primo motivo), violazione di legge in riferimento configurabilità del reato (secondo motivo), nonché violazione di legge relativamente all’applicazione del principio della colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio (terzo motiv
Considerato che i tre motivi espongono censure non consentite dalla legge in sede di legittimità poiché le stesse sono costituite da mere doglianze in punto di fatto riproduttiv deduzioni già adeguatamente vagliate e disattese con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito non scanditi da specifica critica con il ricorso, ed inoltre sono volte a prefigurare rivalutazione e/o alternativa rilettura delle fonti probatorie, ed avulse da pertin individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merit posto che la sentenza impugnata ha spiegato in modo puntuale, e all’esito di una dettagliata analisi delle risultanze istruttorie, perché l’attività di coltivazione è riferibile all’imputato d’appello rappresenta, in particolare, che la coltivazione aveva ad oggetto 7.015 piantine d marijuana in fase di pieno sviluppo, ubicate all’interno di ventisei serre impiantate in un fon gestito dall’imputato a mezzo di un cittadino extra-comunitario e di altra persona saltuariamente coinvolta, e sul quale il medesimo imputato è stato colto dalla polizia giudiziaria all’atto perquisizione);
Ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, sussistendo profili di colpa nella determinazione delle cause di inammissibilità;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2024.