Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 20375 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 20375 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 10/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a GRAGNANO il 29/10/1983
avverso la sentenza del 17/09/2024 della Corte d’appello di Salerno
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Procuratore generale che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, con conseguenti statuizioni ai sensi dell’art. 616 cpp;
udito il difensore dell’imputato, Avvocato COGNOME Francesco COGNOME=F=caza=G11~, il quale ha illustrato i motivi del ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’Appello di Salerno, con sentenza emessa il 17 settembre 2024, ha confermato la decisione del Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Salerno, che i data 25 ottobre 2023, a seguito di giudizio abbreviato, aveva riconosciuto COGNOME NOME colpevole del delitto di cui agli artt. 110 e 73, comma 4, e 80, comma 2, del d.P.R. 309/1990, condannandolo alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed euro 6.000,00 di multa.
Al COGNOME era stata contestata la coltivazione illecita, in concorso con altri soggetti confronti dei quali si è proceduto separatamente), di una piantagione di marijuana, costitu da 2.615 piante e 455 arbusti di foglie e infiorescenze già essiccate, capovolte al di sotto d neri e pronte per l’imbustamento, per un peso complessivo totale di 16,64 kg, da cui sarebbe stato possibile ricavare 665.600 dosi medie droganti.
In breve, il fatto per una migliore illustrazione dei motivi di ricorso.
In data 24 luglio 2021, la Polizia Municipale di Capaccio, a seguito di sopralluogo effettu nel fondo sito in Capaccio Paestum, località INDIRIZZO, alla INDIRIZZO procedeva al sequestro della piantagione e degli arbusti già essiccati.
Le analisi quali-quantitative effettuate sui vegetali caduti in sequestro presso i labor LLAS dei Carabinieri di Salerno accertavano che dalla piantagione erano ricavabili 232 kg di materiale vegetale secco, 11,46 kg di principio attivo puro (THC) pari a 458.600 dosi medie singole droganti, mentre dagli arbusti posti ad essiccare erano ricavabili 57 kg di materi vegetale secco, 5,18 kg di principio attivo puro e 207.200 dosi medie singole.
Dalle indagini emergeva che il fondo era di proprietà di NOMECOGNOME concesso in locazione al COGNOME in forza di contratto registrato in data 9 agosto 2019 presso l’Uffi dell’Agenzia delle Entrate di Eboli.
Sottoposto a interrogatorio in data 17 gennaio 2023, il COGNOME riferiva di aver concesso fondo di sua proprietà al Coppola e che era intenzione di quest’ultimo impiantarvi un coltivazione di piante medicinali, che aveva poi allestito, recintando il perimetro con teli modo da occultare alla vista la tipologia di piante coltivate.
Il COGNOME dichiarava inoltre che il COGNOME aveva versato interamente il canone di locazione pattuito in C 5.000 mensili, solo in riferimento alla prima annualità, mentre nel 2020 non aveva corrisposto nulla e nel 2021 gli aveva pagato la somma di C 1.000 in due distinte tranches; aggiungeva che, il COGNOME per la gestione della piantagione si era avvalso dell collaborazione dei suoi ex dipendenti COGNOME e COGNOME,.
Questi ultimi, sottoposti a interrogatorio in data 3 maggio 2023, confermavano di aver conosciuto il COGNOME per il tramite del COGNOME e di aver estirpato, su richiesta del prim erbacce dalla coltivazione.
Il COGNOME riferiva che il giorno stesso del sequestro era stato contattato dal COGNOME, gli aveva chiesto se avesse terminato il lavoro e gli aveva comunicato che le piante erano stat estirpate dalla Polizia Municipale; da quel giorno non lo aveva più sentito.
La COGNOME riferiva che in un paio di occasioni, mentre si recava al lavoro alle 6.00 d mattino, aveva visto il COGNOME lasciare il fondo in compagnia di un ragazzo.
Dall’analisi dei tabulati telefonici emergeva che le utenze intestate al COGNOME, al COGNOME alla COGNOME avevano avuto contatti con l’utenza n. 3511551700, intestata a COGNOME Mca, soggetto straniero in relazione al quale non si rilevavano dati reddituali e patrimoniali, tale utenza era utilizzata quasi esclusivamente per contattare i tre predetti soggetti.
L’esame dei tabulati rivelava che in data 24 luglio 2021, giorno del sequestro, tale uten si localizzava a Crosia (CS), luogo in cui, dagli accertamenti effettuati dalla polizia giudizi COGNOME si trovava in vacanza con la famiglia e anche l’utenza a lui formalmente intestata er localizzata, in quel giorno, in quello stesso territorio.
L’utenza “dedicata”, inoltre, risultava prevalentemente spenta, venendo accesa solo all’occorrenza per le comunicazioni relative alla gestione della piantagione; d’altro canto, qu personale del COGNOME non aveva mai agganciato le celle del Comune di Capaccio, a dimostrazione della scaltrezza dell’imputato, che nelle trasferte in quel Comune si premurava di tenerla spenta.
Il GUP del Tribunale di Salerno, riteneva dimostrato che il COGNOME, conduttore del fondo fosse il gestore della coltivazione di marijuana ivi allestita, e lo dichiarava responsabi reato ascrittogli, riconoscendo la ricorrenza della circostanza aggravante di cui all’art. 8 d.P.R. 309/1990, considerato il numero rilevante delle dosi medie droganti ricavabili (665.600) e lo condannava alla pena sopra indicata.
Avverso tale decisione proponeva appello il COGNOME chiedendo l’assoluzione per non aver commesso il fatto e lamentando l’omessa considerazione, da parte del giudice di primo grado, di una memoria difensiva ritualmente depositata in data 10 maggio 2023 e riproposta, con i relativi allegati, dinanzi al GUP in sede di discussione.
La Corte d’Appello di Salerno respingeva il gravame ritenendo che le deduzioni difensive fossero infondate, in quanto l’analisi organica del quadro istruttorio induceva a rite sussistente una pluralità di indizi gravi, precisi e concordanti idonei a dimostrare, al d ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità dell’imputato.
COGNOME NOMECOGNOME a mezzo del suo difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidandolo ai seguenti motivi.
2.1 Con il primo motivo, deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonché vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta sussistenza della penale responsabili La sentenza impugnata avrebbe fondato il giudizio di responsabilità su un ragionamento
abduttivo, strutturato secondo un’inferenza retrospettiva, in base alla quale, pres considerazione un determinato evento, se ne ricostruisce a ritroso la possibile causa, secondo un metodo che, nel procedimento penale, costringe a risalire dalla traccia alla causa in termi di almeno tendenziale sicurezza, con un rischio di errore assai elevato.
Si lamenta, in particolare, la carenza della valutazione della memoria difensiva depositat fin dal 10 maggio 2023, riproposta in sede di discussione innanzi al GUP in data 25 ottobre 2023, di cui non vi è menzione nella sentenza di primo grado, né comunque adeguatamente considerata in quella impugnata.
Nel merito, si deduce che, pur essendo vero che il RAGIONE_SOCIALE aveva preso in locazione il fondo di proprietà del Raimo in data 1 marzo 2019, egli aveva comunicato la volontà di recedere dal contratto con lettera raccomandata A/R del 15 ottobre 2019, volontà già più volte manifestata verbalmente, e a maggio del 2020 lo stesso Raimo aveva fittato il medesimo fondo alla società “RAGIONE_SOCIALE” . La sentenza impugnata ha superato tale circostanza mettendo a “paradigma interpretativo” delle risultanze processuali le dichiarazioni del COGNOME senza fornire adeguata motivazione in ordine al maggior spessore attribuito alle dichiarazio dei coimputati rispetto alla ricostruzione difensiva, essendo incomprensibile per quale ragione COGNOME, non avendo ricevuto – a suo dire – notizia della volontà di recesso del COGNOME, avesse poi concesso il fondo in fitto alla predetta società, seppur per ragioni fittizie.
Si deduce inoltre che il COGNOME e la COGNOME, sin dal principio del procedimento, no avevano mai riferito in ordine ad un soggetto affittuario del terreno o fornito elementi riconducessero all’identificazione del COGNOME, dichiarando di interfacciarsi per le incomben lavorative direttamente con il COGNOME, e avevano iniziato a proferire il nome “COGNOME NOME” solo allorquando lo avevano letto sull’atto “informazione di garanzia e contestuale invito a presentarsi per rendere interrogatorio” loro notificato in data 11 gennaio 2023 contestano quindi le valutazioni espresse dalla Corte d’appello in ordine alla credibilit COGNOME e della COGNOME e all’interpretazione delle loro conversazioni intercetta evidenziando che essi parlavano anche di una tale “COGNOME“, su cui non vi sono sta approfondimenti investigativi.
Si lamenta poi l’erronea valutazione operata dalla Corte territoriale in ordine dichiarazioni rese dal Capitano COGNOME che aveva riferito circostanze prive di riscon probabilmente frutto di una personale “suggestione”.
Quanto alla coincidenza della localizzazione a Crosia dell’utenza telefonica dedicata e quella formalmente intestata al COGNOME, si evidenzia che la valutazione della Corte è frutto forzature, trattandosi di località balneare che nel periodo estivo si popola di turisti prov da ogni dove, e che in quel periodo in quella stessa zona vi erano anche altri familiari COGNOME, come ad esempio il suocero, anch’egli da sempre residente nel comune di Scafati.
Si deduce altresì che entrambe le Citroen C3 riconducibili al Coppola non sono mai state di colore grigio, come erroneamente riportato dalla Corte d’appello, ma rispettivamente di color nero e celeste.
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2.2 Con il secondo motivo si deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonché vizio di motivazione, in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
Si evidenzia inoltre che il COGNOME non si è mai sottratto alle attività di indagine Autorità procedenti ed è stato sempre reperibile e disponibile anche a perquisizioni domicilia che, sia pur gravato da precedenti penali, ha sempre lavorato ed anche nell’anno 2019 aveva un lavoro stabile; che, come risulta dalla nota dei Carabinieri della Tenenza di Scafati del ottobre 2021, «non si rilevano atti da poter ritenere che il medesimo abbia attuali collegamen con associazioni criminali, nonché attuali rapporti di frequentazioni con soggetti appartenen alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva».
Si deduce altresì che il COGNOME non è collegato ad alcun sodalizio criminale; non è gravato da precedenti penali recenti, ma solo risalenti nel tempo; ha espiato tutte le pene pregres senza mai violarne l’esecuzione; tutte le sue pregresse pene sono state dichiarate estinte co esito positivo dell’affidamento in prova.
Sulla base di tali argomentazioni, si lamenta l’illegittimità della motivazione con cui è negata la concessione delle circostanze attenuanti generiche, deducendo che il giudice di primo grado si sia limitato a motivare genericamente il mancato riconoscimento delle stesse, senza dar conto di alcun parametro di cui all’art. 133 cod. pen., mentre la Corte di appello confermato e richiamato fatti risalenti nel tempo (anno 2007) e condanne estinte per concordare su un giudizio di indole delinquenziale irriducibile a metà fra il prognostico probatorio.
Si ribadisce che le attenuanti generiche attengono alla determinazione della pena al fine d un più congruo adeguamento della stessa al caso concreto, in relazione a non preventivabili situazioni che incidono sull’apprezzamento della gravità del reato e della capacità a delinquer dell’imputato, e vanno intese come riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 c.p. e c presentano connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particol considerazione ai fini della quantificazione della pena.
Si deduce che la concessione delle attenuanti generiche non implica necessariamente un giudizio di non gravità del fatto-reato, potendo giustificare un’ulteriore riduzione della anche in relazione a fatti-reato di rilevante gravità, e che la concretezza della vicenda rich un intervento correttivo del giudice che renda la pena rispettosa del principio di ragionevolez (art. 3 Cost.) e della finalità rieducativa (art. 27, comma 3, Cost.), di cui la “con costituisce elemento essenziale.
Si eccepisce altresì l’erronea interpretazione dell’art. 73 TU 309/90, evidenziando che l nozione di “coltivazione” comprende tutte le operazioni che vanno dalla preparazione del terreno alla raccolta del prodotto”.
Al riguardo, si deduce che dagli atti di indagine non sono emersi elementi tali da ritenere che l’imputato avesse a disposizione un proprio apparato, né risorse umane e
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strumentali tali da smerciare e stoccare grossi quantitativi di droga. Non sono emers collegamenti o contatti con più soggetti in luoghi diversi, né l’imputato è riconducibile ad sodalizio criminale o clan camorristico, né a lui sono riconducibili conti correnti con somm denaro a disposizione od altri beni strumentali; non sono state rinvenute e quindi sequestrat somme ingenti di denaro contante o sostanze stupefacenti della stessa specie e qualità di quelle cadute in sequestro; non vi sono elementi di riscontro ulteriori, come ad esempi intercettazioni telefoniche o ambientali, né vi sono fonoregistrazioni di conversazioni indiz in cui vi sia riscontro di un coinvolgimento diretto e concreto del COGNOME.
Il Procuratore Generale ha depositato memoria, concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi sopra illustrati appaiono inammissibili per le seguenti ragioni.
In via preliminare, con riferimento alla dedotta omessa valutazione della memoria difensiva depositata il 10 maggio 2023 e riproposta in sede di discussione dinanzi al GUP, i Collegio rileva che tale censura è manifestamente infondata.
Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, accreditato dalle pronunce delle Sezioni Unite (Sez. U. n. 42363 del 2006, Rv. 234916; Sez. U. n. 3287 del 2009, Rv. 244118), la mancanza assoluta di motivazione non rientra tra i casi tassativamente previsti dall’art. cod. proc. pen. per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza app e trasmettere gli atti al giudice di primo grado. Il giudice di appello, invero, ben può dec nel merito e procedere addirittura alla redazione integrale di una motivazione mancante (Sez. U, n. 3287/2008, cit.).
Ciò in quanto, come opportunamente precisato dalla giurisprudenza, si pone una questione di possibile lesione dei diritti delle parti, ma trattasi di problema solo apparent caso di motivazione mancante, infatti, non si privano le parti di un grado di giudizio, soltanto della giustificazione logica e giuridica della decisione. Posto che il giudice di grado ha emesso la sentenza e, quindi, ha preso la sua decisione, le parti hanno goduto di due gradi di merito, anche se in primo grado è mancata la motivazione. Si è altresì trat argomento, a sostegno della richiamata tesi, dalla considerazione che, in ipotesi di ricorso per saltum, all’annullamento della sentenza per mancanza assoluta di motivazione non segue il rinvio al giudice di primo grado ma al giudice di appello, che ha il dovere di rediger motivazione, non rientrando tale caso tra quelli tassativamente previsti dall’art. 604, comma cod. proc. penna. (Sez. 5, n. 43170 del 25/09/2012, Rv. 254131; Sez. 6, n. 43973 del 01/10/2013, Rv. 256923; Sez. 6, n. 24059 del 14/05/2014, Rv. 259979).
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha sanato tale deficit argomentativo, evidenziando a pag. 5 della sentenza impugnata le deduzioni difensive contenute nella predetta memoria e
rispondendo puntualmente alle stesse con argomentazioni esaurienti e logicamente ineccepibili.
Quanto al nucleo centrale della doglianza, incentrato sulla affermazione d responsabilità, il Collegio ritiene che la censura sia manifestamente priva di fondamento.
Il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla co strutturale della decisione, di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento del decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione de fatti (ex plurimis, Sez. 3, n. 12110 del 19/03/2009; Sez. 3, n. 23528 del 06/06/2006).
La giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente affermato che l’illogicità d motivazione, per essere apprezzabile quale vizio denunciabile in sede di legittimità, dev essere manifesta, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocull, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza. Restano, pert ininfluenti le minime incongruenze e si considerano disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. 3, n. 35397 del 20/06/2007; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
È stato altresì ribadito come, ai sensi di quanto disposto dall’art. 606, comma 1, lett. cod. proc. pen., il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzi fatti né all’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione del ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difett contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 21644 d 13/02/2013, COGNOME e altri, Rv. 255542).
FU Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, la censura proposta dal ricorrente si pales inammissibile.
La sentenza impugnata ha esaminato e confutato analiticamente le doglianze difensive, anche quelle contenute nella memoria, con una motivazione immune da vizi logici.
Con la sentenza impugnata, la Corte territoriale ha ritenuto sussistente, attraverso u attenta ricostruzione della vicenda processuale, una pluralità di indizi gravi, prec concordanti idonei a dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilit dell’imputato.
In particolare, il giudice di appello ha valorizzato il contratto di locazione del sottoscritto dal COGNOME (circostanza pacifica e non contestata), sul quale è stata realizzat piantagione di stupefacente.
Sono state poste in evidenza le dichiarazioni rese dal COGNOME, dal COGNOME e dalla COGNOME, che hanno individuato nel COGNOME il conduttore del terreno e la persona che gestiva la piantagione, recandosi sui luoghi deputati alla coltivazione.
Al riguardo, si rammenta che, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, la chiamata in correità (o in reità), come è noto, deve essere vagliata sotto tre distinti prof la credibilità del dichiarante, desunta dalla sua personalità, dalle sue condizioni s economiche e familiari, dal suo passato, dai rapporti col chiamato, dalla genesi remota prossima delle ragioni che lo hanno indotto all’accusa nei confronti del chiamato; l’attendibilità intrinseca della chiamata, in base ai criteri della precisione, della coerenz costanza, della spontaneità; c) la verifica esterna dell’attendibilità della dichiara attraverso l’esame di elementi estrinseci di riscontro alla stessa (Sez. U, n. 45276 30/10/2003, COGNOME e altro, Rv. 226094; Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, dep. 22/02/1993, COGNOME, Rv. 192465).
Occorre aggiungere, in linea con quanto opportunamente precisato dalla successiva giurisprudenza di questa Corte, che la detta sequenza non deve essere – per così dire rigorosamente rigida, nel senso che il percorso valutativo dei vari passaggi non deve muoversi lungo linee separate.
In particolare, la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva racconto, influenzandosi reciprocamente, al pari di quanto accade per ogni altra prova dichiarativa, devono essere valutate unitariamente, «discendendo ciò dai generali criter epistemologici e non indicando l’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., sotto tale profilo, alc specifica regola derogatoria» (Sez. 1, n. 19759 del 17/05/2011, COGNOME, n. m. sul punto; Sez 6, n. 11599 del 13/03/2007, COGNOME, Rv. 236151).
In sostanza, devono essere superate eventuali riserve circa l’attendibilità del narra vagliandone la valenza probatoria anche alla luce di tutti gli altri elementi di informa legittimamente acquisiti.
La giurisprudenza di questa Corte ha inoltre da tempo chiarito che la chiamata in correit deve presentare, quanto meno sul piano dell’attendibilità intrinseca (a tacere per il momento quella estrinseca, risultante dai riscontri esterni), i requisiti della spontaneit verosimiglianza, della completezza, della costanza e della coerenza del racconto. In particolare è essenziale ai fini della valutazione dell’attendibilità intrinseca della chiamata, che il verifichi preliminarmente che la dichiarazione accusatoria non sia fondata su motivi di rancor di vendetta o di altra ragione di contrasto personale esistente tra accusato ed accusatore, ch l’accusa non sia auto interessata, ossia effettuata dal chiamante per conseguire vantaggi, che essa non sia finalizzata a compiacere gli inquirenti, ossia non sia il frutto di suggesti condizionamenti (Sez. 2, n. 7884 del 12/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 276033; Sez. 2, n. 33982 del 24/06/2014, COGNOME, Rv. 260147).
Quanto al requisito dei riscontri esterni, deve essere ribadito il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui gli “altri element
prova” che, ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., devono confermare l’attendibili delle dichiarazioni del chiamante in correità non devono necessariamente consistere in autonome prove della colpevolezza, ben potendo trattarsi di elementi di qualsiasi tipo e natur che, pur non essendo essi stessi dotati dei requisiti necessari per assurgere al rango autonoma prova della responsabilità, siano tuttavia idonei a fornire garanzie obiettive ci l’effettiva esistenza del fatto e la riferibilità di esso all’imputato. In definitiva, l dell’attendibilità può avere ad oggetto anche una parte soltanto della dichiarazione stess purché sia riguardo a circostanze che, per la loro natura e per il loro carattere obiett abbiano la capacità di rappresentare la conferma dell’attendibilità della dichiarazione nel s complesso (Sez. 1, n. 27996 del 08/06/2007, Contrada, Rv. 237251).
Si è pure affermato che anche l’intercettazione delle dichiarazioni di un indagato o imputato in procedimento connesso può costituire valido riscontro alla chiamata in correità effettuata dallo stesso, ove non sussistano elementi per ritenere c egli fosse consapevole della captazione (Sez. 5, sent. n. 27055 del 24/05/2021 – Rv. 281541 01.)
A tali principi si è attenuta la Corte territoriale, procedendo a una minuziosa valutazi dell’attendibilità del narrato, vagliandone la valenza probatoria anche alla luce di tutti g elementi di informazione legittimamente acquisiti.
La genuinità della versione offerta in sede di interrogatorio da COGNOME e COGNOME è stata ricavata anche dal fatto che costoro, nel corso delle conversazioni intercettate, han descritto puntualmente il rapporto intercorso tra COGNOME e COGNOME negli stessi termini.
Inoltre, è stato evidenziato che le dichiarazioni eteroaccusatorie di COGNOME, COGNOME e COGNOME, che individuavano il COGNOME come il conduttore del fondo, hanno trovato solidi riscontri esterni individualizzanti nel contratto sottoscritto nel 2019 e registrato all’A delle Entrate con il quale l’imputato affittava il terreno sul quale sarebbe stata realizz piantagione; nelle conversazioni richiamate, nel corso delle quali COGNOME e COGNOME commentavano l’accaduto spontaneamente e senza sospettare di essere intercettati, facendo riferimento alla circostanza che, sin dal 2019 il COGNOME, per far fronte alle sue problemati finanziarie, aveva affittato il fondo al COGNOME, consentendo che sullo stesso fosse allestit piantagione di marijuana; nella circostanza che l’utenza dedicata alla gestione del coltivazione, che il COGNOME aveva tentato di contattare il giorno del sequestro, si trovasse ne stesso territorio ove era localizzata l’utenza formalmente intestata al COGNOME.
Le argomentazioni difensive, puntualmente confutate nella sentenza impugnata, non sono idonee a scalfire il solido impianto motivazionale della stessa.
In merito alla tesi secondo cui il COGNOME non sarebbe mai entrato nella disponibilità d bene e che il rapporto contrattuale con il COGNOME si sarebbe interrotto sin dal 2019, la Cor territoriale ha osservato che tale assunto non trova riscontro nelle emergenze processuali. Pu essendo stata prodotta una missiva con la quale il COGNOME comunicava la volontà di non rinnovare la locazione in corso, missiva che non risultava essere stata ritirata dal COGNOME m
restituita per compiuta giacenza, la circostanza che quella disdetta fosse stata comunicat oralmente era stata dedotta ma non provata dall’imputato. Le intercettazioni richiamate, invece, hanno confermato la versione resa dal COGNOME, secondo cui il rapporto si era protratto dal 2019 (allorquando fu avviata la coltivazione) al 2021 (data del sequestro).
Analogamente, la tesi secondo cui il fondo, a seguito del recesso, fosse passato nella disponibilità di un terzo soggetto (la “RAGIONE_SOCIALE“), è stata logicamente confut evidenziando che si trattava di società riconducibile al COGNOME, proprietario del fondo, che ave ceduto in fitto il ramo d’azienda che comprendeva quel terreno al solo fine di sottrarl pretese esecutive della banca con la quale era fortemente indebitato, versione peraltro pienamente riscontrata dalle conversazioni intercettate, oltre che dalla circostanza che il leg rappresentante della società fosse il figlio del COGNOME, studente universitario resident Lombardia.
Immune da censure risulta la valutazione in termini di mero riscontro, compiuta dall . Corte distrettuale, in ordine alla coincidenza della localizzazione nella stessa zona (Cro dell’utenza telefonica dedicata alla gestione della coltivazione, che il COGNOME aveva tentato contattare il giorno del sequestro, e di quella formalmente intestata al COGNOME.
Quanto al colore dell’auto con la quale il COGNOME si recava sui luoghi, logica appare motivazione nella parte in cui non è stata ritenuto circostanza dirimente, emergendo il s coinvolgimento del ricorrente nella vicenda da una serie di elementi univoci e convergenti ch non potevano essere smentiti da singole ed isolate incongruenze.
In definitiva, le censure formulate dal ricorrente si risolvono nel sollecitar rivalutazione del materiale probatorio già adeguatamente ponderato dai giudici di merito, attività preclusa in sede di legittimità, non ravvisandosi nella sentenza impugnata vizi log giuridici che ne inficino la validità.
Anche il secondo motivo, concernente l’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 8 comma 2, D.P.R. n. 309/1990 e la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, è infondato.
4.1 Secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex multis, Sez. 6, n. 1902 del 27/04/2006, Rv. 234502), l’aggravante prevista dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 8 comma 2, è configurabile anche con riguardo alle ipotesi di coltivazione non autorizzata piante dalle quali sia ricavabile sostanza stupefacente e va determinata in base agli ste criteri valevoli per le altre ipotesi di produzione o traffico illecito di cui all’ medesima legge, con la specificazione che il dato ponderale da prendere in considerazione è quello, virtuale, della quantità di stupefacente ricavabile dalla piantagione all’esito del su produttivo e tenuto conto del prevedibile sviluppo.
L’esatto ambito di applicazione del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 80, comma 2, stato oggetto di un’evoluzione giurisprudenziale, in ragione della sostanziale indeterminatezz del parametro legale “ingente quantità”, alla quale si è cercato di porre rimedio attrave
interpretazioni in grado di circoscrivere in ambiti definiti e riconoscibili l’est dell’enunciato normativo. Ciò ha determinato un contrasto di orientamenti in ordine a presupposti richiesti per la configurabilità dell’aggravante in questione, che è stato risolto Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 36258 pronunciata all’udienza del 24/05/2012 (dep. 20/09/2012, Rv. 253150), secondo cui l’aggravante della ingente quantità, di cui a D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, non è di norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2.000 volte il valore massimo, in milligrammi (valore-soglia), determinato per o sostanza nella tabella allegata al D.M. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezional valutazione del giudice di merito, quando tale quantità sia superata.
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto sussistente l’aggravan dell’ingente quantità, come già aveva fatto il giudice di primo grado.
Dalle analisi effettuate sui vegetali caduti in sequestro dal LLAS dei Carabinieri di Sale si accertava che dalla piantagione erano ricavabili 232 kg di materiale vegetale secco, 11,46 kg di principio attivo puro (THC) pari a 458.400 dosi medie singole droganti, mentre dagli arbus posti ad essiccare erano ricavabili 57 kg di materiale vegetale secco, 5,18 kg di principio at puro e 207.200 dosi medie singole. Trattandosi di una quantità di principio attivo pa rispettivamente, a 11,46 kg ed a 5,18 kg, l’aggravante poteva dirsi sussistente sulla base de criteri basati sul rapporto fra quantità di principio attivo e valore massimo tabellarm deducibile fissati dalla citata sentenza delle Sezioni Unite.
È evidente il superamento del limite di 2000 volte la soglia limite fissata dalle Sez Unite, sia che si voglia considerare come valore soglia quello di 500 mg di cui all’origin decreto ministeriale, sia che ci si voglia riferire a quello di 1000 mg di cui al D.M. 4 a 2006.
A fronte di un dato ponderale così significativo, la Corte territoriale ha correttame ritenuto l’elevatissima pericolosità di un simile quantitativo di droga ricavabile all’esito d produttivo delle piante e la sua idoneità a soddisfare un’ampia fetta del mercato illegale de stupefacenti, sottolineando la gravità del fatto, consistito nell’allestimento di una piantagi marijuana cui erano dedicate (almeno) due persone, previo affitto di un fondo e acquisto dell strumentazione necessaria all’irrigazione ed alla cura delle piante.
La consistenza del principio attivo ricavabile, infatti, corrispondente a 16,64 kg di puro per un totale di circa 665.600 dosi medie singole droganti, è stata correttamente ritenu dimostrativa, in modo inequivocabile, del fatto che la piantagione fosse destinata a rifornire bacino amplissimo di consumatori, con potenzialità di diffusione dello stupefacent particolarmente allarmante e tale da rappresentare un pericolo concreto e attuale per la salut pubblica in un’area geografica estesa, ben oltre i confini locali.
Quanto alla natura dell’aggravante in questione, deve ribadirsi che, secondo il costant orientamento di questa Corte, l’aggravante dell’ingente quantità ha carattere oggettiv essendo connessa alla intrinseca maggiore gravità del fatto derivante dalla notevole entit dello stupefacente, idonea a rifornire il mercato illecito ed a concretizzare un più ele
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pericolo per la salute pubblica (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 43465 del 24/06/2014, COGNOME, R 260965).
4.2 In merito al diniego delle circostanze di cui all’art.62 bis cod.pen., va premesso che tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, l motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia con anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., consid preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/20 COGNOME, Rv. 271269-01; nella specie, la Corte di cassazione ha ritenuto sufficiente, a dell’esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti pena dell’imputato).
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle pa rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244-01).
Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitar prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene preva e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzio esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, R 279549-01; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163-01).
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche con motivazione immune da vizi logici e giuridici.
La Corte territoriale ha evidenziato che il COGNOME risultava gravato da due precedenti no recenti ma specifici, da un’assoluzione per particolare tenuità del fatto per il reato di evas oltre che da condanne per reati di truffa e danneggiamento, estinti per esito positi dell’affidamento in prova e della messa alla prova. Pur ritenendo che questi ultimi precedent fossero irrilevanti ai fini della recidiva, la Corte ha correttamente considerato c reiterazione di condotte illecite nonostante i benefici ricevuti apparisse sintomatica di un’i delinquenziale non sopita.
In definitiva, tenuto conto dei criteri di cui all’art. 133 c.p., la Corte ha va personalità allarmante dell’imputato, anche in ragione dei citati precedenti specifici e d scaltrezza complessivamente dimostrata nella vicenda in esame, oltre che della gravità del fatto, consistito nell’allestimento di una piantagione di marijuana cui erano dedicate (almen due persone, previo affitto di un fondo ed acquisto della strumentazione necessaria all’irrigazione ed alla cura delle piante.
In conclusione, la Corte di appello ha ritenuto con valutazione immune da vizi logico giuridici che non sussistessero i presupposti per la concessione delle circostanze attenuant
generiche e che la pena irrogata dal giudice di primo grado fosse equa e proporzionata, essendo stata applicata in misura comunque inferiore alla media edittale, con l’aumento
minimo previsto per la circostanza aggravante di cui all’art. 80 D.P.R. 309/1990.
5. All’inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento dell spese processuali. Rilevato che non sussistono elementi per ritenere che ciascun ricorrente
non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a carico dei medesimi, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di
euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così è deciso, 10/04/2025