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Coltivazione domestica: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso contro una condanna per coltivazione domestica di marijuana. I tentativi di contestare la valutazione delle prove e l’attendibilità delle analisi sul THC sono stati respinti, poiché costituiscono una richiesta di riesame del merito, non consentita in sede di legittimità. La Corte ha confermato la condanna e l’obbligo di pagare le spese processuali e una sanzione.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Coltivazione Domestica Illecita: I Limiti del Ricorso in Cassazione

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito importanti principi in materia di coltivazione domestica di sostanze stupefacenti, chiarendo i confini del ricorso in sede di legittimità. Il caso analizzato riguarda un individuo condannato per aver allestito una piantagione di marijuana nella propria abitazione. La Suprema Corte ha dichiarato il suo ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito e mettendo in luce perché non sia possibile utilizzare la Cassazione come un terzo grado di giudizio per riesaminare le prove.

I Fatti del Caso

Il ricorrente era stato condannato dalla Corte d’Appello di Napoli per la coltivazione di piante di marijuana. Nel suo ricorso alla Corte di Cassazione, l’imputato contestava principalmente due aspetti: la violazione di legge e il vizio di motivazione riguardo all’accertamento dell’effetto drogante delle piante. In particolare, sosteneva che l’analisi chimica effettuata dalla Polizia Giudiziaria per determinare la quantità di THC fosse inattendibile, in quanto eseguita a distanza di tempo, e che la normativa sulla coltivazione autorizzata fosse stata erroneamente disapplicata.

La Decisione della Corte di Cassazione

Con l’ordinanza in esame, la Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Di conseguenza, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende. La decisione si fonda su argomentazioni procedurali e di merito ben precise, che riaffermano il ruolo della Corte come giudice di legittimità e non di merito.

Le Motivazioni della Decisione sulla Coltivazione Domestica

Le motivazioni alla base della decisione sono essenziali per comprendere i limiti dell’impugnazione in Cassazione. La Corte ha sottolineato che le doglianze del ricorrente erano volte a ottenere una “rivalutazione e/o alternativa lettura delle fonti probatorie”. Questo tipo di richiesta è estranea al giudizio di legittimità, che si concentra esclusivamente sulla corretta applicazione delle norme di diritto e sulla logicità della motivazione della sentenza impugnata, senza poter entrare nel merito dei fatti.

La Corte ha inoltre chiarito i seguenti punti:

1. Distinzione tra coltivazione autorizzata e illecita: I giudici hanno evidenziato che la corte territoriale aveva correttamente escluso l’applicazione della legge 216/2017 e del relativo regolamento. Tale normativa, che disciplina i limiti quantitativi di THC, si applica esclusivamente alla coltivazione autorizzata e non può essere invocata per giustificare una coltivazione domestica illecita.

2. Valutazione della coltivazione: La sentenza di merito aveva adeguatamente considerato gli elementi concreti del caso, come le dimensioni della piantagione allestita nell’abitazione e la sua attitudine a giungere a maturazione, caratteristiche tipiche di una coltivazione domestica e non industriale.

3. Attendibilità delle analisi: La contestazione sull’attendibilità delle analisi chimiche, basata sul presunto ritardo nell’esecuzione, è stata definita un “indimostrato assunto”. La Corte ha ritenuto che non vi fossero elementi concreti per considerare inattendibile o inutilizzabile il dato scientifico rilevato secondo le procedure previste dall’art. 87 del d.p.r. 309/90.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione offre due importanti spunti di riflessione. In primo luogo, ribadisce un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il ricorso in Cassazione non può essere utilizzato per rimettere in discussione l’accertamento dei fatti e la valutazione delle prove compiuti dai giudici di merito, a meno che non si dimostri un travisamento palese della prova o un vizio logico manifesto nella motivazione. In secondo luogo, traccia una linea netta tra la disciplina della canapa per uso industriale e la coltivazione illecita per la produzione di stupefacenti. Le garanzie e i limiti previsti per la prima non possono essere estesi alla seconda, che rimane un reato sanzionato dalla legge.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle prove fatta dal giudice di merito?
No, il ricorso in Cassazione non è consentito per prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie o una lettura alternativa dei fatti. La Corte si limita a valutare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione.

La normativa sulla coltivazione autorizzata di cannabis si applica anche alla coltivazione domestica illecita?
No, la Corte ha specificato che la disciplina sulla coltivazione autorizzata (legge 216/2017 e relativo regolamento) e sui limiti di THC non si applica alla coltivazione illecita.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le contestazioni sollevate non riguardavano violazioni di legge, ma miravano a ottenere un nuovo esame del merito della vicenda, cosa non permessa in sede di legittimità. Inoltre, la critica all’analisi chimica è stata considerata un’assunzione indimostrata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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