Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 212 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 212 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/11/2023
SENTENZA
nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME nato a Nughedu San Nicolò il 30/10/1955
avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari – Sezione distaccata di Sassari del 30/11/2022
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto che, ritenuto il ricorso non inammissibile, la sentenza impugnata venga annullata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione.
RITENUTO IN IFATTO
La Corte di appello di Cagliari – Sezione distaccata di Sassari, con sentenza del 30 novembre 2022 (motivazione depositata il successivo 28 dicembre), ha confermato quella di primo grado che ha condannato COGNOME COGNOME alla pena ritenuta di giustizia per avere l’imputato – in concorso con il figlio NOME – coltiva illecitamente cinque piante di marijuana, alte tra 3,00 e 3,70 metri e dal peso complessivo di 7 kg, ncnché detenuto 50 grammi di marijuana rinvenuti nell’abitazione occupata dal predetto e dai due figli (e, in particolare, nella stanza in uso all’altro figlio NOME); fatti accertati nell’agosto del 2015 e qualificati sentenza di primo grado ai sensi del comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990.
Avverso detta sentenza l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso nel quale deduce tre motivi, declinati come violazione di legge e vizio di motivazione.
2.1. Con il primo motivo eccepisce la mancata rilevazione da parte dei giudici di merito della insussistenza della penale responsabilità in ordine al reato ascritto, atteso che l’imputato non ha posto in essere alcuna condotta attiva di natura concorsuale, al più essendosi limitato a tollerare la messa in terreno di alcuni semi di piante, di cui ignorava in buona fede la natura illecita, ritenendo trattarsi “semi di canapa per uso tessile e/o alimentare”.
2.2. Con il secondo motivo si deduce che, alla luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza della Cassazione, il fatto andava comunque qualificato come “coltivazione domestica” destinata a esclusivo uso personale e dunque penalmente irrilevante (e ciò in considerazione dell’esiguo numero di piante; della natura “rudimentale” della tecnica di coltivazione; della modestia del principio attivo ricavabile; dell’assenza di “sostanze da taglio”; del mancato rinvenimento di prodotti per il confezionamento; del “mancato inserimento nel mercato di spaccio”).
2.3. Con il terzo motivo, infine, si eccepisce che i giudici di merito hanno illegittimamente mutato il fatto contestato, condannando COGNOME per una condotta di natura omissiva, ai sensi dell’art. 40 secondo comma cod. pen., e ciò a fronte della contestazione che faceva riferimento a una chiara condotta commissiva (avere illecitamente coltivato, prodotto e detenuto sostanze stupefacenti).
Il giudizio di cassazione si è svolto a trattazione scritta, ai sensi dell’ar 23, comma 8, di. n. 137 del 2020, convertito dalla I. n. 176 del 2020, e le parti hanno depositato le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I primi due motivi del ricorso, con i quali si censura l’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, sono infondati.
I Giudici di merito hanno ritenuto provata la responsabilità di COGNOME sulla base di una motivazione non illogica. Invero, le cinque piante di stupefacente, di rilevanti dimensioni, sono state rinvenute nell’orto della sua abitazione (dove viveva con i figli), orto nel quale era collocato un sistema di irrigazione a goccia a servizio di dette piante. Per quanto riguarda il contributo concorsuale fornito da COGNOME, questo è stato individuato dal Tribunale (la cui motivazione è condivisa dalla Corte di appello) nel fatto che “tollerando detta coltivazione egli non solo aveva offerto un supporto morale ai figli ma anche un contributo materiale, consistito nell’aver messo a loro disposizione parti comuni dell’abitazione (l’orto di pertinenza) e nell’aver fornito l’elettricità necessaria pe funzionamento dell’impianto di illuminazione e di irrigazione automatica, nonché l’acqua necessaria alla crescita delle piante’ in tale modo rendendo possibile l’illecita coltivazione”.
Infine, per quel che concerne la dedotta non conoscenza da parte dell’imputato della natura delle piante (egli aveva sostenuto che i figli gli avevano detto trattarsi di “cannabis sativa a uso esclusivamente tessile”), la sentenza impugnata ha respinto il motivo poiché “dal momento che coltivava un orto, aveva una certa conoscenza delle piante, e, avendo cognizione della specie della pianta, non poteva ragionevolmente ritenere trattarsi di pianta da utilizzarsi ad uso esclusivamente tessile e completamente priva di efficacia drogante” (pag. 11).
2.1. Trattasi di argomentazioni non adeguatamente contrastate dal ricorrente, atteso che le assunzioni di responsabilità da parte dei figli (il figlio NOME, ne cui stanza è stato trovato il barattolo con 50 gr. di marijuana “si assumeva spontaneamente la piena e esclusiva paternità della piantagione e del sistema di irrigazione a goccia”; successivamente l’altro figlio NOME, che al momento della perquisizione non era sul luogo, si presentava ai Carabinieri assumendosi, a sua volta, la paternità della coltivazione) non escludono la responsabilità anche del padre, responsabilità fondata, come detto, su un ragionamento non illogico.
Sotto altro profilo, la sentenza di appello ha escluso la natura di “coltivazione domestica”, in considerazione della circostanza che le piante – come detto di rilevanti dimensioni – erano state messe a dimora nel terreno ed erano servite da sistema di irrigazione, nonché del fatto che nell’abitazione dell’imputato era stato rinvenuto un barattolo con 50 grammi di marijuana. Al riguardo, questa Sezione ha avuto modo di chiarire «In tema di stupefac:enti, integra u coltivazione domestica non punibile la messa a coltura di undici piantine
marijuana, collocate in vasi all’interno di un’abitazione, senza la predisposizione di accorgimenti, come impianti di irrigazione e/o di illuminazione, finalizzati a rafforzare la produzione, le quali, in relazione al grado di sviluppo raggiunto, avrebbero consentito l’estrazione di un quantitativo minimo di sostanze stupefacente ragionevolmente destinata all’uso personale dell’imputato» (Sez. 6, n. 6599 del 05/11/2020 – dep. 2021, COGNOME, Rv. 280786 – 01); presupposti esclusi con motivazione adeguata dai Giudici di merito.
Per quanto invece concerne l’eccepita illegittima modifica del fatto contestato (ascritto nel capo di imputazione come condotta di partecipazione attiva e invece, secondo il ricorrente, definito dalla sentenza impugnata come violazione dell’obbligo giuridico di impedire l’evento), rileva il Collegio che, i effetti, la sentenza impugnata non chiarisce adeguatamente il rapporto tra l’imputazione – costruita in termini di concorso attivo – e l’affermazione secondo la quale COGNOME “consentiva al figlio, che neppure abitava nella stessa casa, di fare crescere le piante nel suo terreno”. E’ vero che successivamente la Corte territoriale aggiunge che il predetto “aveva contribuito in maniera significativa, e dunque con efficacia causale, alla loro crescita, mettendo a disposizione l’impianto di irrigazione, che utilizzava la corrente elettrica e l’acqua della sua abitazione, e creandone addirittura uno ex novo”, ma si tratta di condotte di dubbia efficacia causale e che, soprattutto, non si raccordano pienamente con la contestazione, a mente della quale COGNOME unitamente ai figli, “coltivava, produceva e deteneva sostanze stupefacenti”.
Ciò premesso, rileva il Collegio che il reato – qualificato dal Giudice di primo grado ai sensi del comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, dunque con termine massimo di prescrizione pari a sette anni e sei mesi – risale all’agosto del 2015 e si è quindi prescritto dopo la pronuncia della sentenza di appello.
A ciò consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per l’intervenuta estinzione del reato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per sopravvenuta prescrizione.
Così deciso il 10 novembre 2023
Il Consigliere estensore