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Coltivazione domestica: quando è reato? Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per la coltivazione di tre piante di marijuana. Data l’elevata quantità di dosi ricavabili (459) e la strumentazione professionale utilizzata, i giudici hanno escluso sia la non punibilità per coltivazione domestica ad uso personale, sia la fattispecie di lieve entità.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Coltivazione domestica: i limiti tra uso personale e reato secondo la Cassazione

La questione della coltivazione domestica di sostanze stupefacenti è da anni al centro di un acceso dibattito giuridico. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a fare chiarezza sui criteri per distinguere una condotta penalmente irrilevante da un’attività illecita. L’ordinanza analizza il caso di un individuo condannato per aver coltivato tre piante di marijuana, ma con una potenzialità offensiva ritenuta significativa dai giudici, escludendo così sia la scriminante dell’uso personale sia l’ipotesi del fatto di lieve entità.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla condanna inflitta dal Tribunale di Latina e confermata dalla Corte di Appello di Roma nei confronti di un soggetto per il reato previsto dall’art. 73 del D.P.R. 309/1990. L’imputato era stato trovato in possesso di tre piante di marijuana dalle quali, secondo la consulenza tossicologica, era possibile ricavare ben 459 dosi medie singole.

L’imputato ha presentato ricorso per Cassazione, articolandolo su due motivi principali:
1. La richiesta di riqualificare il fatto come coltivazione domestica non punibile, destinata esclusivamente all’uso personale.
2. In subordine, la richiesta di riconoscere la fattispecie di lieve entità, prevista dal comma 5 dello stesso articolo 73, data la minima quantità di piante.

L’Analisi della Cassazione sulla Coltivazione Domestica

La Corte di Cassazione ha dichiarato il primo motivo di ricorso inammissibile, richiamando la fondamentale pronuncia delle Sezioni Unite ‘Caruso’ (sent. n. 12348/2019). Tale sentenza ha stabilito che la condotta di coltivazione non integra reato solo quando presenta specifiche caratteristiche: deve essere svolta in forma domestica, con tecniche rudimentali, un numero esiguo di piante e deve produrre un quantitativo modestissimo di sostanza, denotando un nesso di immediatezza con l’uso personale e l’assenza di indici di un possibile inserimento nel mercato illegale.

Nel caso in esame, la Corte ha evidenziato come la situazione fosse ben diversa. Oltre all’elevato numero di dosi ricavabili (459), sono stati rinvenuti elementi che tradivano un’attività organizzata e non rudimentale: due bilancini di precisione, fertilizzanti specifici e un impianto completo di illuminazione, aerazione, riscaldamento e irrigazione. Questi strumenti, secondo i giudici, erano finalizzati a massimizzare la produzione in breve tempo, un obiettivo incompatibile con la mera destinazione all’uso strettamente personale.

La Questione della Lieve Entità

Anche il secondo motivo, relativo al riconoscimento del fatto di lieve entità, è stato respinto. I giudici di legittimità hanno confermato la valutazione della Corte d’Appello, la quale aveva escluso tale ipotesi basandosi non solo sul numero di dosi, ma anche sul ‘discreto grado di organizzazione’ dell’attività.

La strumentazione utilizzata dimostrava una pianificazione e un investimento volti a ottimizzare la crescita delle piante e, di conseguenza, i profitti. La sentenza si allinea al principio, espresso anche dalle Sezioni Unite ‘Murolo’ (sent. n. 51063/2018), secondo cui la valutazione sulla lieve entità deve essere complessiva e tenere conto di tutti i parametri: mezzi, modalità, circostanze dell’azione, nonché qualità e quantità della sostanza. In questo contesto, l’elevato numero di dosi e l’organizzazione dell’attività hanno costituito elementi decisivi per escludere la minima offensività della condotta.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile perché generico e non in grado di confrontarsi criticamente con le solide motivazioni della sentenza d’appello. I giudici di merito avevano logicamente dedotto, dalla strumentazione rinvenuta e dall’alto potenziale di produzione, che la destinazione della sostanza non era limitata a un consumo personale.

La decisione evidenzia che, per la configurabilità del reato di coltivazione, sono sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico proibito e la sua attitudine a produrre sostanza stupefacente. La non punibilità interviene solo in presenza di coltivazioni veramente minime e rudimentali. L’organizzazione, anche se limitata a poche piante, se finalizzata a massimizzare il raccolto, sposta l’ago della bilancia verso la rilevanza penale e impedisce di qualificare il fatto come di lieve entità.

Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio consolidato: la coltivazione domestica non è sempre e comunque lecita. La sua non punibilità è un’eccezione legata a precisi e restrittivi requisiti, quali la natura rudimentale dei metodi e la modestissima quantità di prodotto ottenibile. La presenza di attrezzature professionali e un numero di dosi potenzialmente elevato, come nel caso di specie, sono indici inequivocabili di un’attività organizzata che supera la soglia dell’uso personale e che non può beneficiare della qualificazione di fatto di lieve entità. L’imputato è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro.

Quando la coltivazione domestica di piante stupefacenti non è considerata reato?
Non è considerata reato, per mancanza di tipicità, quando la coltivazione è svolta in forma domestica, con tecniche rudimentali e un numero scarso di piante, da cui si ricava un modestissimo quantitativo di prodotto. Inoltre, non devono esserci indici significativi di un inserimento nel mercato illegale, ma un nesso di immediatezza con la destinazione esclusiva all’uso personale.

Perché in questo caso la coltivazione non è stata considerata di ‘lieve entità’?
Non è stata considerata di ‘lieve entità’ a causa di due fattori principali: l’elevato numero di dosi medie ricavabili dalla sostanza sequestrata (459) e il ‘discreto grado di organizzazione’ dell’attività. La presenza di bilancini, fertilizzanti e impianti di illuminazione e irrigazione indicava una condotta non minimale, ma volta a massimizzare la produzione e i profitti.

Quali elementi indicano che la coltivazione è destinata allo spaccio e non all’uso personale?
Secondo la Corte, gli elementi che indicano una destinazione allo spaccio sono: un numero elevato di dosi ricavabili (in questo caso 459), la presenza di strumenti come bilancini di precisione, e l’allestimento di impianti complessi (illuminazione, aerazione, riscaldamento, irrigazione) che denotano un’organizzazione finalizzata a ottimizzare la produzione, incompatibile con un consumo puramente personale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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