Coltivazione Domestica di Cannabis: Quando si Supera il Limite?
La questione della coltivazione domestica di cannabis per uso personale è un tema complesso e dibattuto, che spesso vede i giudici chiamati a tracciare una linea di demarcazione tra una condotta lecita o di lieve entità e un vero e proprio reato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti su quali elementi quantitativi e qualitativi trasformino la coltivazione sul terrazzo di casa in un’attività penalmente rilevante, escludendo l’applicazione di cause di non punibilità.
I Fatti del Caso
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato per il reato previsto dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990. Durante un controllo, sul terrazzo della sua abitazione sono state rinvenute ben 25 piantine di marijuana, di altezza variabile tra i 20 e i 50 centimetri, già invasate. Oltre alle piante, è stato trovato anche materiale idoneo alla coltivazione.
Una consulenza tecnica tossicologica ha accertato che dalle foglie e dalle infiorescenze delle piante sarebbe stato possibile estrarre un quantitativo di principio attivo sufficiente a confezionare 39,2 dosi. Sulla base di questi elementi, l’imputato è stato condannato nei primi due gradi di giudizio.
I Motivi del Ricorso in Cassazione
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione affidandosi a due principali motivi:
1. Violazione di legge e vizio di motivazione: sosteneva che la sua responsabilità fosse stata affermata in modo errato, data la quantità relativamente modesta di dosi ricavabili.
2. Mancata applicazione della causa di non punibilità: lamentava che i giudici di merito non avessero applicato l’art. 131 bis del codice penale, relativo alla particolare tenuità del fatto, che avrebbe potuto escludere la sua punibilità.
La Decisione della Corte sulla Coltivazione Domestica
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno confermato la decisione della Corte d’Appello, ritenendo che la ricostruzione dei fatti fosse precisa e l’inquadramento giuridico corretto.
Le motivazioni
La Corte ha sottolineato che la valutazione dei giudici di merito era stata completa ed approfondita. La decisione di non considerare il fatto come una semplice coltivazione domestica destinata all’autoconsumo si fonda su tre elementi chiave:
* Il numero di piante: 25 piante sono state ritenute un numero significativo, che va oltre una coltivazione minima.
* Il numero di dosi ricavabili: la possibilità di ottenere quasi 40 dosi è stata considerata un dato rilevante, indicativo di una potenziale offensività della condotta.
* Le modalità della coltivazione: le tecniche utilizzate non sono state giudicate rudimentali, suggerendo un’attività organizzata e non meramente amatoriale.
Sulla base delle stesse ragioni, la Corte ha ritenuto corretta anche l’esclusione dell’applicazione dell’art. 131 bis c.p. Il fatto, alla luce degli elementi quantitativi e qualitativi emersi, non poteva essere qualificato come di ‘lieve entità’. La motivazione della Corte d’Appello è stata giudicata logica e non censurabile.
Le conclusioni
La declaratoria di inammissibilità ha comportato, per il ricorrente, la condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa ordinanza ribadisce un principio consolidato: la valutazione sulla liceità della coltivazione domestica non si basa su un singolo fattore, ma su un’analisi complessiva che tiene conto del numero di piante, della quantità di principio attivo producibile e delle tecniche impiegate. Un numero elevato di piante e di dosi potenziali, unito a modalità di coltivazione non elementari, sposta inequivocabilmente la condotta nell’alveo del penalmente rilevante.
Perché la coltivazione di 25 piante di marijuana non è stata considerata “coltivazione domestica” per uso personale?
Non è stata considerata tale a causa della combinazione di tre fattori: l’elevato numero di piante (25), la quantità significativa di dosi ricavabili (39,2) e le modalità di coltivazione giudicate non rudimentali. Questi elementi, valutati insieme, hanno escluso l’ipotesi di una coltivazione destinata al solo autoconsumo.
Per quale motivo la Corte ha escluso l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.)?
La Corte ha escluso l’applicazione dell’art. 131 bis c.p. per le medesime ragioni per cui ha negato la natura di coltivazione per uso personale. Il numero di piante, la quantità di dosi ottenibili e le modalità della coltivazione sono stati ritenuti elementi sufficienti a qualificare il fatto come non di ‘lieve entità’.
Quali sono state le conseguenze per il ricorrente dopo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4390 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4390 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME COGNOME nato a GIOIA TAURO il 20/07/1989
avverso la sentenza del 26/01/2024 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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COGNOME NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso sentenza di condanna perWeato di cui all’art.73, comma 5, d.P.R.309/1990, deducendo, con il primo motivo di ricorso, violazione di legge e vizio della motivazione in ordine all’affermazione della responsabilità, posto che piantine di marijuana rinvenute in suo possesso sono in grado di produrre un prodotto con principio attivo per circa 39 dosi e, con il secondo motivo di ricorso, lamenta la manca applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen.
La censura è manifestamente infondata. Il giudice a quo ha evidenziato che sul terrazzo dell’abitazione del ricorrente sono state rinvenute 25 piantine di marijuana di altezza variab dai 20 ai 50 cm già invasate, nonché materiale idoneo alla coltivazione, e che dal prodotto dell piantagioni erano estraibili ben 39,2 dosi, come emerge dalla consulenza tecnica tossicologica effettuata sulle foglie e sulle infiorescenze, ritenendo che non si configuri l’ipotesi coltivazione domestica destinata all’autoconsumo sia in relazione al numero di piante coltivat (25) e del numero di dosi ricavabili (39) sia in relazione alle modalità della coltivazione nulla rudimentali. Dalle cadenze motivazionali della sentenza d’appello è dato quindi desumere una ricostruzione dei fatti precisa e circostanziata e un corretto inquadramento giuridico de stessi, avendo i giudici di secondo grado preso in esame tutte le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso una disamina completa ed approfondita, in fatto e diritto, delle risultanze processuali, dalle quali hanno tratto conseguenze corrette sul pi giuridico.
Non censurabile è altresì la motivazione con la quale il giudice a quo, per le medesime ragioni, ha escluso l’applicazione dell’ad 131 bis cod. pen., non ritenendo il fatto di lieve entità.
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’on delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 06/12/2024
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