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Coltivazione domestica: quando è reato? Analisi

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6944/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per la coltivazione di sette piante di marijuana. La Corte ha stabilito che la coltivazione domestica non era di lieve entità, dati il numero e le dimensioni delle piante (fino a 1,5 metri), escludendo la non punibilità per uso personale e confermando la condanna.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Coltivazione Domestica di Stupefacenti: Quando Supera il Limite del Lecito?

La questione della coltivazione domestica di sostanze stupefacenti, in particolare la cannabis, è da tempo al centro di un acceso dibattito giuridico. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno in passato tracciato una linea di demarcazione tra la condotta penalmente irrilevante e quella che integra il reato di cui all’art. 73 del d.p.r. 309/1990. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 6944 del 2024, torna sul tema, offrendo un’importante precisazione sui criteri da adottare per valutare la liceità di tale pratica.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dalla condanna inflitta a un individuo dal Tribunale e successivamente confermata dalla Corte d’Appello di Palermo. L’imputato era stato ritenuto colpevole di aver coltivato sette piante di marijuana, idonee a produrre un quantitativo di principio attivo (THC) pari a oltre 600 dosi medie singole. L’imputato ha presentato ricorso per cassazione, sostenendo che la sentenza fosse viziata da un’errata motivazione. A suo dire, la coltivazione era palesemente destinata all’uso personale, configurando quindi una condotta non punibile. Inoltre, lamentava la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.

La Decisione della Corte sulla coltivazione domestica

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno ritenuto che la qualificazione del fatto come reato di coltivazione di sostanze stupefacenti fosse del tutto corretta. La Corte ha colto l’occasione per ribadire e applicare i principi di diritto già espressi in materia, sottolineando come, nel caso di specie, non sussistessero le condizioni per considerare la condotta penalmente irrilevante.

Le Motivazioni

La Corte Suprema ha fondato la sua decisione su un’analisi attenta dei criteri che distinguono la coltivazione domestica non punibile da quella penalmente rilevante. Il punto di partenza è il principio enunciato dalle Sezioni Unite (sentenza n. 12348/2019), secondo cui non integra reato una coltivazione che, per le sue caratteristiche rudimentali, il numero esiguo di piante e la modestia del prodotto ricavabile, appare destinata in modo esclusivo e immediato all’uso personale del coltivatore, senza presentare alcun indice di un possibile inserimento nel mercato illegale.

Nel caso specifico, tuttavia, la Corte territoriale aveva correttamente evidenziato elementi che escludevano la minima offensività della condotta. I fattori decisivi sono stati:

1. Il numero e le dimensioni delle piante: Si trattava di sette piante, alte tra un metro e un metro e mezzo, in ottimo stato vegetativo. Questo dato è stato ritenuto incompatibile con il concetto di “scarso numero” richiesto dalla giurisprudenza.
2. La potenzialità produttiva: La capacità di produrre oltre 600 dosi è stata considerata un indice oggettivo della non modestia del quantitativo di prodotto.
3. Il comportamento dell’imputato: Il fatto che l’imputato avesse estirpato alcuni arbusti all’arrivo delle forze dell’ordine è stato interpretato come un segnale che la coltivazione fosse in grado di espandersi ulteriormente.

Sulla base di questi elementi, la Corte ha concluso che la coltivazione in esame non poteva essere definita “di minime dimensioni” e, pertanto, superava i limiti della non punibilità. Anche il secondo motivo di ricorso, relativo al diniego delle attenuanti generiche, è stato respinto. I giudici hanno ricordato che, dopo la riforma del 2008, la sola incensuratezza non è più sufficiente per concedere tale beneficio, essendo necessari elementi di positivo apprezzamento che, nel caso in esame, non sono stati riscontrati.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento rafforza un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato: la non punibilità della coltivazione domestica è un’eccezione che si applica solo a situazioni di minima entità, dove la condotta è palesemente circoscritta a soddisfare un bisogno personale immediato e non presenta alcun rischio concreto per la salute pubblica e l’ordine pubblico. La decisione serve da monito: i giudici di merito devono valutare con rigore tutti gli indici oggettivi (numero, dimensioni, stato delle piante, tecniche impiegate) per determinare se una coltivazione rientri nell’ambito del penalmente irrilevante o se, al contrario, integri a tutti gli effetti il reato previsto dalla legge sugli stupefacenti.

La coltivazione di marijuana in casa è sempre permessa se per uso personale?
No, non è sempre permessa. La Corte di Cassazione ha chiarito che la non punibilità si applica solo a coltivazioni con tecniche rudimentali, un numero esiguo di piante e una quantità minima di prodotto, oggettivamente destinate al solo uso personale e senza indici di inserimento nel mercato illegale.

Quali elementi ha considerato la Corte per ritenere la coltivazione un reato in questo caso?
La Corte ha considerato il numero di piante (sette), la loro altezza (tra un metro e un metro e mezzo), il loro buono stato vegetativo e il fatto che l’imputato avesse estirpato altri arbusti, indicando una capacità produttiva non minima e potenzialmente in espansione, superando i limiti della coltivazione domestica non punibile.

L’assenza di precedenti penali è sufficiente per ottenere le attenuanti generiche?
No. La Corte ha ribadito che, a seguito della riforma legislativa, il solo stato di incensuratezza non è più sufficiente per la concessione delle circostanze attenuanti generiche. Il giudice deve individuare elementi di positivo apprezzamento, che nel caso specifico non sono stati ravvisati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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