Coltivazione Domestica: La Cassazione Fissa i Paletti sulla Quantità
La questione della coltivazione domestica di cannabis per uso personale è da tempo al centro di un acceso dibattito giuridico. Con l’ordinanza n. 13687 del 2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi, delineando con chiarezza i criteri per distinguere una condotta penalmente irrilevante da un reato. Il caso esaminato offre spunti fondamentali per comprendere come i giudici valutino la quantità di sostanza producibile e le modalità della condotta.
I Fatti del Caso: la Coltivazione Domestica in Esame
Il caso ha origine dalla condanna inflitta dalla Corte d’Appello di Lecce a un individuo per aver coltivato otto vasi di piante di cannabis di altezze variabili e per aver detenuto tre grammi di foglie essiccate. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo due argomenti principali:
1. La coltivazione era destinata esclusivamente all’uso personale, e quindi non avrebbe dovuto configurare un reato.
2. In subordine, avrebbe dovuto essere applicata la causa di non punibilità per “particolare tenuità del fatto”, prevista dall’articolo 131-bis del codice penale, data la minima offensività della condotta.
Il ricorrente contestava l’affermazione di responsabilità, ritenendo che la sua azione non avesse rilevanza penale secondo i più recenti orientamenti giurisprudenziali.
La Decisione della Corte sulla Coltivazione Domestica
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la condanna. I giudici supremi hanno chiarito che le censure sollevate dal ricorrente non rientravano tra quelle ammissibili in sede di legittimità, poiché concernevano la valutazione dei fatti e delle prove, un’attività riservata esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello).
Il Rigetto del Motivo sull’Uso Personale
La Corte ha sottolineato che la motivazione della sentenza d’appello era congrua, logica e completa. I giudici di merito avevano correttamente escluso che la coltivazione fosse destinata a un mero uso personale. Il fattore decisivo è stato il “quantitativo di prodotto ricavabile”, stimato in ben 246 dosi, una cifra considerata “non affatto modesta”. Secondo la Corte, una tale quantità supera la soglia della coltivazione domestica rudimentale e destinata a soddisfare esigenze personali immediate, configurando invece un’attività penalmente rilevante ai sensi dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990.
L’Esclusione della Particolare Tenuità del Fatto
Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p., è stato respinto. La Cassazione ha ritenuto adeguata la valutazione della Corte d’Appello, la quale aveva negato la “particolare tenuità del fatto” basandosi non solo sul “ragguardevole numero di dosi estraibili”, ma anche sulle modalità complessive della condotta. Un numero di dosi così elevato è stato considerato incompatibile con un’offesa minima al bene giuridico tutelato.
Le Motivazioni della Corte
La motivazione centrale dell’ordinanza si fonda sulla distinzione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità. La Corte di Cassazione non può riesaminare le prove o sostituire la propria valutazione a quella dei giudici dei gradi inferiori. Il suo compito è verificare che la decisione impugnata sia immune da vizi logici o violazioni di legge.
Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva fornito una spiegazione logica e coerente per cui la condotta dell’imputato non poteva essere considerata né una coltivazione domestica non punibile né un fatto di particolare tenuità. Il riferimento al numero di dosi (246) è stato l’elemento quantitativo che ha ancorato la decisione, rendendola, agli occhi della Cassazione, incensurabile sotto il profilo della logicità. I giudici hanno quindi concluso che i motivi del ricorso si limitavano a contestare l’apprezzamento dei fatti, uscendo dal perimetro delle censure ammissibili (il cosiddetto numerus clausus).
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza ribadisce un principio consolidato: la non punibilità della coltivazione domestica non è una regola assoluta. La valutazione dipende da criteri oggettivi, primo tra tutti il potenziale quantitativo di principio attivo ricavabile dalle piante. Una coltivazione che, per numero di piante e tecniche impiegate, può generare un numero significativo di dosi (in questo caso 246) sarà difficilmente considerata per uso personale. La decisione serve da monito: chi coltiva cannabis in casa deve essere consapevole che superare una soglia quantitativa ritenuta modesta espone al rischio concreto di una condanna penale, senza potersi appellare né all’uso personale né alla particolare tenuità del fatto.
Quando la coltivazione domestica di cannabis è considerata reato?
Secondo questa ordinanza, la coltivazione domestica è reato quando il quantitativo di prodotto ricavabile non è affatto modesto. Nel caso specifico, la possibilità di ottenere 246 dosi è stata considerata un elemento decisivo per escludere l’uso personale e confermare la rilevanza penale del fatto.
Un numero elevato di dosi ricavabili può impedire l’applicazione della non punibilità per ‘particolare tenuità del fatto’?
Sì. La Corte ha confermato che un ‘ragguardevole numero di dosi estraibili’ è un fattore che, unitamente alle modalità della condotta, può portare i giudici a escludere che il fatto sia di ‘particolare tenuità’ ai sensi dell’art. 131-bis del codice penale, rendendo così l’autore del reato punibile.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le contestazioni sollevate non riguardavano violazioni di legge o vizi logici della motivazione, ma miravano a una nuova valutazione delle prove e della ricostruzione dei fatti. Questo tipo di valutazione è riservato ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) e non può essere oggetto del giudizio della Corte di Cassazione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13687 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13687 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 26/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME nato a BRINDISI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/03/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
NOME NOME ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata con la quale la Corte di appello di Lecce lo ha condannato per il reato di cui all’art. 73, co d.P.R. 309/1990, per aver coltivato 8 vasi di piante cannabis indica di altezze variabili e det tre grammi di foglie essiccate. Il ricorrente deduce, con il primo motivo di ricorso, violaz legge e vizio della motivazione in ordine alla affermazione della responsabilità, trattand cannabis destinata all’uso personale e, con il secondo motivo, mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen.
Con memoria difensiva il ricorrente ha ulteriormente illustrato i motivi di ricorso.
Considerato che la doglianza non rientra nel numerus clausus delle censure deducibili i sede di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione d riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insin in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell’iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. Nel caso di dalle cadenze motivazionali della sentenza d’appello è enucleabile una ricostruzione dei f precisa e circostanziata, avendo i giudici di secondo grado preso in esame tutte le deduzi difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni, in punto di responsabilità, attraverso disamina completa ed approfondita delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede, come si d dalle considerazioni formulate dal giudice a quo alle pagine 3, 4 e 5 della sentenza gravata, laddove ha affermato che non ricorrono le condizioni indicate dalla giurisprudenza di legitti ai fini del riconoscimento della non punibilità della cosiddetta coltivazione domesti stupefacente destinato all’autoconsumo, considerato il quantitativo di prodotto ricavabile, affatto modesto, pari a 246 dosinl giudice a quo ha inoltre evidenziato che dalla certificazione sanitaria prodotta dallo stesso ricorrente non si evince un abuso cronico della sosta stupefacente. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Anche la seconda doglianza esula dal novero delle censure deducibili in sede di legittimità, collocandosi sul piano del merito. Le determinazioni del giudice di merito in alla configurabilità della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto so insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esente da vizi logi giuridici ed idonea a dar conto delle ragioni del decisum. Nel caso di specie, la motivazione sentenza impugnata è senz’altro da ritenersi adeguata, avendo la Corte territoriale fa riferimento alle modalità della condotta e alle ragguardevole numero di dosi estraibili dalle p coltivate, certamente non esiguo.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia prop il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.
l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in fav Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese ed al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 26 gennaio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente