Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11140 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11140 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 20/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a POZZALLO 11 12/06/1959
avverso la sentenza del 19/01/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che, con sentenza del 19 gennaio 2024, la Corte di appello di Catania ha confermato la sentenza di primo grado, resa all’esito di giudizio abbreviato, che aveva condannato COGNOME Antonio, per il reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, per la coltivazione di piante di cannabis;
che, avverso la sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, con il quale censura: 1) l’erronea applicazione della disposizione incriminatrice, trattandosi nel caso di specie di coltivazione di tipo domestico; 2) la violazione dell’art. 131-bis cod. pen. e vizi della motivazione, per l’omessa considerazione della particolarità tenuità del fatto.
Considerato che il ricorso è inammissibile, perché riferito a vizi palesemente insussistenti, nonché del tutto privo di riferimenti critici alla motivazione della sentenza impugnata;
che, in ogni caso, la Corte di appello – a fronte di generiche asserzioni difensive di segno contrario – ha correttamente escluso la natura domestica della coltivazione delle piante, essendo state trovate sette piante ed un principio attivo già prodotto per un totale di 111 dosi, incompatibili con un uso personale esclusivo, in mancanza di indici di rudimentalità della coltivazione, la quale appariva invece svolta in forma sistematica;
che, quanto al secondo motivo di doglianza, il ricorrente si limita ad enunciare principi desumibili dalla disposizione, senza spiegare quali sarebbero, nel caso di specie, le condizioni per l’applicazione della stessa, pur in presenza di una coltivazione di non scarsa rilevanza, come ben evidenziato dalla Corte territoriale per escludere la particolare tenuità del fatto;
che, tenuto conto della sentenza del 13 giugno 2000, n. 86, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2024.