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Coltivazione di stupefacenti: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi di due individui condannati per la coltivazione di stupefacenti. La Corte ha stabilito che la valutazione della congruità della pena e l’analisi degli elementi di prova sono di competenza dei giudici di merito e non possono essere riesaminate in sede di legittimità, se la motivazione della sentenza impugnata è logica e coerente. I ricorsi si basavano sulla presunta sproporzione della pena e sull’insufficienza delle prove a carico di uno degli imputati, ma sono stati respinti in quanto miravano a una nuova valutazione dei fatti, non consentita in Cassazione.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Coltivazione di Stupefacenti: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 4255 del 2024, offre importanti chiarimenti sui limiti del ricorso per cassazione in materia di coltivazione di stupefacenti. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili i ricorsi di due imputati, confermando le loro condanne e ribadendo principi fondamentali sulla valutazione della pena e sulla prova della responsabilità penale. Analizziamo i dettagli di questa decisione per comprendere le sue implicazioni pratiche.

I Fatti del Processo

Il caso nasce da una condanna emessa dalla Corte di appello di Torino, che aveva parzialmente riformato una sentenza di primo grado del Tribunale di Ivrea. Due soggetti erano stati ritenuti responsabili per reati legati alla coltivazione e alla detenzione di sostanze stupefacenti. La Corte d’appello aveva dichiarato il non doversi procedere per alcuni capi d’imputazione per mancanza di querela, ma aveva confermato la responsabilità per la coltivazione, rideterminando le pene.
Contro questa decisione, i difensori degli imputati hanno proposto ricorso per cassazione, sollevando diverse questioni.

I Motivi del Ricorso: Pena e Responsabilità in Discussione

Le doglianze presentate alla Suprema Corte erano distinte per ciascun imputato:

1. Il primo ricorrente ha contestato il trattamento sanzionatorio, ritenendo la pena sproporzionata rispetto alla reale entità dell’offesa. La difesa ha sottolineato che, secondo una consulenza tecnica, il principio attivo sequestrato era quantitativamente esiguo (circa 67 grammi di tetracannabinolo). Inoltre, l’imputato aveva tenuto un comportamento collaborativo durante le indagini e manifestato resipiscenza.
2. Il secondo ricorrente ha invece contestato l’affermazione della sua responsabilità penale. La difesa ha sostenuto che gli elementi a suo carico – la sua presenza sul luogo del reato il giorno dell’arresto e in altre occasioni, e i contatti telefonici con il coimputato – non fossero sufficienti a dimostrare una sua partecipazione all’attività illecita. Secondo il ricorso, tali elementi non provavano un contributo causale alla consumazione del reato e potevano essere spiegati diversamente (ad esempio, con legami di parentela e amicizia).

La Decisione della Corte sulla coltivazione di stupefacenti

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i ricorsi, dichiarandoli inammissibili. La decisione si fonda su un principio cardine del giudizio di legittimità: la Suprema Corte non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella compiuta dai giudici di merito (Tribunale e Corte d’appello). Il suo compito è verificare che la decisione impugnata sia immune da vizi logici e da errori nell’applicazione della legge.
Nel caso di specie, i giudici hanno ritenuto che le motivazioni della Corte d’appello fossero logiche, coerenti e giuridicamente corrette.

Le Motivazioni della Corte

Per ciascun ricorso, la Cassazione ha fornito una motivazione specifica.

Per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio, la Corte ha ribadito che la determinazione della pena è una valutazione discrezionale del giudice di merito. Tale valutazione non è sindacabile in sede di legittimità se, come in questo caso, è sorretta da una motivazione adeguata. La Corte d’appello aveva giustificato la pena valorizzando la gravità dei fatti, desunta non solo dalla quantità di sostanza, ma anche dalla natura organizzata dell’attività di coltivazione. Questi elementi sono stati ritenuti sufficienti a giustificare uno scostamento dai minimi edittali.

Relativamente alla responsabilità del secondo imputato, la Suprema Corte ha evidenziato come la sua difesa si basasse su una “parcellizzazione” degli elementi di prova. Al contrario, la Corte d’appello aveva correttamente operato una lettura unitaria e complessiva del compendio probatorio. La presenza costante dell’imputato nel capannone, attestata sia da testimoni che dalle celle telefoniche (spesso in concomitanza con il coimputato), è stata ritenuta un elemento grave, preciso e concordante, idoneo a dimostrare la sua partecipazione alla coltivazione di stupefacenti. Tentare di offrire una spiegazione alternativa per ogni singolo indizio è un’operazione tipica del giudizio di merito, non consentita in Cassazione.

Conclusioni

La sentenza in esame riafferma con forza la distinzione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità. Le censure che mirano a una nuova e diversa valutazione delle prove o a una riconsiderazione della congruità della pena sono destinate all’inammissibilità se la sentenza impugnata presenta una motivazione logica e completa. Per i professionisti del diritto e per i cittadini, questa decisione sottolinea l’importanza di strutturare i ricorsi per cassazione su vizi di legittimità chiaramente identificabili, evitando di trasformarli in un terzo grado di giudizio sui fatti.

Una pena può essere contestata in Cassazione se ritenuta eccessiva?
No, la valutazione sulla congruità della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito. Il ricorso in Cassazione su questo punto è inammissibile se la sentenza impugnata fornisce una motivazione sufficiente e non illogica per la pena inflitta, come la gravità del fatto o la natura organizzata dell’attività criminale.

Quali prove sono sufficienti per dimostrare la partecipazione a un reato di coltivazione di stupefacenti?
Secondo questa sentenza, la prova della partecipazione può derivare da una valutazione complessiva di più elementi indiziari. Nel caso specifico, la presenza ripetuta e non giustificabile dell’imputato sul luogo del reato, insieme alla sua associazione con il coimputato (confermata anche dai dati telefonici), è stata considerata sufficiente a fondare un giudizio di responsabilità.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La declaratoria di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende. La sentenza impugnata diventa definitiva e non può più essere contestata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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