Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 4255 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6   Num. 4255  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 11/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
NOME NOME, nato a Ivrea il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Cuorgnè l’DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/4/2023 della Corte di appello di Torino Visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME letta la requisitoria del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità dei ricorsi
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 18 aprile 2023 la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza emessa il 10   febbraio 2022 dal Tribunale di Ivrea, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine ai reati di cui ai capi 2) e 4), per mancanza di querela, e, per l’effetto, ha rideterminato la pena inflittagli; ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME
COGNOME in ordine al reato di cui al capo 2), per mancanza di querela, e, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, ha rideterminato la pena inflittagli; ha confermato nel resto la sentenza impugnata.
I ricorrenti sono stati quindi ritenuti responsabili dei reati di cui ai capi 1 3), connessi alla coltivazione e alla detenzione di sostanza stupefacente.
Avverso la sentenza di appello, i difensori degli imputati hanno proposto ricorsi per cassazione.
Il difensore di NOME COGNOME ha dedotto l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale in ordine al trattamento sanzionatorio, per essere stata applicata una pena sproporzionata rispetto all’entità dell’offesa, arrecata dalle condotte ascritte al ricorrente, e al comportamento processuale tenuto. La Corte di appello ha giustificato lo scostamento dai minimi edittali di pena facendo riferimento, oltre al fatto che l’attività di coltivazione dello stupefacente risulta esercitato in forma organizzata, al quantitativo di sostanza stupefacente rinvenuta nel capannone. Tali dati contrasterebbero con quanto attestato dalla relazione di consulenza tecnica a firma del dottor AVV_NOTAIO, da cui si evincerebbe che il materiale sequestrato contiene complessivamente 67,27 grammi di tetracannabinolo, che sarebbe un dato quantitativo esiguo. La Corte di appello avrebbe trascurato che, prima del suo arresto, il ricorrente aveva fornito le chiavi e il telecomando del cancello carraio, per consentire alle forze dell’ordine di entrare nell’area del capannone, e aveva accompagnato personalmente gli agenti nelle diverse unità. Inoltre, nel periodo di sottoposizione alle misure cautelari, il ricorrente avrebbe rispettato le prescrizioni e i vincoli a lui imposti e, nel corso del procedimento, oltre a ribadir la piena responsabilità per i fatti contestatigli, avrebbe manifestato piena coerenza e resipiscenza in relazione alle condotte tenute. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4. Il difensore di NOME COGNOME ha dedotto i seguenti motivi:
4.1. violazione di legge e vizi della motivazione in ordine all’affermazione della responsabilità per il reato ascrittogli. Premesso che il giudizio di penale responsabilità era stato fondato su tre elementi, ossia la presenza dell’imputato presso il capannone il giorno dell’arresto, la sua presenza in loco in altre occasioni e i tabulati telefonici, il ricorrente ha dedotto che questi elementi non risulterebbero idonei né sufficienti a dimostrare la sua partecipazione al reato. La presenza nei pressi del luogo, in cui veniva espletata l’attività di coltivazione, unita ai soli dati della frequentazione del territorio e dei contatti con l’a imputato, non permetterebbe di dimostrare in che modo il ricorrente sarebbe
intervenuto a contribuire o ad agevolare la consumazione del reato in discorso. Peraltro, anche a considerare corretta l’identificazione dell’imputato da parte di COGNOME, non vi sarebbe prova del fatto che, nei giorni in cui l’imputato fu visto, all’interno del capannone fosse presente la sostanza stupefacente che ben poteva trovarsi presso l’abitazione di NOME COGNOME. Nemmeno i tabulati telefonici permetterebbero di ricavare la responsabilità dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio, in quanto la circostanza che il suo telefono avrebbe agganciato un centinaio di volte le celle di copertura della zona di ubicazione del capannone non comporterebbe un suo diretto coinvolgimento nell’attività illecita. I numerosi contatti, intercorsi tra i due imputati, sarebbero spiegabili a fronte del vincolo di parentela e di amicizia fra gli stessi. Di contro, il giudice avrebb trascurato l’esito negativo della perquisizione domiciliare, effettuata nei confronti dell’imputato, e le dichiarazioni confessorie del coimputato NOME COGNOME, che aveva negato sin dalla convalida il coinvolgimento del ricorrente nell’attività illecita;
4.2. inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale in ordine al trattamento sanzionatorio. La Corte di appello ha giustificato lo scostamento dai minimi edittali di pena facendo riferimento, oltre al fatto che l’attività coltivazione dello stupefacente risultava esercitato in forma organizzata, al quantitativo di sostanza stupefacente, rinvenuta nel capannone. Tali dati contrasterebbero con quanto attestato dalla relazione di consulenza tecnica a firma del dottor COGNOME, da cui si evincerebbe che il materiale sequestrato contiene complessivamente 67,27 grammi di tetracannabinolo, che sarebbe un dato quantitativo esiguo. Inoltre, la Corte territoriale avrebbe trascurato il minor grado di coinvolgimento del ricorrente, che avrebbe dovuto condurre a un trattamento differenziato in punto di pena. 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 I ricorsi sono inammissibili.
 L’unico motivo, su cui si fonda il ricorso di NOME COGNOME, non è consentito.
2.1. Deve premettersi che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (ex multis, Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142 – 01).
2.2. Nel caso in esame, la Corte territoriale, nel determinare la pena, ha valorizzato la gravità dei fatti, desunta dalla quantità di sostanza, rinvenuta nel capannone e nell’abitazione, e dalla natura organizzata dell’attività, volta alla coltivazione dello stupefacente.
A fronte di tali argomentazioni, le doglianze del ricorrente sollecitano una non consentita riedizione dell’esercizio della discrezionalità del Giudice di merito, che ha motivato adeguatamente sia lo scostannento dal minimo edittale che gli esigui aumenti per la continuazione.
Il primo motivo, con cui NOME COGNOME ha censurato l’affermazione della sua responsabilità, non è consentito.
3.1. Giova premettere che il controllo del giudice di legittimità sui vizi dell motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione, di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando precluse la rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione, e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr.: ex plurimis: Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, COGNOME, Rv. 284556 – 01; Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, F., Rv. 280601 – 01).
3.2. Nel caso in esame, la Corte di appello ha fornito logica e coerente motivazione, avendo evidenziato che NOME COGNOME era in compagnia di NOME COGNOME al momento del controllo dei Carabinieri e stava uscendo dal capannone tut, che erai-i -rf uso proprio a suo padre; la sua presenza nel capannone, non altrimenti giustificabile, era stata attestata in altre occasioni non soltanto d testimone, ma anche dalle celle telefoniche, agganciate dalla sua utenza una pluralità di volte, sovente in concomitanza con quelle agganciate dall’utenza di NOME COGNOME.
A fronte della motivazione della sentenza impugnata le deduzioni del ricorrente sono tese a sollecitare una rivalutazione del compendio probatorio: operazione estranea, però, al giudizio di legittimità.
Peraltro, le censure, formulate nel ricorso, si basano su una parcellizzazione degli elementi di prova, correttamente vagliati dalla Corte territoriale, che è pervenuta a ritenere provata la partecipazione del ricorrente alla coltivazione di marijuana sulla scorta di una lettura unitaria e complessiva dell’intero compendio probatorio, in ossequio ai principi più volte affermati da questa Corte, secondo cui le diverse emergenze vanno valutate in una prospettiva globale e unitaria, tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo (ex plurimis: Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, S., Rv. 280605 – 02; Sez. 2, n. 42482 del 19/09/2013, COGNOME, Rv. 256967 – 01).
 Il secondo motivo, concernente il trattamento sanzionatorio, non è consentito.
Anche per il ricorrente la Corte territoriale ha valorizzato la quantità della sostanza detenuta presso il capannone e la natura organizzata dell’attività volta alla coltivazione dello stupefacente.
Trattasi di motivazione immune da censure di illogicità e, quindi, insindacabile in questa sede.
E’, infatti, da ritenere adempiuto l’obbligo della motivazione in ordine alla misura della pena allorché sia indicato l’elemento, tra quelli di cui all’art. 13 c.p., ritenuto prevalente e di dominante rilievo (Sez. un., n. 5519 del 21/4/1979, Pelosi, Rv. 142252 – 01).
Nel caso in esame, la Corte di appello, nel rideterminare la pena, ha indicato elementi che ha ritenuto prevalenti e che risultano riferibili ad entrambi gli imputati, concorrenti nel medesimo reato.
Tale rilievo è dirimente al fine di considerare incensurabile la motivazione spesa dal Collegio territoriale riguardo alla pena per il reato di cui al capo 2, determinata in pari misura per i due imputati.
La declaratoria di inammissibilità dei ricorsi comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) – della somma di euro tremila, equitativannente determinata, in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso 1’11/1/2024