LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Coltivazione di stupefacenti: quando è reato?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un uomo condannato per la coltivazione di 136 piante di cannabis. La Corte ha ribadito che il reato di coltivazione di stupefacenti sussiste quando la pianta ha la potenzialità di produrre un effetto drogante, indipendentemente dalla quantità di principio attivo presente al momento del sequestro. La vicinanza della coltivazione all’abitazione dell’imputato e la sua stessa ammissione sono state considerate prove decisive.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Coltivazione di Stupefacenti: Quando la Prova Schiaccia la Difesa

La coltivazione di stupefacenti continua ad essere un tema centrale nel dibattito giuridico, con sentenze che ne definiscono costantemente i contorni. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre spunti cruciali per comprendere quando questa attività integra un reato, focalizzandosi su due aspetti chiave: la prova della responsabilità e il concetto di offensività della condotta. Il caso analizzato riguarda un uomo condannato per aver coltivato 136 piantine di cannabis in un capannone adiacente alla sua abitazione.

I Fatti del Caso

L’imputato era stato condannato nei gradi di merito per il reato previsto dall’art. 73 del d.P.R. 309/1990, per aver coltivato 136 piante di cannabis indica. Le piante, di altezza variabile tra 6 e 9 centimetri, erano state rinvenute in un capannone situato nelle immediate vicinanze della sua abitazione, dove si trovava agli arresti domiciliari.

La difesa aveva tentato di creare un parallelo con un’altra vicenda processuale che vedeva coinvolto lo stesso soggetto. In quel caso, era stato assolto dall’accusa di detenzione di droga e armi trovate in un garage, poiché era stato impossibile stabilire con certezza la riconducibilità di quel luogo all’imputato. Il garage, infatti, era di proprietà di una ditta e affittato a un’altra persona.

Tuttavia, la situazione del capannone era nettamente diversa: non solo era attiguo alla sua residenza, ma, come emergerà, lo stesso imputato ne aveva ammesso la riconducibilità a sé.

I Motivi del Ricorso e la Decisione della Corte

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali:
1. Vizio di motivazione sull’attribuibilità della coltivazione: Sosteneva che, analogamente al caso del garage, non vi fossero prove certe per attribuirgli la coltivazione.
2. Mancanza di offensività: Affermava che la condotta non fosse penalmente rilevante in quanto le piantine non erano idonee a produrre un effetto drogante concreto.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile, con argomentazioni chiare e in linea con i suoi orientamenti più consolidati.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

### Inammissibilità e Rivalutazione delle Prove

In primo luogo, la Corte ha sottolineato che i motivi del ricorso erano una semplice riproposizione di censure già esaminate e respinte dai giudici di merito, senza una critica specifica alle argomentazioni della sentenza d’appello. Inoltre, il primo motivo mirava a una rivalutazione delle prove, un’attività preclusa al giudice di legittimità, il cui compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non riesaminare i fatti.

### La Prova della Coltivazione di Stupefacenti: Prossimità e Ammissione

La Corte ha smontato il parallelo con l’assoluzione per i beni nel garage. La differenza sostanziale risiedeva nella prova. Mentre per il garage la riconducibilità era incerta, il capannone era attiguo all’abitazione dell’imputato. L’elemento decisivo, che il ricorso non aveva neppure affrontato, era la dichiarazione dello stesso imputato, il quale aveva ammesso che quanto rinvenuto nel capannone era di sua esclusiva proprietà. Questa ammissione, unita alla vicinanza fisica, costituiva una prova schiacciante.

### Il Principio di Offensività nella Coltivazione di Stupefacenti secondo le Sezioni Unite

Sul secondo motivo, relativo alla presunta inoffensività della condotta, la Cassazione ha richiamato il fondamentale principio stabilito dalle sue Sezioni Unite (sentenza n. 12348/2019, c.d. “Caruso”). Secondo questo orientamento, il reato di coltivazione di stupefacenti si configura indipendentemente dalla quantità di principio attivo che si può ricavare nell’immediato.

Sono sufficienti due condizioni:
1. La conformità della pianta al tipo botanico vietato dalla legge.
2. L’attitudine della pianta, anche in base alle modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente.

In altre parole, non è necessario che le piantine sequestrate contengano già una dose drogante, ma è sufficiente che abbiano la potenzialità di produrla in futuro. La condotta è punita perché mette in pericolo il bene giuridico della salute pubblica, anticipando la tutela a uno stadio precedente alla produzione effettiva della sostanza.

Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida due principi cardine in materia di coltivazione di stupefacenti. In primo luogo, sul piano probatorio, la vicinanza della coltivazione al domicilio dell’indagato e, soprattutto, una sua ammissione di proprietà, sono elementi difficilmente superabili dalla difesa. In secondo luogo, sul piano sostanziale, viene confermato che la rilevanza penale della coltivazione non dipende dalla presenza attuale di principio attivo, ma dalla potenzialità della pianta di produrlo. Questa interpretazione, avallata dalle Sezioni Unite, rende penalmente rilevante anche la coltivazione di un numero limitato di piante, purché idonee a maturare.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché riproponeva le stesse argomentazioni già respinte nei precedenti gradi di giudizio, senza criticare specificamente la motivazione della sentenza impugnata, e perché chiedeva una nuova valutazione dei fatti, attività non consentita alla Corte di Cassazione.

È necessario che le piante di cannabis abbiano già un principio attivo rilevabile per essere condannati per coltivazione di stupefacenti?
No. Secondo l’orientamento consolidato delle Sezioni Unite della Cassazione, per configurare il reato è sufficiente che la pianta appartenga al tipo botanico vietato e abbia l’attitudine, anche potenziale, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente.

Quali prove sono state decisive per attribuire la coltivazione all’imputato?
Due elementi sono stati decisivi: la circostanza che il capannone con le piante fosse attiguo all’abitazione dell’imputato e, soprattutto, la sua stessa dichiarazione con cui ammetteva che le piante rinvenute erano di sua esclusiva proprietà.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati