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Coltivazione di stupefacenti: quando è reato?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un individuo condannato per la coltivazione di 40 piante di cannabis. La Corte ribadisce che il reato di coltivazione di stupefacenti si configura sulla base della potenziale capacità della pianta di produrre sostanza drogante, a prescindere dalla quantità di principio attivo immediatamente estraibile, escludendo nel caso specifico l’uso meramente personale.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Coltivazione di Stupefacenti: La Cassazione Ribadisce i Principi del Reato

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi su un tema di grande attualità e dibattito: la coltivazione di stupefacenti. La decisione chiarisce, ancora una volta, i criteri per cui tale condotta integra un reato, confermando un orientamento ormai consolidato. L’analisi del caso offre spunti fondamentali per comprendere la linea interpretativa della giurisprudenza di legittimità.

I Fatti del Caso: Una Coltivazione Contesta

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo condannato dalla Corte d’Appello per il reato di coltivazione di 40 piante. Da queste piante era possibile ricavare una sostanza stupefacente pari a 84 grammi, sufficienti per confezionare circa 3360 dosi medie. L’imputato ha contestato la decisione, portando le sue ragioni dinanzi alla Suprema Corte.

La Decisione della Cassazione sulla Coltivazione di Stupefacenti

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo una mera riproposizione di argomentazioni già esaminate e respinte nel merito, oltre che manifestamente infondato alla luce dei principi stabiliti dalle Sezioni Unite.

Il Principio delle Sezioni Unite “Caruso”

Il punto cardine della decisione risiede nel richiamo a una fondamentale sentenza delle Sezioni Unite (n. 12348/2019). Secondo questo principio, per configurare il reato di coltivazione di stupefacenti non è necessaria la presenza di una quantità specifica di principio attivo immediatamente estraibile dalle piante. Sono invece sufficienti due elementi:

1. La conformità della pianta al tipo botanico previsto dalla legge: la pianta deve appartenere a una delle specie vietate.
2. L’attitudine della pianta a produrre sostanza ad effetto stupefacente: deve essere idonea, anche in prospettiva, a giungere a maturazione e a generare il principio attivo.

Questa interpretazione sposta il focus dall’effettiva quantità di droga ricavabile nell’immediato alla potenziale offensività della condotta.

L’Esclusione della Coltivazione Domestica per Uso Personale

Un aspetto cruciale sottolineato dalla Corte è che, nel caso di specie, era stata esclusa la fattispecie della coltivazione domestica finalizzata all’uso meramente personale. Quest’ultima, a determinate e ristrette condizioni, può non essere considerata penalmente rilevante. Tuttavia, le caratteristiche della coltivazione in esame (numero di piante e quantità di dosi ricavabili) hanno portato i giudici a escludere tale ipotesi, configurando pienamente il reato.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha motivato la sua decisione di inammissibilità su due fronti. In primo luogo, il ricorso non presentava nuovi argomenti, ma si limitava a criticare la valutazione dei fatti già compiuta adeguatamente dalla Corte d’Appello. In secondo luogo, le censure sollevate si scontravano palesemente con i principi consolidati delle Sezioni Unite, che il giudice del merito aveva correttamente applicato. Pertanto, il ricorso è stato giudicato privo di fondamento legale. L’esito è stato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza conferma che, in materia di coltivazione di stupefacenti, la giurisprudenza è orientata a valutare la pericolosità potenziale della condotta. Non è necessario dimostrare che le piante abbiano già prodotto un’ingente quantità di principio attivo; è sufficiente che siano idonee a farlo. Questo principio ha importanti implicazioni: chiunque intraprenda la coltivazione di piante vietate, anche se in fase iniziale, rischia una condanna penale se le modalità della coltivazione non rientrano nei limiti strettissimi dell’uso personale e domestico, i quali devono essere rigorosamente dimostrati.

Quando la coltivazione di stupefacenti è considerata reato secondo la Corte?
È considerata reato quando la pianta coltivata appartiene a una specie botanica vietata e possiede l’attitudine, anche solo potenziale, a giungere a maturazione e a produrre sostanza con effetto stupefacente.

La quantità di principio attivo immediatamente estraibile è determinante per il reato?
No, la Corte chiarisce che il reato di coltivazione di stupefacenti si configura indipendentemente dalla quantità di principio attivo che si può estrarre nell’immediato. Ciò che conta è la conformità al tipo botanico e la sua potenziale capacità produttiva.

Perché il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché era riproduttivo di censure già esaminate e respinte dalla corte precedente e perché era manifestamente infondato, in quanto si opponeva a principi di diritto consolidati e correttamente applicati dal giudice del merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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