Coltivazione di Stupefacenti: La Cassazione Ribadisce i Principi del Reato
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi su un tema di grande attualità e dibattito: la coltivazione di stupefacenti. La decisione chiarisce, ancora una volta, i criteri per cui tale condotta integra un reato, confermando un orientamento ormai consolidato. L’analisi del caso offre spunti fondamentali per comprendere la linea interpretativa della giurisprudenza di legittimità.
I Fatti del Caso: Una Coltivazione Contesta
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo condannato dalla Corte d’Appello per il reato di coltivazione di 40 piante. Da queste piante era possibile ricavare una sostanza stupefacente pari a 84 grammi, sufficienti per confezionare circa 3360 dosi medie. L’imputato ha contestato la decisione, portando le sue ragioni dinanzi alla Suprema Corte.
La Decisione della Cassazione sulla Coltivazione di Stupefacenti
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo una mera riproposizione di argomentazioni già esaminate e respinte nel merito, oltre che manifestamente infondato alla luce dei principi stabiliti dalle Sezioni Unite.
Il Principio delle Sezioni Unite “Caruso”
Il punto cardine della decisione risiede nel richiamo a una fondamentale sentenza delle Sezioni Unite (n. 12348/2019). Secondo questo principio, per configurare il reato di coltivazione di stupefacenti non è necessaria la presenza di una quantità specifica di principio attivo immediatamente estraibile dalle piante. Sono invece sufficienti due elementi:
1. La conformità della pianta al tipo botanico previsto dalla legge: la pianta deve appartenere a una delle specie vietate.
2. L’attitudine della pianta a produrre sostanza ad effetto stupefacente: deve essere idonea, anche in prospettiva, a giungere a maturazione e a generare il principio attivo.
Questa interpretazione sposta il focus dall’effettiva quantità di droga ricavabile nell’immediato alla potenziale offensività della condotta.
L’Esclusione della Coltivazione Domestica per Uso Personale
Un aspetto cruciale sottolineato dalla Corte è che, nel caso di specie, era stata esclusa la fattispecie della coltivazione domestica finalizzata all’uso meramente personale. Quest’ultima, a determinate e ristrette condizioni, può non essere considerata penalmente rilevante. Tuttavia, le caratteristiche della coltivazione in esame (numero di piante e quantità di dosi ricavabili) hanno portato i giudici a escludere tale ipotesi, configurando pienamente il reato.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha motivato la sua decisione di inammissibilità su due fronti. In primo luogo, il ricorso non presentava nuovi argomenti, ma si limitava a criticare la valutazione dei fatti già compiuta adeguatamente dalla Corte d’Appello. In secondo luogo, le censure sollevate si scontravano palesemente con i principi consolidati delle Sezioni Unite, che il giudice del merito aveva correttamente applicato. Pertanto, il ricorso è stato giudicato privo di fondamento legale. L’esito è stato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza conferma che, in materia di coltivazione di stupefacenti, la giurisprudenza è orientata a valutare la pericolosità potenziale della condotta. Non è necessario dimostrare che le piante abbiano già prodotto un’ingente quantità di principio attivo; è sufficiente che siano idonee a farlo. Questo principio ha importanti implicazioni: chiunque intraprenda la coltivazione di piante vietate, anche se in fase iniziale, rischia una condanna penale se le modalità della coltivazione non rientrano nei limiti strettissimi dell’uso personale e domestico, i quali devono essere rigorosamente dimostrati.
Quando la coltivazione di stupefacenti è considerata reato secondo la Corte?
È considerata reato quando la pianta coltivata appartiene a una specie botanica vietata e possiede l’attitudine, anche solo potenziale, a giungere a maturazione e a produrre sostanza con effetto stupefacente.
La quantità di principio attivo immediatamente estraibile è determinante per il reato?
No, la Corte chiarisce che il reato di coltivazione di stupefacenti si configura indipendentemente dalla quantità di principio attivo che si può estrarre nell’immediato. Ciò che conta è la conformità al tipo botanico e la sua potenziale capacità produttiva.
Perché il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché era riproduttivo di censure già esaminate e respinte dalla corte precedente e perché era manifestamente infondato, in quanto si opponeva a principi di diritto consolidati e correttamente applicati dal giudice del merito.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 1561 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 1561 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a FOGGIA il 05/03/1984
avverso la sentenza del 22/12/2023 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
>
Ritenuto che il ricorso di NOME COGNOME che contesta la correttezza della motivazione posta&ase della dichiarazione di responsabilità per il reato di coltivazione di n. 40 piante da cui è ricavabile sostanza stupefacente pari a grammi 84,00 da cui erano ricavabili n. 3360 dosi medie, è inammissibile perché riproduttivo di profilo di censura già adeguatamente vagliata e disattesa con argomenti giuridici dal giudice del merito e manifestamente infondato alla luce dei principi enunciati dalle Sezioni Unite Caruso secondo cui il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo estraibile nell’immediatezza, essendo sufficienti l conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza ad effetto stupefacente (Sez. U, Sentenza n. 12348 del 19/12/2019, Rv. 278624 – 02) essendo stata esclusa la coltivazione domestica e l’uso meramente personale.
Rilevato che pertanto che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 06/12/2024
GLYPH