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Coltivazione di stupefacenti: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per la coltivazione di un ingente numero di piante di cannabis. La Corte ha ribadito che il reato di coltivazione di stupefacenti sussiste anche se le piante non sono mature, qualora abbiano la potenzialità di produrre sostanza drogante. Inoltre, per invocare la liceità della coltivazione come canapa industriale, è onere del coltivatore conservare e produrre la documentazione richiesta dalla legge, come le fatture d’acquisto e i cartellini delle sementi.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Coltivazione di Stupefacenti: Quando è Reato? L’Analisi della Cassazione

La coltivazione di stupefacenti è un tema complesso, al confine tra liceità e reato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre chiarimenti cruciali, distinguendo la coltivazione penalmente rilevante da quella riconducibile alla canapa industriale. La pronuncia esamina il caso di un individuo condannato per aver coltivato un numero significativo di piante di cannabis, definendo i contorni del reato e gli oneri probatori a carico di chi invoca la legalità della propria attività.

I Fatti del Caso

Il processo trae origine dalla condanna di un soggetto, confermata in appello, per il reato previsto dall’art. 73 del d.P.R. 309/90. Durante un’ispezione, erano state rinvenute 75 piante mature e circa 4.000 piantine pronte per essere impiantate. Le analisi sulle piante mature avevano rivelato un peso complessivo di 7 kg, con un principio attivo di quasi 7.800 mg, dal quale si sarebbero potute ricavare oltre 331 dosi medie singole. La condanna nei gradi di merito era stata di due anni, otto mesi e venti giorni di reclusione, oltre a una multa di 6.000 euro.

I Motivi del Ricorso: La Difesa dell’Imputato

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando un’errata applicazione della legge penale. I motivi principali erano due:

1. Mancanza di offensività: La difesa sosteneva che la condotta non fosse concretamente offensiva, contestando le risultanze della perizia tossicologica e affermando che la valutazione del peso delle piante aveva erroneamente incluso anche radici e fusti.
2. Applicabilità della legge sulla canapa industriale: Il ricorrente invocava l’applicazione della Legge n. 242/2016, sostenendo che spettasse all’accusa dimostrare che le piante non rientrassero tra le varietà di cannabis lecite, iscritte nel Catalogo europeo.

L’Analisi della Corte sulla Coltivazione di Stupefacenti

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno smontato le argomentazioni difensive basandosi su principi giurisprudenziali consolidati.

L’Offensività della Condotta

La Corte ha ribadito un principio fondamentale stabilito anche dalle Sezioni Unite: ai fini della punibilità della coltivazione di stupefacenti, l’offensività della condotta non è esclusa dalla mancata maturazione delle piante o dall’assenza di principio attivo nell’immediato. Ciò che rileva è la potenziale capacità degli arbusti di produrre, una volta completato il ciclo di sviluppo, una quantità significativa di prodotto con effetti droganti. Nel caso specifico, il numero ingente di piante (75 mature e 4.000 piantine) dimostrava inequivocabilmente tale potenzialità.

L’Onere della Prova per la Canapa Industriale

Particolarmente interessante è la parte della decisione relativa alla Legge n. 242/2016. La Corte ha chiarito che, sebbene la legge consenta la coltivazione di determinate varietà di canapa senza autorizzazione, impone precisi obblighi al coltivatore. L’art. 3 della legge stabilisce l’obbligo di conservare i cartellini delle sementi acquistate per almeno dodici mesi e le relative fatture d’acquisto. Il ricorrente, nel suo ricorso, non aveva neppure affermato di essere in possesso di tale documentazione, rendendo la sua doglianza generica e non accoglibile. In pratica, spetta a chi coltiva dimostrare la liceità della propria attività attraverso la documentazione prescritta.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sulla distinzione tra la valutazione di merito, preclusa in sede di legittimità, e il controllo sulla corretta applicazione della legge. I giudici hanno ritenuto che le censure del ricorrente fossero una mera riproposizione di questioni di fatto già adeguatamente valutate dalla Corte d’Appello, senza evidenziare vizi logici nella motivazione della sentenza impugnata. La Corte ha sottolineato come la quantità di piante e il principio attivo potenzialmente ricavabile fossero elementi sufficienti a integrare il reato, a prescindere dallo stadio di maturazione di una parte delle piante. Sul fronte della canapa industriale, la decisione chiarisce che la legge del 2016 crea un regime di liceità condizionato al rispetto di specifici oneri documentali, la cui assenza impedisce di invocare la scriminante.

Le Conclusioni

L’ordinanza consolida due principi chiave in materia di coltivazione di stupefacenti. Primo, il reato si configura non solo sulla base del prodotto attuale, ma anche sulla base del prodotto potenziale, valutando l’idoneità della coltivazione a produrre sostanza drogante. Secondo, chi intende avvalersi della normativa sulla canapa industriale ha l’onere di provare la provenienza lecita delle sementi attraverso la conservazione di fatture e cartellini. In assenza di tale prova, la coltivazione è da considerarsi illecita e penalmente rilevante. La decisione si conclude con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, a causa dell’inammissibilità del ricorso.

La coltivazione di piante di cannabis non ancora mature è reato?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, la coltivazione è reato anche se le piante non sono mature o prive di principio attivo nell’immediato. È sufficiente che siano prevedibilmente in grado di produrre, al termine del loro sviluppo, una quantità significativa di sostanza con effetti droganti.

Come si può dimostrare che la coltivazione di canapa è legale ai sensi della legge 242/2016?
Per dimostrare la liceità della coltivazione, il coltivatore ha l’obbligo di conservare i cartellini della semente acquistata per un periodo non inferiore a dodici mesi e le relative fatture d’acquisto. La mancata presentazione di questa documentazione rende generica e infondata la pretesa di liceità.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, come in questo caso, la Corte non esamina il merito della questione. La sentenza impugnata diventa definitiva e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, se non vi è assenza di colpa, a versare una somma alla Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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