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Coltivazione di stupefacenti: Cassazione e prove

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per la coltivazione di stupefacenti. Il caso riguardava la coltivazione di 174 piante di canapa e la detenzione di un quantitativo tale da produrre 793 dosi. La Corte ha ribadito che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti, ma di giudicare la corretta applicazione della legge. La condanna è stata confermata perché la grande quantità di principio attivo escludeva l’ipotesi di reato di lieve entità, e i precedenti penali dell’imputato giustificavano la pena inflitta.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Coltivazione di Stupefacenti: La Cassazione Conferma la Condanna e Chiarisce i Limiti del Ricorso

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso di coltivazione di stupefacenti, ribadendo principi fondamentali sia sul merito della questione sia sui limiti del giudizio di legittimità. La vicenda riguarda un imputato condannato per aver coltivato un ingente numero di piante di canapa destinate allo spaccio. L’analisi della Suprema Corte offre spunti preziosi per comprendere come vengono valutati questi reati e quali sono le possibilità di difesa in sede di ricorso.

I Fatti del Caso: La Coltivazione e il Sequestro

Il ricorrente era stato giudicato colpevole sia in primo grado che in appello per il reato previsto dall’art. 73, comma 4, del D.P.R. 309/90. Le accuse erano precise: aver coltivato, a fine di vendita e spaccio, 174 piante di canapa. Dopo la defogliazione, la sostanza ammontava a 206,60 grammi netti. A questo si aggiungeva la detenzione di ulteriori 448 grammi di cannabis. Le analisi tecniche avevano accertato la presenza di un principio attivo (Delta 9 THC) tale da poter ricavare ben 793 singole dosi medie droganti. Nonostante il riconoscimento delle attenuanti generiche, la condanna era stata confermata dalla Corte d’Appello.

I Motivi del Ricorso e la questione della coltivazione di stupefacenti

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su quattro motivi principali:
1. Mancata rinnovazione del dibattimento: Si contestava la decisione della Corte d’Appello di non riaprire l’istruttoria per nuove prove.
2. Errata qualificazione giuridica: Si sosteneva che la condotta dovesse rientrare nell’ipotesi più lieve del comma 5 dell’art. 73 o essere inquadrata nella normativa sulla canapa industriale (L. 242/2016).
3. Esclusione dell’ipotesi di lieve entità: Si criticava la motivazione con cui era stata esclusa la fattispecie meno grave.
4. Pena eccessiva: Si lamentava un’applicazione della pena finale sproporzionata rispetto al caso concreto.

La Decisione della Corte: Ricorso Inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le doglianze sollevate dalla difesa. La decisione si fonda su argomentazioni nette che delineano chiaramente il perimetro del giudizio di legittimità.

Le Motivazioni

I giudici hanno innanzitutto unito il primo e il secondo motivo di ricorso, evidenziando come entrambi mirassero a una rivalutazione delle prove, un’attività preclusa alla Corte di Cassazione. Il compito della Suprema Corte non è rifare il processo, ma verificare che i giudici di merito abbiano applicato correttamente la legge e motivato la loro decisione in modo logico e non contraddittorio. Nel caso di specie, la ricostruzione dei fatti operata dalla Corte d’Appello è stata ritenuta non arbitraria e basata su prove concrete.

In particolare, la sentenza ha sottolineato che le analisi tecniche avevano rilevato una percentuale di THC tra il 7,55% e l’11,24%, per un totale di principio attivo puro di quasi 20 grammi, sufficiente a confezionare 793 dosi. Questo dato oggettivo, secondo la Corte, è più che sufficiente per integrare il reato di cui all’art. 73, comma 4, e per escludere a priori l’ipotesi di lieve entità. La destinazione allo spaccio era palese data l’enorme quantità di dosi ricavabili.

Riguardo alla pena, la Cassazione ha ritenuto la motivazione dei giudici di merito adeguata. Il Tribunale aveva già concesso il minimo della pena edittale, ma non poteva concedere ulteriori benefici a causa dei precedenti penali specifici dell’imputato, che indicavano una non trascurabile pericolosità sociale.

Le Conclusioni

Questa ordinanza è emblematica per due ragioni. In primo luogo, conferma che nel reato di coltivazione di stupefacenti, il dato quantitativo e qualitativo della sostanza (in particolare il numero di dosi ricavabili) è un elemento centrale per distinguere tra un fatto di lieve entità e un reato più grave finalizzato allo spaccio. In secondo luogo, ribadisce un principio cardine del processo penale: il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti. Se la motivazione della sentenza d’appello è logica, coerente e basata sulle prove acquisite, la Suprema Corte non può intervenire per offrire una lettura alternativa dei fatti. La decisione, pertanto, consolida l’orientamento secondo cui le contestazioni basate su una diversa interpretazione delle prove sono destinate all’inammissibilità.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove, come la quantità di droga sequestrata?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare le prove o fornire una lettura alternativa dei fatti. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata, non condurre un nuovo giudizio sul merito.

Perché la coltivazione di stupefacenti non è stata considerata di ‘lieve entità’ in questo caso?
L’ipotesi di lieve entità è stata esclusa a causa dell’ingente quantitativo di principio attivo sequestrato, dal quale era possibile ricavare circa 793 dosi medie droganti. Una quantità così elevata è stata ritenuta incompatibile con una minima offensività del fatto.

Avere precedenti penali influisce sulla determinazione della pena e sulla concessione di benefici?
Sì, i precedenti penali, specialmente se specifici per reati della stessa natura, vengono valutati negativamente dal giudice. In questo caso, gli ‘apprezzabili precedenti penali’ dell’imputato in materia di stupefacenti sono stati un fattore determinante per negare ulteriori benefici e confermare la pena, in quanto indicativi di una non trascurabile pericolosità sociale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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