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Coltivazione di stupefacenti: appello inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo condannato per detenzione e coltivazione di stupefacenti. I motivi, ritenuti manifestamente infondati e ripetitivi di censure già respinte in appello, riguardavano la responsabilità, la non punibilità per particolare tenuità del fatto, la qualificazione giuridica dei reati e l’aggravante della recidiva. La Corte ha confermato la decisione di merito, condannando il ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Coltivazione di Stupefacenti: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

L’illecita coltivazione di stupefacenti è un reato che continua a occupare le aule di giustizia, sollevando questioni complesse sia sul piano sostanziale che processuale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti spunti di riflessione sui limiti dell’impugnazione e sulle conseguenze di un ricorso basato su motivi ritenuti infondati e ripetitivi. Analizziamo insieme la vicenda e le conclusioni a cui sono giunti i giudici di legittimità.

I Fatti del Caso: Detenzione e Coltivazione in Luoghi Diversi

Il caso esaminato riguarda un individuo condannato nei gradi di merito per due distinte condotte: la detenzione di sostanze stupefacenti presso la propria abitazione e l’allestimento di una coltivazione presso la casa dei genitori. L’imputato, non accettando la sentenza della Corte d’Appello, ha proposto ricorso per Cassazione, articolando diverse censure volte a smontare l’impianto accusatorio e la decisione dei giudici.

I Motivi del Ricorso e la Risposta della Corte

Il ricorrente ha basato la sua difesa su quattro motivi principali:

1. Responsabilità e Tenuità del Fatto: Si contestava la ritenuta responsabilità e si chiedeva l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), sostenendo che la condotta fosse scarsamente offensiva.
2. Qualificazione Giuridica: Si contestava la valutazione dei giudici in merito alla destinazione a terzi della sostanza, un elemento chiave per distinguere l’uso personale dallo spaccio.
3. Unicità del Reato: Si sosteneva che le due condotte (detenzione e coltivazione) dovessero essere considerate un unico reato e non due distinti, in quanto assorbite in un’unica ipotesi criminosa.
4. Recidiva: Si criticava l’aumento di pena applicato a titolo di recidiva, ritenendolo ingiustificato.

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi, dichiarando il ricorso inammissibile. La ragione di fondo è che le argomentazioni proposte non erano altro che una riproduzione di censure già adeguatamente esaminate e confutate dalla Corte d’Appello, senza che venissero sollevati vizi di legittimità rilevanti.

Le motivazioni della Cassazione sulla coltivazione di stupefacenti

La Suprema Corte ha analizzato punto per punto le doglianze del ricorrente, smontandole con argomentazioni precise. Innanzitutto, ha ritenuto manifestamente infondato il primo motivo, sottolineando come la Corte d’Appello avesse logicamente motivato la responsabilità dell’imputato, anche sulla base del fatto che lui stesso aveva indicato agli inquirenti il luogo della coltivazione. Questa circostanza, unita ad altre, escludeva la possibilità di considerare il fatto di particolare tenuità.

Cruciale è stata la valutazione sul terzo motivo. I giudici hanno chiarito che la detenzione presso la propria abitazione e la coltivazione di stupefacenti presso quella dei genitori erano condotte nettamente distinte, sia sotto il profilo spaziale che cronologico. Tale distinzione impediva di considerarle come un unico reato, configurando invece un concorso di reati.

Infine, anche la censura sulla recidiva è stata respinta. La Corte ha confermato la valutazione dei giudici di merito, secondo cui le modalità di realizzazione dei reati palesavano una ‘marcata pericolosità e maggiore colpevolezza’, tali da giustificare pienamente l’aumento di pena.

Conclusioni: L’Inammissibilità del Ricorso e le Sue Conseguenze Pratiche

La decisione della Cassazione ribadisce un principio fondamentale del processo penale: il ricorso per legittimità non può essere una semplice riproposizione delle argomentazioni già sconfessate in appello. Per essere ammissibile, deve individuare specifici vizi di violazione di legge o di motivazione (illogica, contraddittoria o carente) nella sentenza impugnata. In assenza di ciò, il ricorso viene dichiarato inammissibile. Le conseguenze per il ricorrente sono significative: non solo la condanna diventa definitiva, ma scatta anche l’obbligo di pagare le spese processuali e una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in tremila euro.

Due condotte separate di detenzione e coltivazione di stupefacenti costituiscono un unico reato?
No. La Corte di Cassazione, confermando la decisione dei giudici di merito, ha stabilito che la detenzione e la coltivazione avvenute in luoghi e tempi distinti (in questo caso, l’abitazione dell’imputato e quella dei suoi genitori) integrano reati plurimi e non possono essere assorbite in un’unica ipotesi di reato.

Un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile se ripropone le stesse argomentazioni già respinte in Appello?
Sì. L’ordinanza chiarisce che un ricorso è manifestamente infondato e quindi inammissibile quando si limita a riproporre le medesime censure già adeguatamente valutate e respinte dalla Corte d’Appello, senza introdurre nuovi e validi vizi di legittimità.

Come viene valutata la recidiva in casi di coltivazione di stupefacenti?
La recidiva viene valutata in base alla pericolosità e alla colpevolezza dimostrate dalle modalità di realizzazione del reato. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che tali modalità palesassero una marcata pericolosità e una maggiore colpevolezza, giustificando così l’aumento di pena connesso alla recidiva contestata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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