Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 15560 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 15560 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 08/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ADRANO il 15/06/1968
avverso la sentenza del 18/09/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La Corte di appello di Catania ha confermato la sentenza del Tribunale locale del 30 aprile 2018, con la quale, all’esito di giudizio abbreviato, NOME COGNOME è stato condannato in ordine al reato di cui all’art. 73, comma 4 d.P.R. n. 309/ 1990 per avere coltivato sostanza stupefacente del tipo marijuana e in particolare 69 piante, buona parte delle quali già germogliate e ad alto fusto dalle quali era possibile ricavare 619 grammi e 24.760 dosi medie giornaliere.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo, con due motivi di ricorso, violazione di legge e carenza di motivazione in ordine alla mancata riqualificazione del fatto in quello di cui all’art. 73, co. 5, d.P.R. n. 309/1990, nonché violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis cod. pen.
Il ricorso è manifestamente infondato. I motivi dedotti, infatti, in part colare, lungi dal confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, si limitano a reiterare profili di censura già adeguatamente e correttamente vagliati e disattesi dalla Corte di appello, lamentando, in maniera del tutto generica e aspecifica, una presunta carenza della motivazione non emergente dal provvedimento impugnato (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione).
2.1. Quanto al primo motivo, la Corte territoriale, con motivazione non manifestamente illogica e conforme ai principi più volte affermati sul punto, ha disatteso le censure difensive formulate, rilevando che l’imputato aveva avviato, su un terreno di sua proprietà, una strutturata attività di coltivazione di marijuana. Di conseguenza, le modalità di gestione della piantagione, unitamente al consistente dato ponderale rinvenuto – con principio attivo ricavabile pari a 619 g., corrispondenti a n. 24.760 dosi medie giornaliere- risultavano del tutto incompatibili con la paventata qualificazione di lieve entità di cui all’art. 73, co. 5, d.P.R. n. 309/1990
Il provvedimento impugnato, pertanto, appare pienamente conforme al dictum di questa Corte di legittimità secondo cui, in tema di stupefacenti, la fattispecie del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R., n. 309/1990- anche all’esito della formulazione normativa introdotta dall’art. 2 del D.L. n. 146 del 2013 (conv. in legge n. 10 del 2014) e della legge 16.05.2014 n. 79 che ha convertito
con modificazioni il decreto-legge 20.3.2014 n. 36- può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell’azione), con una valutazione che deve essere complessiva, ma al cui esito è possibile che uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione restando priva di incidenza sul giudizio (così Sez. U. n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076 che, a pag. 14 della motivazione, ricordano che rimangono pertanto attuali i principi affermati nei precedenti arresti delle Sez. U., n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911 e Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216668 cfr. anche ex multis, Sez. 3, n. 23945 del 29/4/2015, COGNOME, Rv. 263551).
2.2. Quanto al secondo motivo, va ricordato che, in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché non sia contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269, fattispecie nella quali la Corte ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo sentenza ai numerosi precedenti penali dell’imputato); sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549).
La motivazione resa dalla Corte di appello è ben rappresenta e giustifica le ragioni per cui il giudice di primo grado ha ritenuto di negare il riconoscimento del beneficio ex art. 62-bis cod. pen. all’imputato, esprimendo una motivazione priva di vizi logici e coerente con le emergenze processuali, in quanto tale insindacabile in sede di legittimità (Sez. 6, n. 42688 2 del 24/09/2008, COGNOME e altri, Rv 242419-01), in particolar modo evidenziando la mancanza di elementi positivamente valutabili, avuto riguardo all’intensità dolosa evidenziata dall’organizzazione adottata dal prevenuto per le finalità illecite perseguite.
Ed invero, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della dimi nuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 4 n. 32872 del 08/06/2022, Rv.283489- 01;Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Rv. 270986 01; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014 Rv. 260610 01, cfr. anche Sez. 3 n. 1913 del 20/12/2018, Rv. 275509 – 03).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Deciso in data 8 aprile 2025
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