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Coltivazione di cannabis: inammissibile il ricorso

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo condannato per coltivazione di cannabis. L’ordinanza chiarisce che il giudizio di legittimità non può rivalutare i fatti o la congruità della pena se le decisioni dei giudici di merito sono adeguatamente motivate, come nel caso di specie, in cui la destinazione allo spaccio era stata logicamente desunta.

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Pubblicato il 18 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Coltivazione di cannabis: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il giudizio di legittimità non è una terza istanza di merito. Analizzando un caso di coltivazione di cannabis, i giudici hanno dichiarato inammissibile un ricorso che mirava a una nuova valutazione dei fatti e della congruità della pena, già ampiamente motivata nei gradi precedenti.

I Fatti del Processo

Il ricorrente era stato condannato in primo grado e in appello per il reato previsto dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti. L’accusa era di aver allestito una coltivazione domestica di cannabis, con numerose piante in vaso, e di detenere foglie e piante già poste in essiccazione. Dalle analisi era emerso che dal principio attivo si sarebbero potute ricavare oltre 600 dosi medie singole, un quantitativo significativo.

I Motivi del Ricorso e la coltivazione di cannabis

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali:

1. Vizio di motivazione: Si contestava l’affermazione di responsabilità penale, sostenendo che non vi fosse prova della finalità di cessione a terzi della sostanza. Inoltre, si riteneva che la condotta, riguardante solo 7 piante, non fosse offensiva.
2. Inadeguatezza della pena: Si lamentava un trattamento sanzionatorio eccessivamente severo, che avrebbe dovuto essere riconsiderato in senso più favorevole.

In sostanza, il ricorso non contestava una violazione di legge, ma chiedeva ai giudici della Cassazione di riconsiderare le conclusioni a cui erano giunte le corti di merito.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Settima Sezione Penale ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.

Le Motivazioni: Il Ruolo della Cassazione non è rivalutare i Fatti

La Corte ha chiarito che le doglianze del ricorrente riguardavano la ricostruzione e la valutazione del fatto, aspetti di esclusiva competenza dei giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). I giudici dei gradi precedenti avevano fornito una motivazione “congrua e adeguata” sulla destinazione a terzi della sostanza stupefacente. Questa conclusione era basata su corretti criteri di inferenza e “condivisibili massime di esperienza”, rendendo il ragionamento logico e coerente con le prove raccolte.

La Cassazione ha ribadito che al giudice di legittimità è preclusa la rilettura degli elementi di fatto e l’adozione di nuovi parametri di valutazione. Il suo compito non è decidere se la valutazione del giudice di merito sia la migliore possibile, ma solo se sia logicamente valida e legalmente corretta.

Le Motivazioni: La Congruità della Pena

Anche riguardo alla lamentela sulla severità della pena, la Corte ha ritenuto il motivo inammissibile. La Corte d’Appello aveva adeguatamente motivato la sua decisione sulla congruità della sanzione, richiamando i criteri dell’art. 133 del codice penale (gravità del reato, capacità a delinquere). La determinazione della pena è una valutazione di merito e, a meno che non sia frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico, non può essere sindacata in sede di legittimità.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza conferma un caposaldo del diritto processuale penale: il ricorso per cassazione deve denunciare vizi di legittimità, ovvero errori nell’applicazione della legge o difetti manifesti nella motivazione, e non può trasformarsi in un tentativo di ottenere una nuova valutazione delle prove. Per i casi di coltivazione di cannabis, come per qualsiasi altro reato, chi intende ricorrere in Cassazione deve concentrarsi su specifiche violazioni di norme giuridiche e non sulla speranza che la Suprema Corte offra una lettura dei fatti più favorevole di quella già data, e motivata, dai giudici di merito.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove in un caso di coltivazione di cannabis?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare le prove o la ricostruzione dei fatti. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge, non agire come un terzo grado di giudizio di merito.

Un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile se contesta solo la quantità della pena?
Sì, se la pena è stata determinata dal giudice di merito con una motivazione logica e non arbitraria, basata sui criteri dell’art. 133 c.p., la Cassazione non può riesaminare la sua congruità. Una censura di questo tipo, che mira a una nuova valutazione, è inammissibile.

Cosa significa che la motivazione dei giudici di merito era ‘congrua e adeguata’?
Significa che i giudici dei precedenti gradi di giudizio hanno spiegato in modo logico e sufficiente perché hanno ritenuto l’imputato colpevole e perché hanno considerato la sostanza stupefacente destinata alla cessione a terzi, basandosi su corretti criteri di inferenza e massime di esperienza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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