Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35638 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35638 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME NOME a CINQUEFRONDI il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a ROSARNO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/10/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono, a mezzo del comune difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo con un primo motivo vizio di motivazione per travisamento della prova in relazione alla campionatura e all’accertamento e quantificazione della sostanza, che ha preso in considerazione il numero di piante e non di steli e in ordine alla mancata esecuzione della procedura prevista dalla I. 242/16 trattandosi di coltivazione di sostanza stupefacente autorizzata e con un secondo motivo violazione di legge e/o vizio motivazionale in relazione al trattamento sanzioNOMErio e al diniego delle circostanze attenuanti generiche. Chiedono, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
In data 2 settembre 2024 è stata presentata memoria difensiva nell’interesse dei ricorrenti con la quale si è insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
I motivi sopra richiamati sono manifestamente infondati, in quanto assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi.
Gli stessi, in particolare, non sono sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata.
Va anche rilevato che si deauce il travisamento della prova in termini non conformi alla consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità relativa a tale vizio. Ed invero, in presenza di una c.d. “doppia conforme”, ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l’affermazione di responsabilità), il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (cfr. Sez. 4, n. 19710/2009, Rv. 243636 secondo cui , sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), introdotta dalla I. n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio d travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c. d. doppia conforme, superarsi il limite del “devolutum” con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei moti di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo
giudice; conf. Sez. 2, n. 47035 del 3/10/2013, COGNOME, Rv. 257499; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013 dep. 2014, COGNOME, Rv. 258432; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 dep. 2014, COGNOME ed altro, Rv. 258438; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 dep. 2017, RAGIONE_SOCIALE ed altro, Rv. 269217).
Nel caso dì specie, al contrario, la Corte di appello ha riesamiNOME e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del tribunale e, dopo avere preso atto delle censure degli appellanti, è giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità degli imputato che, in concreto, si limitano a reiterare le doglianze già incensurabilmente disattese nel precedente grado e riproporre la propria diversa lettura” delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti degli elementi probatori valorizzati.
Ne deriva che i proposti ricorsi vanno dichiarato inammissibili.
I ricorrenti, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
3.1. I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità del prevenuto, ed in particolare, richiamata la ricostruzione in fatto del primo giudice, hanno evidenziato come non vi sia dubbio in merito al fatto che, all’arrivo degli operanti, gli odierni ricorrenti fossero s trovati all’interno del cortile, intenti a pulire delle infiorescenze di piante di can bis derivanti dalla coltivazione dai medesimi impiantata. E di come non possa dubitarsi di quanto documentato in atti dai militari operanti in merito al fatto che, i zona pertinenziale a quella dove si trovavano gli odierni imputati, fosse stato creato un ambiente adibito all’essicazione di piante di canapa estirpate.
Al netto della valenza fidefaciente di quanto attestato dai Carabinieri circa le operazioni svolte, si rileva poi in sentenza che dal fascicolo fotografico acquisito in atti, emerge nitidamente la presenza dell’ambiente così come da questi descritto nella c.n.r. del 21.7.2022. Si vede in modo chiaro come vi fossero delle reti metalliche e dei fili di nylon serventi come appoggio per l’essiccazione di diversi stel di piante di cannabis, ancora dotati di infiorescenze, appesi ad asciugare con l’ausilio di appositi ventilatori.
In seguito al narcotest eseguito, viene ricordato effettivamente, la sostanza testata dagli operanti aveva dato esito positivo al reagente per la marijuana. E in seguito al campionamento operato dai militari, la sostanza prelevata per il successivo accertamento tecnico, demandato al RIS di Messina, era stata consegnata al reparto da ultimo menzioNOME per le opportune analisi cliniche, svolte e compendiate nella relazione versata in atti.
Dalla lettura di tale elaborato tecnico – si dà conto in sentenza – si trae ulteriore conforto rispetto a quanto già ricavabile dalla documentazione stilata dai militari operanti in merito agli esiti dell’attività svolta. Emerge, infatti, come al fossero stati consegnati campioni di “foglie ed infiorescenze essiccate”, rinvenuti, evidentemente, nella disponibilità dei due imputati, dovendosi quindi escludere che gli stessi si stessero limitando alla pulitura e imbustatura dei soli steli dell piante di canapa, che, in base a quanto dichiarato dagli appellanti, erano state da loro lecitamente messe a semina, appartenenti al tipo FIBROR 79 di cui si è detto.
Le foglie ed infiorescenze analizzate dal RIS, per quanto è dato trarre sempre dalla relazione tecnica in atti, erano state prelevate dalla p.g. operante, da piante appartenenti a tre diversi gruppi di altezza.
All’esito delle analisi cliniche svolte, era emerso che, dal solo materiale campioNOME (foglie ed infiorescenze repertate) era risultato estraibile un principio attivo THC totale di 1560,1 grammi (superiore di oltre 2.000 volte alla dose soglia, pari a 500 grammi).
Corretto, appare, dunque il rilievo che sia ben pronosticabile, con elevato grado di credibilità razionale, che un’analisi operata sul complesso delle infiorescenze e foglie rinvenute in possesso degli imputati, avrebbe condotto al superamento della soglia dei 2 Kg di principio attivo, individuata dalla giurisprudenza di legittimità come soglia oltre la quale può ritenersi integrata, per le droghe leggere la circostanza di cui all’art. 80 del D.P.R. 309/1990 (il richiamo è al dictum di S.U. n. 14772/2020).
Inoltre, con motivazione logica e congrua, pienamente rispondente alla questione oggi riproposta, la Corte territoriale dà atto che, a fronte delle indicat emergenze probatorie, a nulla vale soffermarsi, sulla distinzione fra piante e steli campionati dalla p.g, in quanto, quand’anche quelli repertati dai militari fossero stati steli con foglie e infiorescenze, piuttosto che vere e proprie piante, ciò, co munque, non avrebbe mutato il dato risultante dalle analisi cliniche di cui si è detto. Analisi condotte proprio sulle foglie ed infiorescenze che sono quelle in cui è rinvenibile il principio attivo dotato di efficacia drogante. In altri termini, dette foglie ed infiorescenze fossero state estratte da singoli steli, di altezza x, y e z, o da piante di altezza x, y, e z, ciò, comunque non altererebbe la rappresentatività del campionamento, né, soprattutto, la prognosi certamente sostenibile, operata dalla Corte, secondo cui, stante l’elevato quantitativo di principio attivo ricavato già solo dal materiale campioNOME, certamente analizzando l’intero quantitativo di foglie e infiorescenze rinvenuto nella disponibilità degli imputati si s rebbe giunti a superare la dose dei 2 Kg sopra indicata, con piena sussistenza dell’aggravante dell’ingente quantità di cui all’art. 80 del D.P.R. 309/1990.
Tanto premesso, i giudici del gravame del merito non ritengono condivisibile l’argomento speso dalla Difesa circa l’inidoneità dell’accertamento svolto dai militari ai fini dell’accertamento della responsabilità penale dei due imputati. Accertamento che, a dire della Difesa, avrebbe dovuto essere condotto secondo le speciali regole e metodiche previste dalla L. 242/2016 (secondo quanto dettagliatamente esposto nell’atto d’appello e ribadito anche in questa sede di legittimità).
Osserva fondatamente la Corte territoriale che, secondo tale prospettazione, infatti, dovrebbe ascriversi alla citata legge del 2016 una valenza di fatto abrogativa rispetto ad ogni possibilità di accertamento di condotte illecite, secondo gli ordinari canoni d’indagine, basati sulle previsioni del d.P.R. 309/1990, ogni qual volta un soggetto si sia precostituito delle prove per dimostrare di avere piantato semi di piante di canapa di cui sia lecita la coltivazione. Ma ciò viene logicamente ritenuto non sostenibile in presenza di elementi di sospetto, atti a fornire agli inquirenti spunti investigativi, come nel caso di specie, pena il rischio di creare un agevole lasciapassare a chiunque, dal 2016 in poi, abbia inteso mascherare una coltivazione illecita attraverso il ricorso allo schermo giuridico di una coltivazione ammessa.
Nel caso che ci occupa, viene evidenziato che non solo le piante di canapa coltivate dai due imputati erano state già interamente estirpate al momento del controllo, apparendo così impossibile una qualsiasi verifica di tipo diverso da quella operata dai militari nell’immediatezza del sopralluogo svolto, ma, inoltre, si deve considerare tutto quanto già sopra descritto in merito ai plurimi elementi che avevano indotto in sospetto i Carabinieri intervenuti.
In merito, la Corte territoriale si sofferma analiticamente, in più punti della sentenza, diversamente da quanto si sostiene in ricorso, sulle differenze di caratteristica fra le infiorescenze delle piante di canapa TARGA_VEICOLO e quelle rinvenute nella disponibilità degli imputati, oltre alla differenza notevole nei tempi di maturazione.
In base a quanto globalmente emerso, insomma, nel caso di specie, secondo la logica e congrua motivazione della sentenza impugnata, gli spunti investigativi, si sono tradotti in gravi, precisi e concordanti indizi circa il fatto che i due imputa non avevano affatto piantato, in realtà, semi di canapa TARGA_VEICOLO, come avrebbero voluto far credere agli inquirenti, avendo essi, piuttosto, impiantato una coltivazione di piante di cannabis rientranti in tipologia di cui deve ritenersi tutt’alt che lecita la coltivazione, sotto lo schermo di un’attività lecita (attività rispetto a quale, viene evidenziato, non è neppure emerso in modo chiaro che essi avessero aperto una vera e propria attività , non risultando alcuna iscrizione presso la camera di commercio a nome dell’COGNOME titolare di P.IVA e del contratto
di affitto del fondo su menzioNOME). Una coltivazione i cui derivati essi stavano provvedendo a lavorare al momento del controllo eseguito dalla P.G..
In sentenza ci si confronta anche con la tesi sostenuta dalla Difesa circa l’evenienza di un possibile fenomeno di impollinazione o di contaminazione, evidenziando come la stessa sia priva di alcun tipo di allegazione utile a supporto, a fronte del compendio probatorio già commentato, ritendo, perciò, che non appaia meritevole di considerazione, assurgendo a mera ipotesi. E ritenendo che non appare condivisibile neppure l’argomentazione spesa in merito alla necessità di considerare, nella quantificazione del principio attivo, la percentuale di inevitabile d spersione della sostanza drogante per effetto della combustione. Ciò perché si tratta di un calcolo che avrebbe natura speculativa, che l’autorità giudiziaria non è tenuta ad operare né nel valutare la sussistenza di principio attivo in grado di superare la soglia drogante, né in sede di valutazione della sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 80 del d.P.R. 309/1990, per la cui integrazione la consolidata giurisprudenza di legittimità richiede che il giudice formuli semplicemente un “giudizio prognostico sulla quantità di stupefacente ricavabile dalla piantagione all’esito del ciclo produttivo, in ragione del suo prevedibile sviluppo apprezzato ancorandosi ai valori minimi, secondo un criterio prudenziale imposto dalla natura proiettiva di tale giudizio” (il corretto richiamo è a Sez. 6, 49119/2022).
3.2. Manifestamente infondato è anche il motivo in punto di trattamento sanzioNOMErio, che peraltro la Corte territoriale ha ridetermNOME in senso più favorevole all’imputato, e di diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Ed invero, quanto a queste ultime, i giudici di appello hanno ritenuto di doverne confermare il diniego in considerazione della capacità delinquenziale dimostrate e dell’oggettiva gravità della condotta posta in essere, con metodo organizzato e con precostituzione di un fittizio schermo da utilizzare in caso di controlli, proprio come fatto.
Dunque, il provvedimento impugNOME appare collocarsi nell’alveo del costante dictum di questa Corte di legittimità, che ha più volte chiarito che, ai fini dell’a solvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili da atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comun que rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (co Sez. 3, n. 23055 del 23/4/2013, Banic e altro, Rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell’imputato, nonché al suo negativo comportamento processuale).
La motivazione in punto di dosimetria della pena nel provvedimento impugNOME è logica, coerente e corretta in punto di diritto (sull’onere motivazionale de giudice in ordine alla determinazione della pena cfr. Sez. 3, n. 29968 del 22/2/2019, COGNOME, Rv. 276288-01; Sez. 2, n. 36104 del 27/4/2017, COGNOME, Rv. 271243). Ed invero, la Corte territoriale ha dato conto di ritenere equa una rideterminazione della pena inflitta in primo grado, in senso favorevole ai due imputati, tenuto conto della concreta entità della coltivazione, sulla base dei para metri sopra indicati in merito al principio attivo concretamente estratto dai repert consegnati al RIS e sulla prognosi circa il superamento dei 2 Kg del predetto principio attivo, (superamento ritenuto certo), senza poter ritenere sicuro, invece, i dato ponderale precisamente riportato in imputazione. In forza di quanto esposto, quindi, ha ritenuto di dovere applicare ad entrambi gli imputati una pena finale pari a tre anni e sei mesi di reclusione e 7.000 euro di multa. Pena così determinata: tre anni e sei mesi di reclusione pena base per il reato contestato (discostamento dal minimo edittale motivato specificamente in considerazione degli elementi già evidenziati in ordine alla callidità criminale dei due imputati e alla o gettiva gravità dei fatti), aumentata per la circostanza aggravante di cui all’art. del D.P.R. 309/1990 ad anni 5 e mesi tre di reclusione e 10.500 di multa, ridotta, per il rito, nella misura di un terzo.
Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 17/09/2024