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Coltivazione cannabis: reato anche con THC basso

La Corte di Cassazione conferma la condanna per coltivazione di cannabis, anche se con un principio attivo (THC) dello 0,54%, quindi entro la soglia di tolleranza della legge sulla canapa industriale (L. 242/2016). La Corte ha stabilito che tale legge non si applica se la coltivazione non persegue le finalità industriali previste dalla norma, ma è destinata, come nel caso di specie, al mercato illecito. La dimensione della piantagione (29 piante alte fino a 3 metri) e le modalità di coltivazione sono state ritenute incompatibili con un uso personale o industriale lecito.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Coltivazione Cannabis: Reato anche Sotto la Soglia THC dello 0,6%?

La recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 14118 del 2025, riaccende il dibattito sulla coltivazione cannabis e sui limiti di applicazione della legge sulla cosiddetta “cannabis light”. La Corte ha confermato che la coltivazione finalizzata allo spaccio è sempre reato, anche se la percentuale di THC nelle piante è bassa e rientra nei limiti di tolleranza previsti dalla normativa sulla canapa industriale. Questa pronuncia chiarisce un punto fondamentale: la finalità della coltivazione è il criterio decisivo per stabilirne la liceità.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un agricoltore condannato in primo e secondo grado per aver coltivato, all’interno di un campo di granturco di sua proprietà, 29 piante di marijuana. Le piante avevano un’altezza variabile tra 2,5 e 3 metri e un contenuto di THC pari allo 0,54%. Sebbene questo valore sia inferiore alla soglia massima dello 0,6% tollerata dalla legge 242/2016 per la canapa industriale, l’imputato è stato ritenuto colpevole perché non aveva rispettato gli obblighi previsti da tale legge, come la conservazione delle fatture di acquisto dei semi, e le circostanze complessive indicavano una destinazione al mercato illegale.

L’Analisi dei Motivi di Ricorso

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Errata attribuzione della coltivazione: Sosteneva che il terreno fosse accessibile a terzi e che l’imputato non fosse il responsabile.
2. Applicabilità della legge sulla “cannabis light”: La difesa argomentava che il basso contenuto di THC rendeva la condotta non penalmente rilevante, ma al massimo un illecito amministrativo, secondo la legge 242/2016.
3. Lieve entità del fatto: Si chiedeva il riconoscimento dell’ipotesi di reato di minore gravità, data la presunta scarsa offensività della sostanza.

La Decisione della Corte: la coltivazione cannabis resta reato

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le argomentazioni difensive e consolidando un orientamento giurisprudenziale molto chiaro.

Attribuibilità della Coltivazione

I giudici hanno ritenuto logica la motivazione delle corti di merito. La piantagione, situata a pochi centinaia di metri dall’abitazione dell’imputato e dotata di un sistema di irrigazione, richiedeva cure costanti e competenze tecniche. Questi elementi rendevano inverosimile la tesi dell’inconsapevolezza o della coltivazione da parte di estranei. La Cassazione ha ribadito di non poter riesaminare i fatti, ma solo verificare la logicità della motivazione.

Limiti della Legge sulla “Cannabis Light”

Questo è il punto cruciale della sentenza. La Corte, richiamando le Sezioni Unite, ha specificato che la legge n. 242/2016 si applica esclusivamente alla coltivazione di canapa delle varietà consentite e per le finalità tassativamente elencate (es. produzione di fibre, alimenti, cosmetici). Qualsiasi coltivazione cannabis che non rientri in questo perimetro, ed è invece destinata alla produzione di sostanza stupefacente per il mercato illegale, integra il reato previsto dall’art. 73 del d.P.R. 309/1990. La percentuale di THC, in questo contesto, non serve a rendere lecita una condotta illecita, ma solo a escludere la responsabilità dell’agricoltore in buona fede che, per cause naturali, si ritrovi con un raccolto che supera leggermente i limiti.

Esclusione della Lieve Entità del Fatto

Anche il terzo motivo è stato respinto. La Corte ha stabilito che la valutazione sulla lieve entità del fatto deve essere globale. Nel caso specifico, il numero considerevole di piante, il loro stato di sviluppo, le tecniche avanzate di coltivazione e irrigazione e l’occultamento in un campo di mais erano tutti elementi che indicavano un’attività strutturata e non un fatto di minore gravità.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla distinzione netta tra la filiera agroindustriale della canapa, regolata e lecita, e la coltivazione finalizzata alla produzione di stupefacenti. La legge 242/2016 è stata creata per promuovere un settore economico, non per legalizzare la coltivazione di marijuana per altri scopi. L’assenza della documentazione richiesta dalla legge (fatture dei semi) e le caratteristiche della piantagione hanno rappresentato per i giudici la prova che la finalità non era quella industriale. Inoltre, la Corte ha sottolineato che il quantitativo lordo di sostanza vegetale (oltre 4 kg) con uno 0,54% di THC era comunque dotato di una concreta “efficacia drogante”, escludendo così l’inoffensività della condotta.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: la liceità della coltivazione cannabis dipende dalla sua finalità, che deve essere provata dall’agricoltore attraverso il rispetto scrupoloso delle normative di settore. Un basso contenuto di THC non agisce da “scudo” legale se le circostanze dimostrano che l’obiettivo è la vendita sul mercato illegale. Questa decisione serve da monito, chiarendo che la coltivazione non tracciabile e non conforme ai dettami della legge sulla canapa industriale rimane un reato a tutti gli effetti, indipendentemente dalla percentuale di principio attivo.

Una coltivazione di cannabis con un THC inferiore allo 0,6% è sempre legale?
No. Secondo la sentenza, non è legale se non rientra nelle finalità agroindustriali previste dalla Legge n. 242/2016. Se la coltivazione è destinata alla produzione di stupefacenti per il mercato illecito, costituisce reato ai sensi dell’art. 73 d.P.R. 309/1990, a prescindere dalla percentuale di THC.

Come si distingue una coltivazione lecita da una illecita ai fini della legge?
La distinzione si basa sulla finalità. Una coltivazione è lecita se persegue uno degli scopi elencati all’art. 2 della L. 242/2016 (es. produzione di fibre, alimenti, etc.) e l’agricoltore rispetta tutti gli obblighi normativi, come la conservazione delle fatture di acquisto di sementi certificate. Una coltivazione è illecita se, dalle circostanze (es. mancanza di documentazione, modalità di coltivazione, occultamento), emerge la destinazione allo spaccio.

Quando una coltivazione di cannabis non è considerata di “lieve entità”?
Non è considerata di “lieve entità” quando una valutazione complessiva degli elementi indica un’attività strutturata e non marginale. Elementi come un numero considerevole di piante, tecniche di coltivazione avanzate, la dimensione dell’attività e il potenziale collegamento con un mercato più ampio sono ostativi al riconoscimento della minore gravità del reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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