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Coltivazione cannabis: quando è reato? La Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di due individui condannati per la coltivazione di 13 piante di cannabis. Nonostante la natura rudimentale della coltivazione, la Corte ha stabilito che diversi indicatori, come il numero di piante, l’alto potenziale di dosi ricavabili (465), la piantumazione in periodi diversi e l’occultamento, escludevano la destinazione a un uso puramente personale, configurando così il reato di coltivazione cannabis.

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Pubblicato il 21 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Coltivazione Cannabis: Quando è Reato? La Decisione della Cassazione

La questione della liceità della coltivazione cannabis per uso personale è da anni al centro di un acceso dibattito giuridico. Una recente sentenza della Corte di Cassazione torna sul tema, fornendo criteri chiari per distinguere una condotta non punibile da un’attività illecita. Il caso analizzato riguarda due persone condannate per aver coltivato 13 piante di canapa indiana, una quantità che i giudici hanno ritenuto superare i limiti dell’uso strettamente personale.

I Fatti del Caso: Una Piantagione Nascosta

Due individui venivano condannati in primo e secondo grado per aver avviato una coltivazione di 13 piante di cannabis indica su un terreno a loro disposizione. La difesa ha sostenuto che la coltivazione fosse rudimentale e destinata esclusivamente al consumo personale, evidenziando l’assenza di attrezzature professionali per l’irrigazione, la pesatura o il confezionamento, elementi che avrebbero potuto indicare un’attività di spaccio.

Nonostante queste argomentazioni, i giudici di merito avevano confermato la responsabilità penale, ritenendo che la coltivazione non fosse finalizzata a un consumo immediato e personale. Gli imputati hanno quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando un vizio di motivazione da parte della Corte d’Appello.

La Decisione della Cassazione sulla Coltivazione Cannabis

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha dichiarato i ricorsi inammissibili, confermando di fatto la condanna. I giudici supremi hanno ritenuto che le censure sollevate dalla difesa fossero generiche e non si confrontassero adeguatamente con le solide motivazioni della sentenza impugnata. La decisione si allinea ai principi stabiliti dalle Sezioni Unite della stessa Corte (sentenza ‘Caruso’ del 2019), che hanno fissato i paletti per la non punibilità della coltivazione domestica.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha spiegato che, per escludere la rilevanza penale della coltivazione cannabis, non è sufficiente considerare solo il carattere ‘domestico’ o ‘rudimentale’ dell’attività. È necessaria una valutazione complessiva che tenga conto di una serie di indicatori oggettivi. Nel caso specifico, diversi elementi hanno convinto i giudici che la coltivazione superasse i confini dell’uso personale:

* Numero e Caratteristiche delle Piante: Le 13 piante avevano altezze variabili (da 0,5 a 1,80 metri), indicando una piantumazione avvenuta in momenti diversi e quindi una produzione non estemporanea.
* Potenziale Offensivo: Il valore di principio attivo non era affatto trascurabile. Dalle piante si sarebbero potute estrarre ben 465 dosi, un numero ritenuto eccessivo per un consumo personale.
* Contesto della Coltivazione: La piantagione era stata occultata in un terreno incolto, tra fitta vegetazione e vicino a una fonte idrica, rendendola difficilmente raggiungibile da terzi. Questo occultamento è stato interpretato come un indizio della volontà di sottrarre la coltivazione ai controlli.

La Cassazione ha chiarito che questi fattori, letti congiuntamente, interrompono il ‘nesso di immediatezza’ tra la coltivazione e la destinazione esclusiva all’uso personale. Si configura invece una ‘diffusività della coltivazione’, con una disponibilità futura e non predeterminabile di sostanza stupefacente che integra un ‘reato di pericolo presunto’. In altre parole, la legge punisce il pericolo che la sostanza prodotta possa entrare nel mercato illegale, a prescindere dall’intenzione soggettiva del coltivatore.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: la non punibilità della coltivazione cannabis è un’eccezione che si applica solo a casi di minima entità, dove è evidente che la produzione è destinata a soddisfare le esigenze immediate e personali del coltivatore. Non conta solo il numero di piante, ma l’intera modalità della condotta. L’occultamento, la capacità produttiva in termini di dosi e la pianificazione della coltivazione (come suggerito dalle diverse altezze delle piante) sono tutti elementi che possono portare un giudice a escludere l’uso personale e a configurare il reato. Chiunque decida di coltivare piante di cannabis, anche in numero esiguo, deve essere consapevole che la propria condotta sarà valutata sulla base di questi rigidi criteri oggettivi.

La coltivazione di poche piante di cannabis è sempre legale?
No. Secondo la Cassazione, la non punibilità è un’eccezione legata a coltivazioni minime, rudimentali e destinate a un consumo personale immediato. Il numero di piante è solo uno dei tanti fattori valutati.

Quali elementi distinguono l’uso personale dallo spaccio nella coltivazione di cannabis?
I giudici considerano un insieme di ‘indicatori’: il numero di piante, la quantità di principio attivo e di dosi ricavabili, le tecniche di coltivazione, l’eventuale occultamento della piantagione e la presenza di strumenti per il confezionamento o la vendita.

Se coltivo solo per me, posso essere condannato?
Sì. L’intenzione soggettiva di consumare personalmente il prodotto non è sufficiente a escludere il reato. Se gli indicatori oggettivi (come un alto numero di dosi potenziali o l’occultamento) suggeriscono che la coltivazione crea un pericolo di diffusione della sostanza, il reato sussiste.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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