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Coltivazione cannabis: quando è reato? La Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imprenditore agricolo posto agli arresti domiciliari per coltivazione di sostanze stupefacenti. La difesa sosteneva si trattasse di lecita coltivazione di cannabis light ai sensi della L. 242/2016. La Corte ha confermato la misura cautelare, ritenendo che elementi come l’ingente quantitativo, le modalità di confezionamento e l’assenza di una filiera industriale dimostrassero la destinazione della sostanza al mercato illegale, rendendo la coltivazione cannabis un’attività penalmente rilevante.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Coltivazione Cannabis: Quando è Legale e Quando si Rischia il Carcere?

Una recente sentenza della Corte di Cassazione chiarisce ancora una volta i confini della legalità per la coltivazione cannabis in Italia. Analizziamo una decisione che distingue nettamente la canapa per uso agroindustriale, disciplinata dalla legge 242/2016, dalla coltivazione finalizzata alla produzione di stupefacenti, che resta un reato. Questo caso offre spunti fondamentali per comprendere come le autorità valutino la liceità di una piantagione, basandosi non solo sulla documentazione, ma anche su prove fattuali che ne rivelano la reale destinazione.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un imprenditore titolare di un’azienda agricola, al quale era stata applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari per il reato di coltivazione e detenzione di sostanze stupefacenti. La difesa dell’indagato aveva presentato al Tribunale del Riesame una serie di documenti, tra cui una visura camerale attestante l’attività agricola e una fattura per l’acquisto di sementi, sostenendo che si trattasse di una coltivazione legale di ‘cannabis light’. Tuttavia, il Tribunale del Riesame aveva rigettato la richiesta, confermando la misura cautelare. Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso per Cassazione.

La Disciplina della Coltivazione Cannabis: Tra Legge 242/2016 e Testo Unico Stupefacenti

La questione giuridica centrale ruota attorno all’interpretazione e all’ambito di applicazione della Legge 242/2016, che promuove la filiera agroindustriale della canapa. Questa legge consente la coltivazione di specifiche varietà di cannabis sativa L. con un tenore di THC molto basso, ma esclusivamente per scopi industriali (es. produzione di fibre, sementi, biomasse).

Come chiarito dalla fondamentale sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione (n. 30475/2019), la L. 242/2016 non ha legalizzato la coltivazione cannabis finalizzata alla produzione e commercializzazione di foglie, infiorescenze, olio e resina per uso ricreativo. Tali condotte rimangono disciplinate dal Testo Unico Stupefacenti (d.P.R. 309/1990) e costituiscono reato. Le soglie di THC indicate dalla L. 242/2016 (fino allo 0,6%) servono principalmente a tutelare l’agricoltore in buona fede, escludendone la responsabilità penale qualora, pur avendo seguito le regole, la sua coltivazione presenti un livello di principio attivo leggermente superiore al limite.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo la motivazione del Tribunale del Riesame logica, coerente e priva di vizi. I giudici hanno sottolineato come una serie di elementi fattuali contraddicessero la tesi della coltivazione lecita:

1. Stato e confezionamento della sostanza: La cannabis rinvenuta era già in avanzato stato di essiccazione e suddivisa in confezioni di varie dimensioni, alcune delle quali sigillate con involucri di cellophane termosaldati. Queste modalità sono state ritenute incompatibili con una destinazione industriale e tipiche, invece, della preparazione per lo spaccio.
2. Quantitativo e tempistiche: L’ingente quantità di sostanza era incompatibile con il ciclo di una coltivazione avviata nel periodo indicato dalla fattura di acquisto dei semi (fine giugno 2024).
3. Mancanza di una filiera lecita: L’indagato non è stato in grado di dimostrare l’esistenza di accordi commerciali o di una filiera destinata a un uso agroindustriale del prodotto.
4. Estraneità del settore: Il Tribunale ha anche valorizzato la circostanza che l’indagato fosse titolare di una partita IVA nel settore dell’edilizia, del tutto estraneo alla coltivazione di canapa.

Sulla base di questi elementi, la Corte ha concluso che sussistevano gravi indizi di colpevolezza per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309/1990. Inoltre, ha confermato la sussistenza delle esigenze cautelari, evidenziando come le modalità organizzate e strutturate dell’attività indicassero un inserimento stabile nel mercato della droga e un concreto pericolo di reiterazione del reato.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio cruciale: la liceità della coltivazione cannabis ai sensi della L. 242/2016 non è presunta, ma deve essere concretamente dimostrata. Non basta possedere una partita IVA agricola o una fattura di sementi per essere al riparo da contestazioni penali. Le autorità giudiziarie valutano l’intero contesto fattuale: le modalità di lavorazione, conservazione e confezionamento del prodotto sono elementi determinanti per stabilire la reale finalità della coltivazione. Se questi elementi indicano una destinazione al mercato degli stupefacenti, l’attività viene considerata illegale e penalmente perseguibile, a prescindere dalle affermazioni dell’indagato.

È sempre legale coltivare canapa in base alla legge 242/2016?
No. La legge 242/2016 permette la coltivazione di canapa solo per specifiche finalità agroindustriali (es. produzione di fibre, cosmetici, alimenti). La norma, come interpretato dalla giurisprudenza, non legalizza la coltivazione finalizzata alla vendita di infiorescenze o altri derivati per uso ricreativo, che resta un reato.

Cosa succede se il THC della mia coltivazione supera lo 0,2% ma rimane sotto lo 0,6%?
Secondo la legge 242/2016, se l’agricoltore ha rispettato tutte le prescrizioni, non è considerato penalmente responsabile se il contenuto di THC si attesta tra lo 0,2% e lo 0,6%. Tuttavia, questo non rende il prodotto liberamente commerciabile per scopi non consentiti. La sostanza con THC superiore allo 0,6% può essere soggetta a sequestro e distruzione.

Quali elementi possono far ritenere che la coltivazione di cannabis sia illegale?
Come evidenziato dalla sentenza, diversi elementi possono indicare una finalità illecita. Tra questi: un ingente quantitativo di prodotto, lo stato di essiccazione, il confezionamento in dosi (specialmente se termosaldato), e l’assenza di prove concrete di una filiera commerciale compatibile con gli usi industriali previsti dalla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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