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Coltivazione cannabis: quando è reato? La Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un uomo condannato per la coltivazione di 109 piante di cannabis e la detenzione di un quantitativo di marijuana sufficiente per oltre 7.000 dosi. La Corte ha stabilito che l’ingente quantità e la significativa organizzazione per la coltivazione cannabis sono elementi oggettivi che escludono la destinazione al solo uso personale e l’applicazione dell’ipotesi di reato di lieve entità, anche in presenza di una conclamata tossicodipendenza dell’imputato.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Coltivazione Cannabis per Uso Personale: La Cassazione Fissa i Paletti

La distinzione tra la coltivazione cannabis per uso personale e quella destinata allo spaccio è un tema complesso e dibattuto. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 6723/2025, offre importanti chiarimenti, stabilendo che la quantità della sostanza e il livello di organizzazione della coltivazione sono fattori decisivi per escludere l’uso personale e la configurabilità del reato nella sua forma lieve.

I Fatti del Caso: Oltre 100 Piante e 7.000 Dosi

Il caso riguarda un uomo condannato in primo e secondo grado per aver coltivato 109 piante di cannabis e detenuto marijuana già essiccata in quantità tale da poter ricavare 7.328 dosi singole giornaliere. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che l’intera produzione fosse destinata esclusivamente al proprio consumo personale, data la sua condizione di tossicodipendente cronico. A sostegno della sua tesi, la difesa ha evidenziato l’assenza di prove di spaccio, come la mancanza di contatti con acquirenti o di ingenti somme di denaro.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha articolato il ricorso su cinque punti principali:
1. Esclusione della detenzione per solo uso personale: Sostenendo la compatibilità del quantitativo con le esigenze di un consumatore cronico.
2. Diniego di rinnovazione istruttoria in appello: La richiesta di una nuova consulenza tecnica sulle piante era stata respinta.
3. Inutilizzabilità della consulenza tecnica del Pubblico Ministero: Contestando la procedura seguita per l’analisi delle piante, ritenuta un accertamento irripetibile.
4. Mancato riconoscimento dell’ipotesi lieve: Ritenendo che l’offensività della condotta fosse minima.
5. Diniego delle attenuanti generiche: Lamentando la mancata considerazione del percorso riabilitativo e dell’ammissione di responsabilità.

La Decisione della Suprema Corte: Il Ricorso è Inammissibile

La Corte di Cassazione ha rigettato tutte le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto che le censure proposte mirassero a una nuova valutazione dei fatti, compito precluso alla Corte di legittimità. La decisione dei giudici di merito è stata considerata logica e ben motivata, basata su elementi oggettivi e incontestabili.

Le Motivazioni della Sentenza sulla coltivazione cannabis

La Corte ha basato la sua decisione su alcuni pilastri argomentativi fondamentali, che delineano con chiarezza i criteri per valutare la rilevanza penale della coltivazione cannabis.

Organizzazione e Quantità: Indici Incompatibili con l’Uso Personale

Il punto centrale della motivazione risiede nel fatto che la detenzione di una quantità così esuberante di sostanza, unita a una “significativa organizzazione strutturale” (vani dedicati e strumentazione varia), rende la tesi dell’uso personale palesemente infondata. Secondo la Corte, questi elementi oggettivi sono inconciliabili con le esigenze anche di un consumatore accanito e indicano una destinazione che va oltre il consumo individuale.

La Consulenza Tecnica e la Sua Utilizzabilità

La Cassazione ha respinto anche le critiche sulla gestione delle prove tecniche. Ha chiarito che la consulenza del PM era finalizzata unicamente ad accertare la natura della sostanza (se fosse o meno cannabis) e non la quantità di principio attivo. Poiché la natura della sostanza non era controversa, l’accertamento era da considerarsi ripetibile e una nuova perizia sarebbe stata superflua. La lacuna probatoria lamentata dalla difesa, quindi, non era tale da compromettere la logicità della motivazione.

L’Esclusione dell’Ipotesi Lieve e delle Attenuanti Generiche

Infine, la Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito di non applicare l’ipotesi lieve del reato (art. 73, comma 5). La natura organizzata della coltivazione e la consistenza della produzione sono state giudicate “obiettivamente non compatibili con la minima offensività richiesta” per tale fattispecie. Allo stesso modo, il diniego delle attenuanti generiche è stato ritenuto plausibilmente motivato dalla scarsa rilevanza del contributo probatorio dell’imputato e dalla presunta assenza di difficoltà economiche che potessero in qualche modo spiegare la scelta criminale.

Le Conclusioni: Criteri Oggettivi per Distinguere la coltivazione cannabis Lecita da Quella Penale

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: nella valutazione della rilevanza penale della coltivazione cannabis, i giudici devono basarsi primariamente su criteri oggettivi. La quantità di sostanza prodotta e il grado di organizzazione dell’attività di coltivazione sono gli indicatori più affidabili per distinguere una condotta destinata allo spaccio da una circoscritta all’uso personale. La condizione soggettiva di tossicodipendenza, pur rilevante, non può prevalere di fronte a prove materiali che indicano una capacità produttiva e un’organizzazione strutturata, elementi che per la giurisprudenza sono sintomatici di un’attività illecita di ben altra portata.

Una grande quantità di cannabis può essere considerata per uso personale se l’imputato è un tossicodipendente cronico?
No, secondo la sentenza, quando la quantità di sostanza è esuberante e vi è una significativa organizzazione strutturale per la coltivazione (come vani dedicati e attrezzature), questi elementi oggettivi sono incompatibili con la tesi dell’uso personale, anche in presenza di una condizione di tossicodipendenza accertata.

Quando la coltivazione di cannabis non può essere classificata come “fatto di lieve entità”?
La classificazione come “fatto di lieve entità” (art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90) è esclusa quando la natura organizzata della coltivazione e la consistenza della produzione sono obiettivamente incompatibili con la minima offensività richiesta dalla norma. L’elevato numero di piante e la capacità di produrre migliaia di dosi sono considerati elementi ostativi.

La consulenza tecnica del Pubblico Ministero su sostanze deperibili è sempre utilizzabile?
Sì, può essere utilizzabile se, come nel caso di specie, l’indagine ha ad oggetto solo l’aspetto qualitativo (cioè la natura della sostanza) e non quello quantitativo, e tale aspetto non è controverso. In questi limiti, l’accertamento può essere considerato ripetibile e quindi non richiede necessariamente le garanzie difensive previste per gli accertamenti irripetibili dall’art. 360 c.p.p.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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