Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 18613 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 18613 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Taurianova il DATA_NASCITA, avverso la sentenza del 28-03-2023 della Corte di appello di Reggio Calabria; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia dell’imputato, che ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 28 marzo 2023, la Corte di appello di Reggio Calabria confermava la sentenza del 29 giugno 2022, con cui il G.U.P. del Tribunale di Palmi aveva condannato NOME COGNOME alla pena di anni 3, mesi 6 di reclusione ed euro 12.000 di multa, in quanto ritenuto colpevole di due distinti episodi del reato ex art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990; fatti accertati in Taurianova, rispettivamente, 1’8 ottobre 2021 (capo 1) e sino al 23 febbraio 2022 (capo 2).
Avverso la sentenza della Corte di appello calabrese, COGNOME, tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
Con il primo, la difesa contesta la declaratoria di inammissibilità della richiesta di rinnovazione della istruttoria dibattimentale finalizzat all’integrazione peritale ritenuta necessaria, avendo la Corte di appello rimarcato erroneamente l’assenza di un’istanza ex art. 603 cod. proc. pen., nonostante che nelle richieste indicate in calce all’atto di impugnazione vi fosse un’espressa sollecitazione in tal senso, a ciò aggiungendosi che non risulta pertinente e normativamente fondato neanche l’ulteriore richiamo alla scelta processuale dell’imputato di aver optato per il rito abbreviato non condizionato, dopo che non era stato ammesso il rito abbreviato condizionato inizialmente richiesto.
Con il secondo motivo, la difesa deduce la violazione dell’art. 4, comma 7, della legge n. 242 del 2016 e la mancanza assoluta di motivazione rispetto alla deduzione difensiva, con cui era stata invocata l’operatività della predetta normativa, contenente disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa, non risultando che il contenuto di THC presente nella coltivazione fosse superiore allo 0,6%, con la conseguenza che doveva essere esclusa la responsabilità penale dell’agricoltore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
Iniziando dal primo motivo, occorre rimarcarne la genericità, non avendo il ricorrente adeguatamente illustrato la rilevanza rispetto ai fatti di causa dell prova di cui si lamenta la mancata acquisizione da parte della Corte territoriale, ossia la perizia volta ad accertare il principio attivo della droga in sequestro, dovendosi sul punto richiamare l’affermazione dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. sentenza n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Rv. 266820), secondo cui la rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale, al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti.
Dunque, a prescindere da ogni approfondimento circa la pertinenza o meno della ratio decidendi del rigetto della richiesta, ovvero del richiamo della sentenza impugnata alla preclusione per l’imputato che opta per il rito abbreviato cd. “secco” di contestare successivamente il rigetto della iniziale richiesta di rit abbreviato condizionato, rimane il dato, di per sé assorbente, che né nell’atto di appello né nell’odierno ricorsom risulta spiegato perché sarebbe stato assolutamente necessario l’espletamento della perizia in appello, a fronte delle univoche risultanze della perquisizione che aveva portato al sequestro di 24 piante di canapa, con valore di THC risultato superiore di quello consentito.
Di qui la manifesta infondatezza della doglianza difensiva.
Alla medesima conclusione deve pervenirsi rispetto al secondo motivo.
Ed invero le due conformi sentenze di merito, le cui motivazioni sono destinate a integrarsi per formare un apparato argomentativo unitario, hanno valorizzato l’attività investigativa compiuta dai RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE. di Taurianova presso l’RAGIONE_SOCIALE, dove sono state rinvenute 24 piante di canapa in fioritura, per un peso complessivo lordo di 54 chili, avendo le analisi chimiche riscontrato valori di THC di gran lunga superiori di quello consentiti, essendo ricavabile da tale quantitativo di droga un numero di dosi medie singole pari a 170.912.
Peraltro, dopo il primo controllo, i militari hanno proceduto a un nuovo accesso presso l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, rinvenendo nei locali nella disponibilità di COGNOME ulterio semi di canapa non consegnati in occasione del primo sopralluogo, nonché tre locali adibiti ad essiccatoi e numerosi steli di canapa stesi ad essiccare.
Dunque, tenendo conto altresì dell’occultamento di parte dello stupefacente rinvenuto e dell’atteggiamento non collaborativo dell’imputato, che ha omesso di portare a conoscenza degli operanti i locali essiccatoi rinvenuti all’esito di perquisizione, i giudici di merito sono pervenuti alla coerente conclusione secondo cui la predetta coltivazione era finalizzata a immettere sul mercato la sostanza stupefacente e che anche la parte di essa originata dai semi acquistati lecitamente non era destinata agli scopi di cui alla legge n. 242 del 2016, non ravvisandosi i requisiti previsti dall’art. 3 della legge appena citata.
In tal senso, l’impostazione delle sentenze di primo e secondo grado è risultata coerente con l’affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 4, n. 16155 del 17/03/2021, Rv. 281150), secondo cui, in tema di stupefacenti, integra il reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 990, la coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’articolo 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, da parte di coltivatore diretto, allorquando, come nel caso di specie, emerga la prova di una finalità diversa da quella indicata dall’art. 2 della legge 2 dicembre 2016, n. 242, non potendosi non considerare le dimensioni e le modalità della coltivazione illecita, ben evidenziate invero dai giudici di merito.
Orbene, cqn le pertinenti considerazioni delle sentenze di merito ricorso non si confronta, limitandosi a invocare l’applicazione della legge n del 2016 in termini del tutto generici e assertivi, senza alcun richiam elementi probatori, di cui invece i giudici di merito hanno operato una disa razionale ed esauriente. Ne consegue che il ricorso proposto nell’interes COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le s procedimento. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 d 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricors stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della caus inammissibilità”, si dispone infine che il ricorrente versi la somma, determ in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento d spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de ammende.
Così deciso il 31/01/2024