Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 8864 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 8864 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 22/01/2025
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. 109/25
NOME COGNOME
UP Ð 22/01/2025
NOME COGNOME
Relatore –
R.G.N. 31731/2024
NOME COGNOME
NOME COGNOME ha pronunciato la seguente
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Negrar di Valpolicella il 20/11/1987 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
avverso la sentenza del 19/02/2024 della Corte dÕappello di Venezia udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo lÕinammissibilitˆ del ricorso, udito lÕavv. NOME COGNOME che ha insistito nellÕaccoglimento del ricorso.
Con lÕimpugnata sentenza, la Corte d’appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Verona, ha ridotto la pena inflitta al ricorrente, nella misura di mesi dieci e giorni venti di reclusione, in relazione al reato di cui allÕart. 73 comma 4 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, perchŽ coltivava e deteneva, a fini di cederla a terzi, sostanza stupefacente tipo canapa sativa L. per un peso di Kg 60, parte confezionata in n. 15 contenitori e parte riposta su scaffali in fase di essicazione. Fatto commesso il 18/11/2019.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso il difensore di fiducia dellÕimputato, e ne ha chiesto lÕannullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
2.1. Violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione allÕintenzione del ricorrente di commercializzare al pubblico le infiorescenze di
canapa indiana essiccate e stoccate presso la propria azienda agricola, in assenza di indici rivelatori di uso diverso da quelli consentiti ai sensi dellÕart. 2 comma 2 della legge n. 242 del 2016.
Secondo il ricorrente, che è un imprenditore agricolo che ha coltivato piante di canapa sativa L con valore di THC inferiore a 0,6%, la corte territoriale sarebbe pervenuta allÕaffermazione di responsabilitˆ incorrendo in un errore di diritto lˆ dove non avrebbe compiuto la distinzione tra coltivazione per fini leciti e penalmente irrilevante, e la commercializzazione dei prodotti della coltivazione, finendo per condannare lÕimputato per la commercializzazione perchŽ non aveva ancora impresso alla coltivazione alcuna finalitˆ consentita dallÕart. 2 comma 2 della legge n. 242 del 2016 e sullÕassunto, secondo il diritto vivente, secondo cui non sarebbe possibile stoccare le infiorescenze di canapa sativa.
LÕassenza di una finalitˆ lecita della coltivazione sarebbe stata inferita in assenza di indici sintomatici di sospetto, come rilevato nelle pronunce di legittimitˆ citate nelle sentenze della Corte di cassazione rese in contesti fattuali del tutto diversi dal caso in esame, nel quale lo stoccaggio delle infiorescenze proveniva da una coltivazione lecita, posta in essere da un imprenditore agricolo, non potendosi dare rilievo, ai fini della illiceitˆ della condotta, lÕassenza di un contratto di destinazione. Nessuna norma vieterebbe lo stoccaggio delle infiorescenze che trovano finanche regolamentazione del loro regime fiscale, a conferma della liceitˆ della detenzione e dello stoccaggio, per cui per la cessione viene applicato il regime ordinario dellÕIva. Ed ancora, il codice Ateco dellÕazienda agricola è riferito alla Òcoltivazione di fiori in colture protetteÓ e il florovivaismo è attivitˆ prevista dal citato art. 2 comma 2, da cui lÕerronea affermazione, reiterata in giurisprudenza, secondo cui la infiorescenza di canapa non possa trovare una giustificazione alla luce della normativa di settore e, dunque, rendere lecita anche la sua commercializzazione. LÕimputato sarebbe un mero coltivatore di che non aveva ancora individuato la filiera di commercializzazione, sicchè non potrebbe essere condannato perchŽ commercializzava i prodotti della coltivazione in assenza di prova della finalitˆ della stessa ai sensi della legge n. 242 del 2016.
2.2. Violazione di legge con riferimento allÕart. 49 cod.pen. e alla motivazione apparente in punto superamento dellÕefficacia drogante delle infiorescenze, avendo, la corte territoriale, argomentato che le analisi chimiche avevano accertato un THC superiore al 0,2% sebbene inferiore a 0,6%.
LÕerrore di diritto si anniderebbe nel ritenere che solo il valore inferiore a 0,2% escluda la capacitˆ drogante atteso che il Reg. Ue ha stabilito che dal 1¡ gennaio 2023, il valore debba essere superiore a 0,3%.
2.3. Vizio di motivazione in relazione allÕassenza di motivazione sul motivo aggiunto che censurava in modo articolato il profilo dellÕelemento soggettivo del reato in presenza di elementi per ritenere sussistente la buona fede nel rispetto
delle procedure per la coltivazione della canapa sativa, assenza di motivazione della corte territoriale.
4. Il ricorso è fondato nei termini di cui in motivazione.
La corte territoriale, in continuitˆ con la decisione di primo grado, ha confermato la condanna dellÕimputato, per il reato di cui allÕart. 73 comma 4 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, perchŽ non era stata dimostrata in modo convincente la coltivazione di autorizzata ex lege n. 242 del 2016 e, in particolare, era mancata la dimostrazione della coltivazione per le finalitˆ lecite indicate dalla legge, quali la vendita a terzi per fini alimentari, di cosmesi etc., ritenendo dimostrata quella punita dallÕart. 73 cit.
Per dimostrare lÕassenza delle finalitˆ lecite della coltivazione, come individuata dalla legge del 2016, i giudici del merito, premesso che da accertamenti svolti era stato accertato che il ricorrente, in possesso di codice Ateco relativo alla coltivazione di fiori in colture protette, aveva predisposto due serre ove aveva piantato complessivamente circa 600 piante di canapa sativa i cui semi aveva acquistato presso l’RAGIONE_SOCIALE, e che una volta effettuata la raccolta le piante erano state poste in un essiccatoio da cui si erano ricavati circa 60 chilogrammi di infiorescenze, hanno dato rilievo alle dichiarazioni dellÕimputato secondo cui era sua intenzione recarsi ad una fiera di settore per cercare unÕacquirente delle infiorescenza, e, dunque, non era dimostrato lÕimpiego lecito al momento della coltivazione, coltivazione che esulava dalle finalitˆ lecite di cui allÕart. 2 della legge n. 241 del 2016.
La corte territoriale ha richiamato, a fondamento della decisione, la circostanza che, secondo i principi enunciati dalla sentenza S.U. n. 26264/2022, era esclusa dalla finalitˆ lecita della coltivazione della canapa, la commercializzazione dei prodotti costituiti dalle infiorescenze e dalla resina che, al pari della detenzione, continua ad essere punita dallÕart. 73 comma 4 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
La decisione della corte territoriale è giuridicamente corretta.
Sulla demarcazione della condotta di coltivazione di canapa sativa per fini leciti, secondo le disposizioni della legge n. 242 del 2016, e di quella punita ai sensi dellÕart. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, sono intervenute, come è noto, le Sezioni Unite n. 30475 del 30/05/2019, P.M./COGNOME, che, in relazione alla rilevanza penale della commercializzazione della sostanza derivata dalla coltivazione lecita di canapa, ha offerto la completa lettura della legge n. 242/2016, inquadrandone la collocazione sistemica nell’ordinamento italiano e dell’Unione europea.
Limitando la disamina alla normativa nazionale introdotta dalla legge n. 242 del 2016 ÒDisposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera
agroindustriale della canapaÓ, le citate Sezioni Unite hanno chiarito che le coltivazioni incentivate dalla legge n. 242/2016, si collocano nell’alveo delle colture consentite ai sensi dell’art. 26 d.P.R. 309/1990, che, pur richiamando l’art. 14, disposizione che, al comma 2 lett. b) impone l’introduzione di ogni varietˆ di cannabis nelle formazione tabelle, introduce un’eccezione al divieto laddove finalizzato alle produzioni consentite (fibre ed usi industriali, diversi dagli usi farmaceutici). Dunque, la coltivazione assume connotazione lecita, stante il permanente divieto di cui all’art. 26 d.P.R. 309/1990, solo se finalizzata alla realizzazione dei prodotti tassativamente indicati nell’art. 2, comma 2 della legge 242/2016, nonchŽ per l’autoproduzione aziendale di energia da biomassa, ai sensi del comma 3 della medesima disposizione. Mentre, come sempre precisato dalle Sezioni Unite, restano escluse dal novero dei prodotti di per sŽ commerciabili le infiorescenze di canapa, le foglie o gli olii e le resine derivate, in quanto non ricompresi fra i prodotti di cui all’art. 2 comma 2, la cui cessione costituisce attivitˆ illecita ai sensi del d.P.R. 309/1990.
Per il rilievo che assume nel caso concreto, va ancora evidenziata la disposizione di cui allÕart. 4, commi 5 e 7 della legge n. 242/2016, con cui sono introdotte clausole di esclusione della responsabilitˆ penale del coltivatore diretto, che formano il corollario della disciplina che regola la coltura lecita e segnatamente le disposizioni sulle modalitˆ di verifica, di cui all’art. 4 legge n. 242/2016, sulla percentuale di THC che non deve superare 0,2% per i contributi europei, in un contesto nel quale, peraltro, il superamento di detta soglia, nondimeno, non implica nella legislazione nazionale il divieto di ricavare dalla coltivazione i prodotti di cui all’art. 2, comma 2 legge n. 242/2009, posto che il legislatore italiano ha introdotto l’ulteriore limite del 0,6% di THC entro il quale, pur in assenza di sostegno alla produzione, è concesso derivare dalla coltivazione i prodotti consentiti. Solo quando, invece, detta ultima soglia viene superata è prevista dal comma 7 dell’art. 4 legge n.242/2016 il legislatore impone il sequestro o la distruzione delle coltivazioni di canapa impiantate.
Tirando le fila del discorso, la legge 2 dicembre 2016, n. 242 ha previsto la liceitˆ della sola coltivazione della canapa alle condizioni e per le finalitˆ tassative ivi indicate, tra le quali non rientra la commercializzazione dei prodotti della coltivazione costituiti dalle inflorescenze e dalla resina che, al pari della detenzione e della coltivazione per fini diversi, continua ad essere sottoposta alla disciplina del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Sez. U, n. 30475 del 30/05/2019, Rv. 275956 Ð 01; Sez. 4, n. 57703 del 19/09/2018, Durali, Rv. 274770 – 01).
Sulla scorta di tali principi, condivisi e applicati dalla corte territoriale, si rileva, in primo luogo, lÕinfondatezza del primo motivo di ricorso e, parimenti, del secondo motivo di ricorso di violazione del principio di offensivitˆ tenuto conto che, secondo la sentenza impugnata, era stato rilevato, in sede di analisi, un principio
attivo di THC s’ inferiore a 0,6%, ma superiore allÕ0,20%, essendo stati accertati valori di 0,45% e di 0,55%, e, dunque, dimostrata la capacitˆ drogante. A tale proposito si deve evidenziare che il riferimento alla percentuale di principio attivo, indicata dalla disposizioni normativa di cui allÕart. 4, commi 5 e 7 della legge n. 242/2016, con cui sono introdotte clausole di esclusione della responsabilitˆ penale del coltivatore diretto, è riferita, appunto, alla verifica della causa di esclusione della responsabilitˆ ivi prevista, diversamente, ai fini della responsabilitˆ penale, rileva la capacitˆ drogante che è stata accertata nel caso concreto.
6. é, invece, fondato il terzo motivo di ricorso. La sentenza impugnata dopo avere, nel riepilogo dei motivi proposti ed anche del motivo aggiunto con cui il ricorrente censurava in modo articolato il profilo dellÕelemento soggettivo del reato in presenza di elementi per ritenere sussistente la buona fede nella coltivazione concretamente realizzata, non ha reso alcuna motivazione neppure implicita. Il silenzio della sentenza non è neppure colmabile con la decisione di primo grado, anchÕessa silente sul punto.
LÕomesso esame del motivo di ricorso comporta lÕannullamento della sentenza con rinvio, ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia, che, fermi i principi delle Sezioni Unite, alla luce delle circostanze concrete del caso, come sopra evidenziate (cfr. par 4), dovrˆ scrutinare il motivo aggiunto proposto dal ricorrente.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte dÕappello di Venezia.
Cos’ deciso il 22/01/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente
NOME COGNOME