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Coltivazione canapa industriale: quando è reato?

Un agricoltore viene condannato per coltivazione di stupefacenti, nonostante sostenga si tratti di canapa industriale a norma di legge. La Corte di Cassazione conferma la condanna per la mancanza della documentazione obbligatoria che rende illecita l’intera attività, ma annulla la sentenza riguardo l’aggravante della ‘ingente quantità’ per un possibile errore di calcolo del THC. Il caso viene rinviato alla Corte d’Appello per una nuova valutazione su questo specifico punto, evidenziando l’importanza cruciale della tracciabilità nella coltivazione di canapa industriale.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Coltivazione Canapa Industriale: Quando Superare la Soglia Diventa Reato?

La coltivazione canapa industriale è un settore agricolo disciplinato da normative specifiche, volte a distinguerla nettamente dalla coltivazione di sostanze stupefacenti. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 35143/2025) offre chiarimenti fondamentali sui requisiti di liceità e sulle conseguenze penali in caso di violazioni. Il caso analizzato riguarda un agricoltore condannato per il reato di cui all’art. 73 del Testo Unico Stupefacenti, nonostante sostenesse di operare nel pieno rispetto della legge sulla canapa industriale (L. 242/2016). Vediamo come la Corte ha sciolto i nodi della questione.

I Fatti di Causa

Un imprenditore agricolo veniva condannato in primo e secondo grado per aver illecitamente coltivato e detenuto un’ingente quantità di cannabis. L’imputato si era difeso fin da subito sostenendo che la sua fosse una legittima coltivazione canapa industriale, presentando la documentazione relativa all’acquisto delle sementi certificate. Tuttavia, le analisi effettuate dalla polizia giudiziaria su un campione di piante avevano rilevato una percentuale di THC (il principio attivo psicotropo) pari all’8,6%, ben al di sopra del limite massimo consentito dello 0,6%.

Durante le indagini, venivano inoltre rinvenuti circa 1.200 steli di infiorescenze essiccate e un sacco contenente oltre 3 kg di infiorescenze. L’imputato, nel suo ricorso in Cassazione, lamentava diversi errori, tra cui un travisamento della prova riguardo alla quantificazione del THC, sostenendo che le analisi da lui commissionate avevano dato un risultato molto inferiore (0,4%), e un errore di calcolo che aveva portato alla contestazione dell’aggravante dell’ingente quantità.

La Decisione della Cassazione sulla Coltivazione Canapa Industriale

La Suprema Corte ha adottato una decisione articolata, dividendo il merito del ricorso in due parti.

La Condanna per il Reato di Coltivazione

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso relativo alla liceità della coltivazione. I giudici hanno sottolineato un principio fondamentale: per beneficiare del regime speciale previsto dalla L. 242/2016, non basta acquistare sementi certificate. È necessario rispettare scrupolosamente tutti gli obblighi di documentazione e tracciabilità previsti dalla legge, come la conservazione dei cartellini delle sementi e la documentazione relativa all’intero ciclo produttivo.

Nel caso di specie, i giudici di merito avevano accertato che l’imputato non aveva fornito la documentazione completa, rendendo di fatto la sua piantagione illegale a prescindere dalla percentuale di THC. L’omessa esibizione della documentazione completa fa uscire la condotta dall’ambito di applicazione della legge speciale sulla canapa, facendola rientrare a pieno titolo nella fattispecie penale prevista dal Testo Unico Stupefacenti.

L’Annullamento dell’Aggravante dell’Ingente Quantità

La Corte ha invece accolto il secondo motivo di ricorso, relativo all’errata applicazione dell’aggravante dell’ingente quantità (art. 80, comma 2, d.P.R. 309/1990). La difesa aveva evidenziato un palese errore matematico nella consulenza tecnica: il quantitativo totale di THC puro era stato indicato in oltre 11 kg, mentre un ricalcolo corretto lo posizionava a poco più di 1 kg, quindi al di sotto della soglia dei 2 kg solitamente considerata per l’applicazione dell’aggravante.

Poiché la Corte di Cassazione non può effettuare accertamenti di fatto, ha annullato la sentenza impugnata limitatamente a questo punto, rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello. Sarà quest’ultima a dover verificare i calcoli e decidere se l’aggravante debba essere esclusa, con conseguente rideterminazione della pena.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si basa su due pilastri. In primo luogo, ribadisce l’insegnamento delle Sezioni Unite (sent. n. 30475/2019), secondo cui la L. 242/2016 ha creato un regime speciale e derogatorio rispetto alla normativa sugli stupefacenti. Per rientrare in questo regime, l’agricoltore deve dimostrare di aver seguito pedissequamente tutte le prescrizioni normative, in particolare quelle sulla tracciabilità. La semplice esibizione della fattura d’acquisto dei semi o del sacchetto vuoto non è sufficiente. L’assenza di tale prova documentale rende l’intera coltivazione illecita, facendo scattare la presunzione di illiceità della condotta.

In secondo luogo, la Corte distingue nettamente il giudizio sulla sussistenza del reato dal giudizio sulla quantificazione della pena e delle relative aggravanti. Sebbene la mancanza di documenti renda la coltivazione penalmente rilevante, un errore di calcolo sulla quantità di principio attivo può e deve essere corretto, in quanto incide direttamente sulla gravità del fatto e, di conseguenza, sull’entità della sanzione.

Le Conclusioni

Questa sentenza è un monito per tutti gli operatori del settore della coltivazione canapa industriale. La liceità dell’attività non dipende solo dalla genetica della pianta o dal rispetto formale di alcuni adempimenti, ma da una gestione documentale rigorosa e completa, in grado di garantire la piena tracciabilità del prodotto in ogni sua fase. L’onere della prova della legalità della coltivazione ricade sull’agricoltore. Al contempo, la decisione conferma il diritto dell’imputato a un corretto accertamento dei fatti, anche tecnici, specialmente quando questi hanno un impatto significativo sulla pena, come nel caso dell’aggravante dell’ingente quantità.

Quando la coltivazione di canapa industriale diventa un reato?
Secondo la sentenza, la coltivazione di canapa industriale diventa reato quando non vengono rispettati tutti gli obblighi di documentazione e tracciabilità previsti dalla Legge n. 242 del 2016. La mancanza di questa documentazione completa rende l’intera coltivazione illecita, facendola rientrare nella normativa sugli stupefacenti, indipendentemente dal valore di THC.

È sufficiente presentare la fattura di acquisto dei semi per dimostrare la legalità della coltivazione?
No. La Corte ha chiarito che la sola esibizione della fattura di acquisto o del sacchetto vuoto delle sementi non è sufficiente. L’agricoltore deve conservare ed esibire tutta la documentazione prescritta per legge, come i cartellini delle sementi, per garantire la tracciabilità e dimostrare che la coltivazione rientra nel regime speciale della canapa industriale.

Cosa succede in caso di errore nel calcolo della quantità di sostanza stupefacente?
Se viene dimostrato un errore di calcolo che ha portato all’applicazione di una circostanza aggravante, come quella dell’ingente quantità, la sentenza può essere annullata su quel punto specifico. Il caso viene quindi rinviato a un giudice di merito per un nuovo accertamento e una possibile esclusione dell’aggravante, con conseguente rideterminazione della pena.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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