Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 35143 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 35143 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato il DATA_NASCITA a Taurianova;
avverso la sentenza del 17/12/2024 dalla Corte d’appello di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte d’appello di Reggio Calabria confermava la condanna di NOME COGNOME per il delitto di cui all’art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, perché illecitamente deteneva e coltivava,
all’interno di un terreno nella sua disponibilità, un’ingente quantità di sostanza stupefacente.
Ha presentato ricorso l’imputato, per il tramite dell’AVV_NOTAIO, premettendo quanto segue.
Si evince dal verbale di campionamento finalizzato alla determinazione quantitativa del THC che furono rinvenute n. 879 piante di canapa.
La polizia giudiziaria ha dato conto del fatto che il ricorrente consegnò i documenti rilevanti ex art. 3 legge 2 dicembre 2016, n. 242, tra cui per quanto di interesse, la copia della busta delle sementi con certificazione.
Anche all’indagato, come previsto dalla medesima legge, fu rilasciato il campione di altrettanti steli campioni prelevati dalle stesse piante per le eventuali controanalisi di rito.
Tuttavia, mentre il rapporto di analisi del 3 ottobre 2022 restituiva il risultato di 8,6% di THC, l’analisi di parte, commissionata dall’imputato sul medesimo campione, ha mostrato un THC pari ad appena 0,4%.
Dopo aver ricevuto il risultato tecnico indicato, gli agenti operanti si recavano nuovamente presso il campo dell’imputato e procedevano alla campionatura, al sequestro e alla distruzione di tutta la merce in coltivazione e in stoccaggio.
Come risulta dalla relazione tossicologica del 4 febbraio 2023, relativa al sequestro in esame, la media del principio attivo su 3 reperti è risultata pari ad appena 0,8%, ovvero attorno al limite della soglia (che va dallo 0,2% allo 0,6%) prevista dall’art. 4, commi 5 e 7, legge n. 242 del 2016 cit.
Solo in relazione al reperto n. 4 (30 steli delle 600 piante) pare sia stato rilevato un valore di HC pari a 18,5%.
Ciò nondimeno, e alla luce di tale risultato, è stata ritenuta l’ingente quantità. La Corte d’appello è giunta ad affermare che sia stato trovato un principio di THC pari a 12,315 chilogrammi e dosi medie singole ricavabili pari a 492.616.
In merito alla causa di non punibilità ex art. 4, commi 5 e 7, della legge n. 242 del 2016 cit., ha poi richiamato l’insegnamento della Corte di cassazione secondo cui, con riferimento al sacco contenente foglie e infiorescenze stoccate, non assume rilevanza per escludere l’illiceità della condotta il mancato superamento delle percentuali di THC indicato nel suddetto articolo, dal momento che tali valori riguardano soltanto il contenuto di principio attivo consentito presente nella coltivazione e non nei derivati. E, di conseguenza, ha ritenuto che la commercializzazione dei derivati dalla coltivazione della cannabis, diversi da quelli elencati dalla legge n. 242 del 2016 cit., integri il reato di cui all’art. d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
La Corte d’appello ha però confuso i reperti oggetto di analisi, erroneamente ritenendo che il valore di THC pari a 8,6% riguardasse le infiorescenze, mentre esso corrispondeva alla campionatura avvenuta in un’unica area all’aperto, in cui erano radicate 879 piante di canapa.
Inoltre, nonostante l’indagato, al momento del fatto, avesse consegnato tutta la documentazione a disposizione, la Corte d’appello ha ritenuto che non lo avesse fatto.
Ciò premesso, sono dedotti i seguenti tre motivi.
2.1. Violazione dell’art. 4, comma 7, I. n. 242 del 2016 cit., essendo stato l’imputato erroneamente dichiarato colpevole nonostante la coltivazione di piante di canapa industriale, in uno allo stoccaggio di foglie infiorescenze, fosse lecita ai sensi dell’art. 3 legge n. 242 del 2016 cit., e travisamento della prova.
L’errore è ravvisabile ictu °cui/.
In atti non v’è alcun documento da cui desumere la procedura analitica usata per la lettura dei risultati dell’analisi, sicché il dato di 18,5°/o di THC non verificabile.
Tanto precisato, muovendo dal dato noto delle dosi medie singole e rinvenute su una pianta del reperto n. 4 (78,9), e moltiplicato tale dato per il totale delle piante (600), si ottiene un numero di dosi medie singole pari a 47.340.
Moltiplicando poi tale numero per 25 mg, si ottiene 1.183.500 mg di THC puro presente nelle 600 piante che costituiscono il reperto 4, pari a 1.183,5 g di THC: e non a 11.840 g di THC, come invece indicato nella sintesi in calce nella consulenza tecnica.
Ad analogo risultato si giunge ponendo a confronto il numero delle dosi medie singole totali (2361) rinvenute sulle 30 piante oggetto di campionatura.
Anche il valore del peso del principio attivo puro su ciascuna pianta è indicato in modo erroneo. Infatti: dosi medie singole 78,9 X mg 25 = mg 1972,5/1000 = g 1,9725 THC, e non g 19,733 THC.
Pertanto, il peso del principio attivo puro su 30 piante oggetto del reperto quattro è pari a g 59,2, e non a g 592 THC, come erroneamente indicato nella consulenza.
Quindi g 59,2 THC per ciascuna pianta X 20 (20 è il numero moltiplicatore per arrivare a 600 piante totali) = g 1184 THC.
In definitiva, dai dati a disposizione emerge che la quantità di THC era macroscopicamente inferiore rispetto a quanto ritenuto.
Il che spiega perché il valore di 8,6% THC confligge con quello dello ‘ 0,4% di THC risultante dalle analisi commissionate al laboratorio presso l’Università RAGIONE_SOCIALE Torino.
La sentenza impugnata, così come quella di primo grado, nonostante lo specifico motivo di impugnazione, omette di motivare sul criterio usato per accertare il valore di THC durante la fase della campionatura, in base alla legge n. 242 del 2016 cit.
Si aggiunga che non è vero che l’imputato non aveva consegnato la documentazione corretta.
Neppure la Corte d’appello risponde alle deduzioni sulla mancanza di dolo, quale emerge dall’udienza di convalida dell’arresto dove, in assoluta buona fede, l’imputato ha immediatamente detto la verità riguardo all’intenzione di commercializzare la sostanza sulla base del presupposto che il THC rientrasse nel range consentito dalla legge.
2.2. Errata applicazione dell’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990 cit.
L’errore matematico sulla quantità di THC superiore a 2 kg, contenuto nella consulenza (il peso totale del THC è 1,184 kg e non 11,840 kg; le dosi medie singole sono 47.340 e non 473.600) ha avuto riflesso sulla contestazione della circostanza aggravante.
Sommando g 84 di THC del reperto 1) a g 23,6 di THC del reperto 2, e a g 367,8 di THC del reperto 3, si ottiene un totale di g 1.659,4 di THC puro: inferiore ai g 2000 di THC, al di sotto dei quali non è ravvisabile l’ingente quantità.
2.3. Vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte d’appello ha ritenuto non applicabile l’art. 62-bis cod. pen. nonostante l’atteggiamento pienamente collaborativo mostrato dall’imputato a partire dal momento del controllo in campo, quando ha consegnato tutta la documentazione erroneamente ritenuta parziale in sentenza, fino all’esame reso in udienza di convalida.
Né la condotta può essere ritenuta grave in considerazione del numero di piante rinvenute, posto che ciò limiterebbe il pieno diritto esercitare un’attività agricola presuntivamente legale ai sensi della legge n. 242 del 2016 cit.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Premesso che la vicenda risale all’ottobre 2022, e quindi a data anteriore alla modifica della legge n. 242 del 2016 cit. ad oper del d.l. 11 aprile 2025, n. 48, convertito dalla legge 9 giugno 2025, n. 8, dalle sentenze di merito (le cui motivazioni, trattandosi di c.d. “doppia conforme”, si integrano reciprocamente: Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218) si evince quanto segue.
1.1. Nel corso di un servizio di polizia giudiziaria finalizzato alla prevenzione della coltivazione di sostanza stupefacente, i Carabinieri individuarono la
piantagione di NOME COGNOME, il quale affermò trattarsi di canapa sativa e, a sostegno di quanto asserito, esibì fattura di acquisto dei semi e copia della busta contenente i semi con relativa certificazione (tali semi, tuttavia, furono ritenuti non corrispondenti a quelli piantati, sicché i Giudici di merito reputavano l’esibizione una messa in scena funzionale all’occultamento del reato).
I 35 steli selezionati furono analizzati, ravvisandovi un principio THC pari all’8,6% (ben superiore al limite consentito: 0,6%).
I Carabinieri tornarono dunque sul posto e, in quell’occasione, estesero la perquisizione ad altra particella, di proprietà del padre dell’imputato ma nella disponibilità di questo, ove rinvenirono circa 1.200 steli di inflorescenze di canapa essiccate, oltre ad un sacco del peso di 3.045 kg contenente infiorescenze.
COGNOME precisò di aver proceduto alla coltivazione perché interessato alla vendita attraverso canali leciti, ma non riuscì a specificare la destinazione e i contatti, se non in modo generico.
1.2. Tanto premesso, nel ritenere la sussistenza del reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 cit., i Giudici di merito hanno preso le mosse dall’insegnamento di legittimità secondo cui, in tema di stupefacenti, la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., quali foglie, inflorescenze, olio e resina, integrano il reato di cui all’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dall’art. 4, commi 5 e 7, legge 2 dicembre 2016, n. 242, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività (Sez. U, n. 30475 del 30/05/2019, COGNOME, Rv. 275956, che in motivazione ha precisato che la legge 2 dicembre 2016, n.242, qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, per le finalità tassativamente indicate dall’art.2 della predetta legge).
Hanno evidenziato come, comunque, nel caso di specie, le infiorescenze sequestrate presentassero un principio attivo di gran lunga superiore rispetto a quello stabilito dalla legge, rendendo evidente come un THC così elevato fosse incompatibile con la cannabis lecitamente coltivata.
Hanno aggiunto che, anche ritenere che si trattasse di cannabis light, la liceità della coltivazione andava esclusa in ragione dell’omessa esibizione di tutta la documentazione necessaria per garantirne la tracciabilità e, in primo luogo, dei cartellini che non vennero prodotti dall’autore della piantagione (come invece avrebbe dovuto accadere in base all’art. 3 della legge n. 242 del 2016 cit.),
precisando che non è sufficiente l’esibizione del sacchetto vuoto delle sementi asseritamente utilizzate e/o delle fatture di acquisto.
Ed hanno in tal senso ulteriormente specificato che l’omessa conservazione ed esibizione della documentazione dovuta per legge rende la piantagione illegale, tale irregolarità ripercuotendosi “a cascata” sul prodotto della piantagione.
Hanno infine argomentato dall’illiceità della commercializzazione delle infiorescenze, sempre vietata, così come precisato dalla citata sentenza a Sezioni unite della Corte di Cassazione.
Tutto ciò chiarito, il primo motivo di ricorso è inammissibile.
2.1. Il ricorrente – che incidentalmente articola il motivo di ricorso in termini “matematici” e molto differenti da quanto fatto in appello, il che sarebbe già di per sé causa di inammissibilità – deduce, in sostanza, un travisamento probatorio relativo alla quantificazione di THC della sostanza oggetto di coltivazione.
Al di là della fondatezza o meno dei rilievi svolti, va ricordato che, per costante insegnamento di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, ai fini della deducibilità del vizio di “travisamento della prova”, che si risolve nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nella omessa valutazione della prova esistente agli atti, è necessario che il ricorrente prospetti la decisività del travisamento o dell’omissione nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica (Sez. 6 , n. 36512 del 16/10/2020, COGNOME, Rv. 280117).
2.2. Nel caso di specie, tale decisività non risulta dimostrata, né avrebbe potuto esserlo.
Pur COGNOME a COGNOME trascurare COGNOME l’affermazione COGNOME dei COGNOME Giudici COGNOME sull’illiceità COGNOME della commercializzazione delle infiorescenze – invero supposta ma non adeguatamente dimostrata, dalle sentenze emergendone soltanto la detenzione in sacchi – la responsabilità penale del ricorrente è stata fondata, oltre che sul valore di THC della sostanza rinvenuta, sull’omessa produzione della documentazione prescritta dalla legge, che rende illecita l’intera coltivazione, estromettendo la condotta dall’alveo applicativo “speciale” della legge n. 242 del 2016 cit., recante “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”, per farla rientrare in quello del d.P.R. n. 309 del 1990.
Fondato appare, invece, il secondo motivo di ricorso, con cui è stato dedotto un errore nella consulenza disposta dai Giudici – consistito nell’indicazione di un valore decimale di troppo -, in virtù del quale il quantitativo di THC sarebbe stato inferiore a 2 kg, con conseguente esclusione dell’aggravante speciale di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990.
Richiedendo l’indagine un accertamento di fatto non consentito in sede di legittimità, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio al giudice di merito, nella sola parte relativa all’applicazione dell’aggravante dell’ingente quantità.
Il terzo motivo di ricorso è assorbito.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’aggravante dell’ingente quantità con rinvio per nuovo giudizio su tale punto ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto. Così deciso il 08/10/2025