Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33610 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33610 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a NOICATTARO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/06/2023 della CORTE MILITARE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore 132~CODICE_FISCALE
RAGIONE_SOCIALE
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il-P€ conclude chiedendo il rigetto del ricorso.
udito il difensore
AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 12 febbraio 2020 la Corte militare di appello confermava la sentenza del Tribunale militare di Napoli in data 30 gennaio 2019, che aveva dichiarato NOME COGNOME, quale Appuntato scelto in concorso con il Maresciallo capo NOME COGNOME, colpevole del reato di collusione del militare della Guardia di finanza aggravata dal grado rivestito, di cui agli artt. 3 I. 9 dicembre 1941 n. 1383 e 47, n. 2 cod. pen. mil . di pace, in relazione all’episodio che aveva visto coinvolta NOME COGNOME, e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo aveva condanNOME alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione militare, oltre che alla pena accessoria della rimozione dal grado.
La suddetta sentenza di appello è stata annullata da questa Sezione della Corte di cassazione in data 31 maggio 2022 con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte militare di appello. Si è invero rilevato con la sentenza di questa Corte che nella sentenza di appello annullata non si chiariva se l’accordo tra l’imputato (in concorso con il suo capo) avesse quale scopo principale la frode alla finanza e fosse sostenuto dal necessario dolo specifico e non fosse piuttosto guidato dalla volontà del militare di raggirare la contribuente, convincendola a consegnargli la somma di 800 euro in contanti per definire la propria posizione irregolare relativa alla mancata registrazione del contratto di locazione dell’appartamento della COGNOME ad NOME e all’omessa dichiarazione del reddito così percepito. Si è, inoltre, osservato che non erano valutate correttamente, sempre da detta sentenza, le circostanze relative alla presentazione della querela da parte della contribuente il giorno dopo la proposta da parte dei militari della Guardia RAGIONE_SOCIALE e all’assenso, sempre da parte della stessa, alle forze dell’ordine inquirenti di fotocopiare le banconote costituenti il versamento della somma richiestale, nonché l’intercettazione della conversazione tra presenti del 26 maggio 2014, ore 15.46, da cui emergevano le modalità proposte dai militari per sanare il debito tributario.
La Corte militare di appello, in sede di rinvio, con la sentenza oggetto di odierno esame, ha confermato la sentenza di primo grado summenzionata.
Avverso la sentenza emessa in sede di rinvio propone ricorso per cassazione NOME COGNOME, tramite il proprio difensore di fiducia,
deducendo violazione dell’art. 3 I. 9 dicembre 1941, n. 1383 e vizio di motivazione per travisamento della prova.
Rileva che, secondo l’impostazione accusatoria, l’accordo collusivo tra l’imputato e la contribuente sarebbe consistito nell’impegno da parte dei finanzieri di favorire quest’ultima, alleggerendone la posizione debitoria nei confronti dell’Erario, escludendo dalla loro constatazione talune delle violazioni fiscali e, in particolare, limitando, come da verbale di constatazione del 27 maggio 2014, l’accertamento ai soli anni dal 2010 al 2014, con esclusione degli anni dal 2006 al 2009, e indicando come canone locativo percepito al nero un canone inferiore a quello negli anni effettivamente percepito (euro 300, a fronte di euro 340).
Lamenta che la sentenza di rinvio è incorsa nella medesima violazione di legge e nei medesimi vizi motivazionali della sentenza annullata con particolare riguardo all’esistenza di un accordo collusivo tra l’imputato e l’extraneus.
Muovendo COGNOME dal COGNOME presupposto COGNOME che, COGNOME come COGNOME evidenziato COGNOME dalla giurisprudenza di legittimità, si può parlare di accordo collusivo ai sensi dell’art. 3 della summenzionata legge, quando vi è la messa in pericolo dell’interesse tributario dello Stato e la lesione dello specifico e funzionale obbligo di fedeltà inerente allo status di chi appartiene al corpo preposto alla salvaguardia della finanza pubblica, in tal modo giustificandosi l’arretramento della soglia di punibilità al semplice accordo, la difesa rileva che nel caso in esame si può escludere che vi sia stato un accordo collusivo tra l’Appuntato scelto COGNOME e NOME.
Evidenzia, invero, che è proprio quest’ultima che, dopo gli incontri con i militari fino al giorno prima, in cui gli stessi la invitavano a procurarsi la somma in contanti da versare all’RAGIONE_SOCIALE delle Entrate per poter accedere all’istituto dell’accertamento con adesione e quindi riduzione delle sanzioni, impegnandosi a ridurre il periodo di accertamento e quant’altro, presentava in data 7 maggio 2014 querela, ritenendo di essere vittima di truffa aggravata, dando avvio non solo all’indagine del presente procedimento e all’arresto dell’imputato, ma anche a quella del procedimento penale ordinario esitato in una condanna definitiva del militare per truffa aggravata dall’abuso dei poteri ovvero dalla violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione. Aggiunge che è sempre la medesima ad avere consentito agli inquirenti di fotocopiare le banconote di cui alla somma richiesta dai finanzieri, delle quali parte consegnate a lei dagli stessi carabinieri, rinvenute poi nella disponibilità
dell’imputato al momento dell’arresto. Rileva, quindi, che la COGNOME nel momento in cui sottoscriveva il verbale di constatazione del 27 maggio 2014, considerato il monitoraggio delle forze dell’ordine in atto, aveva ben chiaro, dal punto di vista psicologico, che l’azione posta in essere dai due imputati non rivestiva alcuna valenza pubblica e non poteva comportare alcun illecito vantaggio in tema di accertamento tributario nei propri confronti. Evidenzia che anche il Giudice ordinario, che si è trovato ad affrontare la medesima questione di fatto oggetto del presente giudizio, è giunto alla conclusione, con efficacia di giudicato, che la COGNOME in nessun momento ha inteso cooperare con l’imputato al fine di conseguire un indebito vantaggio.
Osserva il difensore che, a riprova ulteriore del fatto che alla COGNOME non è mai stata prospettata dall’imputato la circostanza per la quale la richiesta di denaro aveva lo scopo di aggirare le norme tributarie per favorirla, consentendole di pagare meno di quanto dovuto per la percezione a nero dei canoni di locazione del suo appartamento, sussiste la conversazione tra presenti del 26 maggio 2014 ore 15.46, intercorsa tra la COGNOME e i due militari da cui si evince che gli stessi spiegavano alla suddetta la possibilità di accedere all’istituto dell’accertamento con adesione e riduzione di un terzo delle sanzioni, tramite versamento all’Erario della suddetta somma da effettuarsi il prima possibile.
Lamenta la difesa che da tale dato probatorio, non adeguatamente considerato dalla sentenza impugnata nonostante quanto disposto dalla pronuncia rescindente, emerge come tutta l’attività dell’imputato e del suo complice fosse incentrata a porre in essere una truffa in danno della COGNOME e non a raggiungere un accordo avente ad oggetto l’elusione di norme tributarie.
Rileva che i finanzieri non risultano avere mai prospettato alla contribuente che il denaro richiesto era destiNOME a compenso per la loro attività volta a ridurre gli illeciti fiscali riscontrati quanto piuttosto a pagamento in favore dell’amministrazione finanziaria, non potendosi, quindi, ritenere provata, oltre ogni ragionevole dubbio, l’adesione dell’extraneus ad un accordo collusivo.
Si duole il difensore dell’illogicità della motivazione della sentenza impugnata, laddove ritiene che la denuncia sporta dalla COGNOME, che la poneva al riparo dalle azioni truffaldine dei soggetti denunciati, non escluda che tra quest’ultima e i finanzieri sia intervenuto un accordo collusivo finalizzato all’emissione di un processo verbale di constatazione
a lei più favorevole per frodare il fisco, quale quello sottoscritto. Lamenta che in tal modo i Giudici militari di appello ricorrono ad una congettura, contraddetta dalla stessa condotta della persona offesa sopra descritta, rilevando che al fine di colmare l’evidente lacuna probatoria sarebbe stato necessario procedere all’esame testimoniale della donna, come richiesto in appello ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen.
Evidenzia, poi, la difesa che non è vero che la COGNOME si fosse attivata per consegnare il verbale di accertamento redatto dai militari nei confronti del proprio inquilino, la cui soppressione era presupposto necessario per la predisposizione del verbale di constatazione a lei più favorevole, risultando dalla denuncia che avrebbe mostrato il suddetto verbale ai militari, i quali ne avrebbero affermato la falsità senza rappresentarle che avrebbero distrutto la copia di detto verbale. Sottolinea che si è in presenza di un’ennesima condotta espressiva del solo intento truffaldino nei suoi confronti dell’imputato, al pari della sottrazione dei documenti dal protocollo presso il Reparto di appartenenza da parte di COGNOME e dei verbali di dichiarazioni rese da NOME COGNOME.
Si duole, infine, il difensore di una valutazione atomistica e parcellizzata della Corte militare di appello, che la porta ad abbandonarsi ad un giudizio probabilistico in ordine al fatto che la COGNOME pensasse comunque di trarre un indebito vantaggio dalla sottoscrizione del verbale di constatazione, estrapolando solo alcuni dati provenienti dalle dichiarazioni della suddetta e non fornendo una valutazione armonica e coerente con il resto del materiale probatorio.
Insiste, pertanto, per l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito specificati.
L’art. 3 I. 9 dicembre 1941, n. 1383, al primo comma, prevede che «il militare della Regia guardia di finanza che collude con estranei per frodare la finanza soggiace alle pene stabilite dal Codice penale militare di pace, ferme le sanzioni pecuniarie delle leggi speciali».
Come evidenziato dalla sentenza rescindente summenzionata, ai fini dell’integrazione del reato di collusione tra l’appartenente alla Guardia di finanza e l’estraneo occorre un accordo avente ad oggetto la frode alla finanza, che può consistere nell’indicazione o nell’apprestamento di
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qualsiasi espediente o mezzo fraudolento dotato di potenzialità lesiva dell’interesse alla percezione dell’entrata tributaria (Sez. 1, n. 14146 del 19/02/2020, COGNOME, Rv. 279050).
Come, poi, specificato da questa Corte (si veda, per tutte, Sez. 1, n. 15019 del 15/12/2005, dep. 2006, Moscuzza, Rv. 234010), il delitto de quo si perfeziona con il solo fatto dell’accordo, il cui oggetto è costituito dalla frode alla finanza, senza che tale risultato debba necessariamente realizzarsi, accordo che deve consistere nell’indicazione o apprestamento di qualsiasi espediente, o altro mezzo fraudolento, dotato di potenzialità lesiva dell’interesse dello Stato alla percezione dell’entrata tributaria, sicché l’interesse protetto viene messo in pericolo da condotte collusive finalizzate sia all’evasione di imposta che all’elusione di un accertamento attivato ex post.
La stessa sentenza che ha disposto il rinvio esitato con la sentenza in esame ha chiesto ai Giudici del rinvio di approfondire se l’accordo intervenuto tra i militari, tra cui l’odierno imputato, e la COGNOME avesse avuto quale scopo principale la frode alla finanza e non fosse, piuttosto, guidato dalla volontà di raggirare la contribuente convincendola a versare agli agenti una somma per la definizione della posizione irregolare della suddetta, relativa alla mancata registrazione del contratto di locazione e all’omessa dichiarazione del reddito così percepito. Ha, inoltre, chiesto di approfondire le circostanze relative alla presentazione della querela da parte della contribuente, il giorno dopo la proposta ad opera dei finanzieri, e all’assenso a fotocopiare le banconote costituenti la somma da versare, nonché le emergenze dell’intercettazione del 26 maggio 2014 circa la prospettata saNOMEria tributaria; e, quindi, di approfondire le risultanze probatorie poco compatibili con la ritenuta adesione ad un accordo collusivo da parte della COGNOME.
Tanto premesso, va osservato che la sentenza in esame non risulta avere svolto gli approfondimenti demandati al giudizio di rinvio.
In particolare, la Corte militare non specifica se nel momento in cui interveniva la denuncia l’accordo collusivo già vi era stato, considerata la natura di reato a consumazione anticipata di quello per cui si procede, e, quindi, se dovesse essere relegata a mero post factum tutta la fase successiva a detta denuncia, tra cui la sottoscrizione del verbale di constatazione che verrebbe così a costituire una semplice conferma del già intervento accordo collusivo. A tale proposito detta Corte afferma che la circostanza che la COGNOME avesse deciso di sporgere denunzia ai
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carabinieri contro l’odierno prevenuto ed il suo concorrente COGNOME non esclude in alcun modo l’avvenuta consumazione del reato contestato, non essendovi prova che la denunzia ai carabinieri le impedisse di trovare una intesa, molto sollecitata e fortemente voluta dai suddetti, per frodare il fisco. E aggiunge che dagli elementi probatori emersi si può intendere chiaramente che la COGNOME avesse deciso di accordarsi con i due finanzieri COGNOME e COGNOME, sottoscrivendo il processo verbale del 27 maggio 2014, in quanto da settimane i militari l’avevano contattata facendole pressione psicologica; in particolare rappresentandole, con modalità del tutto illecite, un esito assolutamente a lei sfavorevole dell’accertamento che erano chiamati a svolgere (che avrebbe determiNOME il pagamento di diverse migliaia di euro di sanzione), e, contemporaneamente, la possibilità di versare subito una somma di denaro inferiore di un terzo a quella che avrebbe dovuto corrispondere all’Erario, mediante la cd. richiesta di accertamento con adesione. Rileva, inoltre, la sentenza in esame che dalla lettura dei documenti in atti, tra cui la stessa sentenza definitiva del Tribunale di Bari del 22 luglio 2020, emerge una condotta doppia da parte della COGNOME, che, da un lato, presenta querela e accetta solo parzialmente i consigli della P.g., ossia di non dare seguito alle richieste di denaro, e, dall’altro, decide, pensando con buona probabilità di poterne comunque ricavare un’utilità economica, di sottoscrivere il processo verbale sottopostole da COGNOME. A tale riguardo la Corte militare evidenzia che il 27 maggio 2014 la COGNOME accettava quanto propostole dai carabinieri, i quali per chiudere l’indagine e cogliere in flagranza di reato i due finanzieri, le consegnavano delle banconote, poi rinvenute e sequestrate nella disponibilità di COGNOME e del concorrente, in precedenza fotocopiate dagli stessi; e che se da un lato la COGNOME aveva voluto cautelarsi denunciando COGNOME e COGNOME, dall’altro la stessa aveva mantenuto una piena autonomia di pensiero e condotta, impegnandosi addirittura per iscritto a versare la somma a COGNOME per la definizione bonaria del suo accertamento tributario.
La Corte, quindi, pur muovendo correttamente dal presupposto della non incompatibilità tra la denuncia e la consumazione del reato contestato, riferendo di una mera pressione psicologica esercitata dai finanzieri prima della denuncia, sembra, però, collocare l’accordo collusivo dopo detta denuncia, individuandolo nella sottoscrizione del verbale di constatazione non senza evidenti contraddizioni e illogicità.
E ciò perché la sottoscrizione del verbale di constatazione risulta essere avvenuta sotto impulso dei carabinieri, che consegnavano alla donna le banconote previamente fotocopiate, e quindi non in «piena autonomia di pensiero e condotta»; e perché non sembra possa dirsi non esclusa la presenza di un accordo volto a frodare la finanza se non collocando detto accordo antecedentemente alla denuncia. E su questo aspetto, come si è evidenziato, la sentenza in esame non è chiara.
Anzi, sembra incorrere nella manifesta illogicità quando afferma l’insussistenza di dubbi sulla volontà della COGNOME di accordarsi, successivamente alla denuncia, con COGNOME per violare e/o eludere norme finanziarie e, quindi, ritiene che la donna, nonostante la consapevolezza del monitoraggio investigativo in corso, da lei stesso avviato, possa aver pensato di trarre vantaggi fiscali dal verbale di constatazione del 27 maggio 2014. E quando individua il dolo specifico di COGNOME, costituito dalla volontà di raggiungere un’intesa con un soggetto estraneo per violare e/o eludere norme finanziarie, nell’avere convinto la COGNOME ad accettare l’espediente procedurale consistente nell’adesione alla proposta di pagare all’Erario una somma in tempi ristretti (800 euro da odierna imputazione ovvero 900 euro da motivazione), benché tale espediente fosse palesemente artefatto.
E ciò, altresì, a fronte di una condanna, in sede di giurisdizione ordinaria, del Tribunale di Bari in data 22 luglio 2020 dei finanzieri COGNOME e COGNOME per truffa aggravata dall’abuso della qualità di militari appartenenti alla Guardia di RAGIONE_SOCIALE, confermata dalla Corte di appello di Bari in data 8 ottobre 2021, con pronuncia irrevocabile il 9 novembre 2022, richiamata dalla stessa sentenza in esame, nella quale l’impegno al versamento di detta somma di denaro viene individuato come il fulcro dell’attività truffaldina dei militari, che, creando nella NOME, una situazione di debolezza e di preoccupazione, inducevano in quest’ultima il convincimento di legittimità e giuridica doverosità della dazione di detta somma (si veda p. 74 della sentenza del Tribunale di Bari). Condanna, nella quale, peraltro, si sottolinea, con efficacia di giudicato, come l’istruttoria svolta abbia consentito di accertare che in nessun momento la COGNOME avesse inteso cooperare con i predetti militari al fine di conseguire un indebito vantaggio (p. 76).
La sentenza impugnata, oltre a non approfondire quanto sopra rimarcato e la conciliabilità di detto giudicato con il ritenuto accordo collusivo, infine non si confronta con le risultanze della conversazione tra
presenti del 26 maggio 2024, come altresì demandato al giudizio di rinvio dalla sentenza rescindente.
Tali COGNOME carenze COGNOME e/o COGNOME contraddizioni COGNOME motivazionali COGNOME impongono l’annullamento della sentenza impugnata e il rinvio per nuovo giudizio, alla luce delle considerazioni sopra svolte, ad altra sezione della Corte militare di appello di Roma.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte militare di appello di Roma.
Così deciso in Roma, il 6 giugno 2024.