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Colloqui intimi: la Cassazione conferma il diritto

La Corte di Cassazione ha confermato il diritto di un detenuto a svolgere colloqui intimi e riservati con la propria moglie, respingendo il ricorso del Ministero della Giustizia. Il Ministero sosteneva l’impossibilità logistica e la pericolosità sociale del detenuto. La Corte, richiamando la sentenza n. 10/2024 della Corte Costituzionale, ha stabilito che il diritto all’affettività è un diritto soggettivo che non può essere negato per ragioni generiche. La decisione si fonda sulla buona condotta del detenuto e sull’assenza di controindicazioni specifiche, ribadendo che gli ostacoli strutturali non possono sopprimere un diritto fondamentale.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Colloqui intimi: la Cassazione sancisce il diritto all’affettività in carcere

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32376/2025, ha messo un punto fermo su una questione di grande delicatezza e rilevanza umana: il diritto ai colloqui intimi per le persone detenute. Rigettando il ricorso del Ministero della Giustizia, la Suprema Corte ha confermato la decisione di un Tribunale di sorveglianza che aveva autorizzato un detenuto a incontrare la moglie senza il controllo a vista del personale penitenziario, in attuazione di un’importante pronuncia della Corte Costituzionale.

I Fatti del Caso: La Battaglia per i Colloqui Intimi

Il caso nasce dalla richiesta di un detenuto, ristretto presso la Casa di reclusione di Parma, di poter effettuare colloqui riservati con la consorte. La direzione del carcere aveva negato l’autorizzazione. Il difensore del detenuto ha quindi presentato reclamo al Magistrato di sorveglianza, il quale lo ha accolto, ordinando all’amministrazione penitenziaria di individuare, entro 60 giorni, spazi idonei per consentire gli incontri.

Contro questa decisione, sia il Procuratore della Repubblica che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) hanno proposto reclamo al Tribunale di sorveglianza, che lo ha però respinto. Non arrendendosi, il Ministero della Giustizia ha presentato ricorso in Cassazione, adducendo tre motivi principali: l’inadeguatezza strutturale di tutti gli istituti penitenziari, la pericolosità sociale del detenuto (condannato per reati di cui all’art. 4-bis Ord. pen. e ritenuto appartenente a un clan camorristico) e le difficoltà logistiche nel rispettare i tempi imposti.

La Decisione della Cassazione e l’Importanza dei Colloqui Intimi

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso del Ministero infondato, confermando pienamente la decisione del Tribunale di sorveglianza. La sentenza si allinea in modo netto alla storica pronuncia della Corte Costituzionale (n. 10/2024), che ha dichiarato illegittimo l’art. 18 dell’Ordinamento Penitenziario nella parte in cui non prevedeva la possibilità di incontri riservati. I colloqui intimi non sono una mera aspettativa, ma una legittima espressione del diritto all’affettività e alla coltivazione dei rapporti familiari, un diritto soggettivo che può essere compresso solo per ragioni specifiche e comprovate.

Le Motivazioni: Tra Diritti Fondamentali e Ostacoli Pratici

Le motivazioni della Corte di Cassazione sono chiare e si basano su principi giuridici solidi. In primo luogo, viene ribadito che il diritto a godere delle relazioni affettive è costituzionalmente tutelato (artt. 27 e 117 Cost., in relazione all’art. 8 CEDU). Lo stato di detenzione può modularne l’esercizio, ma non annullarlo completamente con un divieto generalizzato e astratto. L’obbligo assoluto del controllo a vista durante i colloqui è stato giudicato una compressione sproporzionata e irragionevole della dignità del detenuto.

La Corte ha poi smontato gli argomenti del Ministero. Le difficoltà strutturali e logistiche sono state ritenute generiche e non supportate da un’analisi concreta della situazione del carcere specifico. Un diritto fondamentale non può essere negato a tempo indeterminato a causa di carenze organizzative dell’amministrazione. Inoltre, la Corte ha sottolineato che il Tribunale di sorveglianza aveva adeguatamente valutato la posizione del singolo detenuto, evidenziando la sua regolare condotta, l’impegno lavorativo in carcere e l’assenza di elementi concreti che ne confermassero un’attuale pericolosità sociale. Anzi, la Cassazione ha notato la contraddittorietà del Ministero, che da un lato negava il colloquio per pericolosità e dall’altro auspicava la concessione di un permesso premio, misura che presuppone proprio l’assenza di tale pericolosità.

Le Conclusioni: Quali Implicazioni per il Sistema Penitenziario?

Questa sentenza rappresenta una pietra miliare per l’umanizzazione della pena e il percorso di risocializzazione del condannato. Le conclusioni che se ne traggono sono significative. Anzitutto, il diritto ai colloqui intimi è ormai un diritto soggettivo pienamente riconosciuto, azionabile davanti alla magistratura di sorveglianza. In secondo luogo, l’Amministrazione Penitenziaria ha l’obbligo di adoperarsi concretamente per dare attuazione a questo diritto, superando le difficoltà strutturali. La stessa sentenza menziona come il DAP, successivamente al ricorso, abbia avviato l’emanazione di linee guida operative, riconoscendo l’urgenza della questione. Infine, ogni diniego dovrà essere motivato da ragioni specifiche e attuali legate alla sicurezza, all’ordine, alla condotta del detenuto o, per gli imputati, a esigenze giudiziarie, e non potrà più basarsi su presunzioni di pericolosità legate al passato o su generiche carenze logistiche.

Un detenuto ha sempre diritto ai colloqui intimi senza controllo a vista?
No, non è un diritto assoluto. La sentenza chiarisce che il diritto può essere negato per specifiche e comprovate ragioni di sicurezza, mantenimento dell’ordine e della disciplina, per comportamento non corretto del detenuto o per ragioni giudiziarie nel caso di un imputato.

Le difficoltà logistiche e strutturali delle carceri possono impedire la concessione dei colloqui intimi?
Secondo la Corte, le difficoltà strutturali, se addotte in modo generico e non riferite a una concreta e insormontabile situazione specifica, non sono una ragione sufficiente per negare il diritto. L’amministrazione ha l’obbligo di adoperarsi per superare tali ostacoli entro un termine ragionevole.

La passata pericolosità sociale del detenuto, legata a reati di mafia, è un ostacolo automatico ai colloqui intimi?
No. La decisione deve basarsi su una valutazione attuale e individualizzata. Nel caso di specie, il Tribunale di sorveglianza aveva riscontrato l’assenza di elementi concreti a conferma della persistente pericolosità del detenuto, valorizzando al contrario la sua regolare condotta in carcere. La Cassazione ha confermato che la valutazione non può essere automatica ma deve tenere conto del percorso trattamentale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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