Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 44500 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 44500 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a Roma il 21/04/1976;
avverso l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Sassari del 28/06/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. 14
4.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Sassari ha respinto il reclamo presentato nell’interesse di NOME COGNOME (detenuto in regime ex art. 41-bis Ord. pen.) avverso il provvedimento del locale Magistrato di sorveglianza in data 18 marzo 2024, con il quale era stato rigettato il reclamo con il quale egli lamentava la illegittimità del divieto impostogli dalla direzione dei carcere di effettuare i colloqui con la madre in lingua sinti-abruzzese, anziché in quella italiana da lei non conosciuta.
In particolare, il Tribunale di sorveglianza ha osservato che l’obbligo di effettuare i colloqui nella lingua italiana era giustificato dalle esigenze di sicurezza legate alla sottoposizione del detenuto allo speciale regime cui è sottoposto ed alla necessità di impedire colloqui in una lingua non comprensibile dal personale dell’Amministrazione penitenziaria, tanto più che – come riferito dalla direzione del carcere – i famigliari di Casamonica (tra cui anche la madre) comprendono la lingua italiana e che, in ogni caso, i predetti potrebbero fungere da interpreti in caso di necessità.
Avverso la predetta ordinanza NOME COGNOME per mezzo dell’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, di seguito riprodotto nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen insistendo per l’annullamento del provvedimento impugnato.
Il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., la violazione ed erronea applicazione degli artt. 125 e 666 del codice di rito, 2, 3, 27, comma 3, Cost., 6 CEDU e 17 delle regole penitenziarie europee; al riguardo osserva che il Tribunale di sorveglianza si è limitato a riprodurre le argomentazioni adottate dal magistrato di sorveglianza, senza fornire risposta alle censure sollevate dal detenuto rispetto alla violazione dei suoi diritti fondamentali venendogli impedito di effettuare i colloqui con la madre nella lingua sinti-abruzzese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Invero, il Tribunale di sorveglianza – con motivazione adeguata e non manifestamente illogica – ha osservato che il divieto di effettuare i colloqui in lingua sinti-abruzzese è giustificato dalle esigenze di sicurezza legate alla sottoposizione dell’odierno ricorrente allo speciale regime di cui al citato art. 41bis che verrebbero vanificate qualora si consentissero i colloqui in un idioma non compreso dal personale addetto alla vigilanza che, in tal caso, non potrebbe intervenire nella ipotesi di scambio di messaggi non consentiti tra il detenuto ed i suoi famigliari.
2.1. Inoltre, l’ordinanza impugnata ha dato rilievo alla circostanza che – come riferito dalla direzione del carcere e non specificamente contestato dal ricorrente – i parenti del detenuto (compresa anche la di lui madre) comprendono la lingua italiana e che, quindi, i colloqui si possono svolgere in italiano, senza che ciò determini la violazione di alcun diritto fondamentale della persona.
2.2. A quanto sopra deve aggiungersi che risultano inconferenti i richiami contenuti nel ricorso a presunte discriminazioni in danno di minoranze linguistiche dato che, come detto, il detenuto ed i suoi famigliari comprendono l’italiano in forma scritta e parlata e che il diritto ai colloqui viene comunque garantito.
Ne consegue che il ricorrente, pur lamentando la violazione di legge, sollecita apprezzamenti di merito estranei al giudizio di legittimità, poiché vorrebbe pervenire a differente valutazione degli elementi processuali rispetto a quella coerentemente svolta dal giudice a quo.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 15 novembre 2024.