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Colloqui detenuti 41-bis: sicurezza e famiglia

Un detenuto sottoposto al regime speciale ha richiesto un colloquio visivo con il fratello, anch’egli detenuto nello stesso regime. La richiesta è stata negata a tutti i livelli. La Corte di Cassazione ha confermato il diniego, stabilendo che, sebbene il diritto ai legami familiari esista, le esigenze di sicurezza pubblica possono prevalere. Nel caso specifico, l’elevata pericolosità dei due fratelli, vertici di un’organizzazione criminale, giustificava la restrizione per prevenire comunicazioni illecite. La sentenza sottolinea l’importanza del bilanciamento di interessi nei casi di colloqui detenuti 41-bis.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Colloqui tra detenuti al 41-bis: la Sicurezza Prevale sul Diritto di Famiglia

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 46809 del 2024, affronta un tema delicato: il diritto ai colloqui tra detenuti 41-bis che sono anche stretti familiari. La decisione ribadisce un principio fondamentale: sebbene il diritto all’affettività sia tutelato, non è assoluto e può essere limitato da superiori esigenze di sicurezza pubblica, specialmente quando i soggetti coinvolti hanno un ruolo di vertice in organizzazioni criminali.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda la richiesta di un detenuto, sottoposto al regime carcerario speciale dell’art. 41-bis dell’Ordinamento Penitenziario, di poter effettuare un colloquio visivo con il proprio fratello, anch’egli recluso sotto lo stesso rigido regime. Il richiedente lamentava di non vedere il fratello da diversi anni. La richiesta era stata respinta sia dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) sia, in sede di reclamo, dal Tribunale di Sorveglianza. La motivazione del diniego si fondava sull’elevata pericolosità sociale di entrambi i fratelli e sulla concreta difficoltà di monitorare e decifrare eventuali comunicazioni non verbali o gestuali durante l’incontro, potenzialmente finalizzate a mantenere i legami con l’organizzazione criminale.

La Decisione della Corte di Cassazione

Investita della questione, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del detenuto, confermando la legittimità del diniego. I giudici hanno chiarito che la sottoposizione al regime del 41-bis non esclude a priori la possibilità di colloqui tra familiari detenuti, ma impone un rigoroso giudizio di bilanciamento. In questo specifico caso, tale bilanciamento è stato correttamente operato a favore della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha articolato il proprio ragionamento su diversi punti chiave, creando una cornice giuridica chiara per la gestione dei colloqui detenuti 41-bis.

Il Principio del Bilanciamento tra Diritti

Il punto di partenza è il riconoscimento che il diritto a coltivare le relazioni familiari è un diritto fondamentale della persona, tutelato sia dalla Costituzione italiana (art. 27) sia dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (art. 3). Tuttavia, questo diritto non è intangibile. Deve essere bilanciato con un altro interesse di pari rango costituzionale: la sicurezza della collettività. La Corte ha affermato che le esigenze di tutela dell’affettività dei detenuti devono essere considerate “recessive” di fronte a concrete e prevalenti esigenze di sicurezza, sia all’interno (intramuraria) che all’esterno (extramuraria) del carcere.

La Valutazione della Pericolosità Specifica

Un elemento decisivo nella motivazione è stata la caratura criminale dei due fratelli. La decisione di negare il colloquio non si basava su una presunzione astratta di pericolosità legata al regime del 41-bis, ma su elementi concreti emersi da un’articolata attività istruttoria. Il parere della Direzione Distrettuale Antimafia competente aveva evidenziato il ruolo di vertice di entrambi all’interno della cosca di appartenenza. Questo ha portato i giudici a concludere che un incontro, anche se monitorato, avrebbe comportato un rischio inaccettabile di scambio di informazioni e direttive, anche tramite linguaggi gestuali o cifrati difficilmente controllabili.

Le Conclusioni: un Diritto non Assoluto

La sentenza n. 46809/2024 consolida un orientamento giurisprudenziale preciso: il diritto all’affettività dei detenuti, pur essendo irrinunciabile nel suo nucleo essenziale, può subire delle compressioni quando entra in conflitto con la necessità di prevenire la prosecuzione delle attività criminali dal carcere. La legittimità di tali restrizioni dipende da una valutazione concreta e individualizzata, che tenga conto della specifica posizione del detenuto all’interno dell’organizzazione criminale e del pericolo che un contatto familiare potrebbe generare. In definitiva, per i colloqui detenuti 41-bis, la sicurezza dello Stato e la prevenzione dei reati costituiscono un limite invalicabile, che giustifica il sacrificio del pur fondamentale diritto ai legami familiari.

Un detenuto al 41-bis può avere colloqui con un familiare anch’esso detenuto al 41-bis?
Sì, in linea di principio la legge non lo esclude. Tuttavia, la concessione è subordinata a un rigoroso giudizio di bilanciamento tra il diritto all’affettività del detenuto e le prevalenti esigenze di ordine e sicurezza pubblica.

Perché la Corte ha negato il colloquio in questo caso specifico?
La Corte ha confermato il diniego perché entrambi i fratelli erano stati identificati come figure di vertice di un’organizzazione criminale (‘ndranghetistica). Il rischio che potessero scambiarsi messaggi codificati, verbali o gestuali, per continuare a gestire attività illecite è stato ritenuto troppo elevato e non adeguatamente controllabile, prevalendo così sul diritto al colloquio.

Quali diritti vengono bilanciati in decisioni come questa?
La decisione bilancia due interessi fondamentali: da un lato, il diritto del detenuto a coltivare le relazioni affettive e familiari, protetto dalla Costituzione e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo; dall’altro, l’esigenza di tutelare la sicurezza pubblica e impedire che i detenuti mantengano contatti operativi con le organizzazioni criminali di appartenenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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