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Colloqui detenuti 41-bis: sì a videochiamate

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Ministero della Giustizia, confermando il diritto di un detenuto al regime speciale di avere colloqui tramite video-collegamento con i familiari, anch’essi detenuti. La Corte ha stabilito che per negare i colloqui detenuti 41-bis non basta il passato criminale dell’individuo, ma servono prove concrete e attuali di un rischio per la sicurezza pubblica, che il parere della Direzione Distrettuale Antimafia non aveva fornito.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Colloqui detenuti 41-bis: Diritto alla Famiglia vs. Sicurezza Pubblica

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34055/2025, ha affrontato una questione delicata e fondamentale: il bilanciamento tra il diritto all’affettività familiare e le esigenze di sicurezza pubblica nel contesto del regime carcerario speciale. Al centro della vicenda vi sono i colloqui detenuti 41-bis, specificamente la possibilità di effettuarli tramite video-collegamento con familiari a loro volta detenuti. La Corte ha stabilito un principio chiaro: un diniego non può basarsi solo sul passato criminale, ma richiede la prova di un pericolo attuale e concreto.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria trae origine dalla decisione di un Magistrato di Sorveglianza che aveva autorizzato un detenuto, sottoposto al regime del 41-bis, a effettuare colloqui visivi tramite video-collegamento con i suoi familiari, anch’essi ristretti. Contro questa decisione, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) aveva proposto reclamo.

Il Tribunale di Sorveglianza, in sede di rinvio dopo un precedente annullamento della Cassazione, aveva rigettato il reclamo dell’Amministrazione. Il Tribunale aveva ritenuto che il parere sfavorevole della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) non fosse sufficiente a negare i colloqui, poiché non conteneva elementi concreti e attuali di pericolosità. Il parere, secondo il Tribunale, si limitava a richiamare la caratura criminale del detenuto e i suoi legami familiari, senza indicare rischi specifici e attuali derivanti dai colloqui.

L’Amministrazione Penitenziaria e il Ministero della Giustizia hanno quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che il Tribunale avesse errato nel richiedere “elementi di novità” e che la pericolosità del detenuto fosse intrinseca e persistente, giustificando di per sé il divieto.

La Decisione della Corte e i colloqui detenuti 41-bis

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso dell’Amministrazione, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. La sentenza stabilisce che il diritto del detenuto al mantenimento dei rapporti familiari, anche tramite video-collegamento, non è precluso dal regime differenziato. Si tratta di trovare un punto di equilibrio tra il diritto costituzionalmente protetto all’affettività e le imprescindibili esigenze di sicurezza.

Le Motivazioni della Sentenza

Il cuore della motivazione risiede nell’interpretazione del ruolo del parere della DDA e dei requisiti necessari per limitare i diritti del detenuto. La Corte ha ribadito che, secondo la normativa e la giurisprudenza consolidata, le richieste di colloqui tra familiari detenuti, anche in regime di 41-bis, devono essere generalmente accolte.

L’eccezione a questa regola si verifica solo quando dal parere, pur non vincolante, della DDA emergano «concreti e rilevanti elementi» che ne sconsiglino l’effettuazione. La Cassazione chiarisce cosa significhi questa espressione: non è sufficiente fare riferimento al passato criminale del detenuto, al suo ruolo apicale in un’organizzazione o ai reati gravi per cui è stato condannato. Questi elementi, sebbene importanti, appartengono al passato.

Per prevalere sul diritto all’affettività familiare, le esigenze di sicurezza devono fondarsi su evidenze fattuali specifiche e attuali. Deve esistere un rischio significativo e individuato che i colloqui possano essere sfruttati per perseguire interessi illeciti, mettendo a repentaglio la sicurezza pubblica. Ritenere che il passato criminale sia di per sé sufficiente a giustificare un diniego significherebbe, secondo la Corte, svuotare di significato la norma e negare un diritto fondamentale del detenuto.

Nel caso specifico, il Tribunale di Sorveglianza aveva correttamente rilevato la genericità e l’apoditticità del parere della DDA, che era del tutto slegato da dati reali e attuali indicativi di una concreta pericolosità dei colloqui. Di conseguenza, in assenza di tali elementi, la decisione di autorizzare i colloqui è stata ritenuta legittima.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Questa sentenza rafforza un principio di garanzia fondamentale: anche per i detenuti sottoposti al regime più restrittivo, i diritti non possono essere compressi sulla base di presunzioni assolute di pericolosità. L’Amministrazione Penitenziaria, per negare i colloqui detenuti 41-bis con familiari, ha l’onere di dimostrare, attraverso il parere motivato della DDA, l’esistenza di un pericolo attuale, concreto e specifico.

In pratica, ciò significa che ogni decisione deve essere basata su un’analisi individualizzata e aggiornata della situazione, non su automatismi legati al titolo di reato o al curriculum criminale. Questo approccio garantisce che le limitazioni imposte siano proporzionate e strettamente necessarie a tutelare la sicurezza, senza sacrificare ingiustificatamente il nucleo essenziale dei diritti della persona.

Un detenuto in regime di 41-bis può avere colloqui in videochiamata con familiari anch’essi detenuti?
Sì, la sottoposizione al regime del 41-bis non esclude in linea di principio questo diritto. La legge richiede un bilanciamento tra il diritto ai rapporti familiari e le esigenze di sicurezza, e i colloqui possono essere autorizzati tramite forme controllabili a distanza come la videoconferenza.

Per negare i colloqui tra detenuti al 41-bis è sufficiente il parere negativo della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA)?
No. Il parere della DDA, sebbene debba essere richiesto, non è vincolante. Per giustificare un diniego, deve contenere ‘elementi concreti e rilevanti’ che dimostrino un rischio attuale e specifico per la sicurezza pubblica. Non può basarsi unicamente sul passato criminale del detenuto.

Cosa intende la Corte per ‘elementi concreti e attuali’ di pericolosità?
La Corte intende evidenze fattuali specifiche e recenti che indichino un rischio significativo e individuato che i colloqui possano essere usati per scopi illeciti. La pericolosità generica derivante dal profilo criminale del detenuto o dal suo ruolo passato nell’organizzazione criminale, da sola, non è considerata sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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