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Colloqui congiunti: inclusi suoceri e cognati

Un detenuto si è visto negare i colloqui con suoceri e cognata perché non conviventi. La Cassazione ha annullato la decisione, stabilendo che per il diritto ai colloqui congiunti, la nozione di ‘prossimo congiunto’ ex art. 307 c.p. si applica e include anche gli affini dello stesso grado, come suoceri e cognati, a prescindere dalla convivenza.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Colloqui congiunti: La Cassazione include suoceri e cognati

Il diritto a mantenere legami familiari è un pilastro fondamentale anche all’interno del sistema penitenziario. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema di grande rilevanza pratica: la definizione di chi ha diritto ai colloqui congiunti con una persona detenuta. La decisione chiarisce che la nozione di ‘congiunto’ va interpretata in senso ampio, includendo anche figure come suoceri e cognati, indipendentemente dal legame di convivenza.

I Fatti del Caso: La Negazione dei Colloqui Familiari

Il caso ha origine dalla richiesta di un uomo, sottoposto a misura cautelare personale, di essere autorizzato a effettuare colloqui visivi con i propri suoceri e la cognata. Il Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.) del Tribunale aveva rigettato l’istanza con una motivazione precisa: tali persone non facevano parte del nucleo familiare convivente con l’indagato.

Contro questa decisione, il difensore dell’uomo ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo una violazione di legge. La difesa ha argomentato che il G.I.P. aveva interpretato in modo eccessivamente restrittivo il concetto di ‘congiunto’, omettendo di applicare la definizione più ampia fornita dal codice penale.

La Questione Giuridica: Chi sono i “Congiunti” per la Legge?

Il cuore della controversia risiedeva nell’interpretazione del termine ‘congiunti’ utilizzato nell’ordinamento penitenziario (art. 18 L. 354/1975). Il ricorrente sosteneva che, per individuare le persone ammesse ai colloqui, si dovesse fare riferimento alla nozione di ‘prossimi congiunti’ contenuta nell’articolo 307, comma quarto, del codice penale. Questa norma ha una portata generale e definisce in modo chiaro e dettagliato chi rientra in tale categoria, senza porre alcuna condizione legata alla convivenza.

La Decisione della Cassazione sui colloqui congiunti

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. Ha stabilito che l’ordinanza del G.I.P. era viziata da un’erronea interpretazione delle norme applicabili. I giudici supremi hanno ribadito un principio già affermato in precedenza: la nozione di ‘congiunto’ ai fini dei colloqui deve essere intesa ai sensi del citato art. 307 del codice penale.

L’Applicazione dell’Art. 307 del Codice Penale

L’articolo 307, comma quarto, c.p. elenca specificamente chi sono i ‘prossimi congiunti’:
– Gli ascendenti (genitori, nonni)
– I discendenti (figli, nipoti)
– Il coniuge e la parte di un’unione civile
– I fratelli e le sorelle
Gli affini nello stesso grado
– Gli zii e i nipoti

Suoceri e Cognata: Affini e quindi “Congiunti”

La Corte ha applicato questa definizione al caso concreto. I suoceri sono affini di primo grado (lo stesso grado dei genitori), mentre la cognata è affine di secondo grado (lo stesso grado della sorella). Di conseguenza, rientrano a pieno titolo nella categoria dei ‘prossimi congiunti’ e, pertanto, sono tra le persone ammesse ai colloqui con il detenuto. L’argomento della mancata convivenza, utilizzato dal G.I.P. per respingere la richiesta, è stato giudicato irrilevante e non previsto dalla legge come presupposto per il diritto ai colloqui.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che la definizione fornita dall’art. 307 c.p. ha una portata generale all’interno dell’ordinamento penale e deve essere applicata anche in materia penitenziaria. Questa interpretazione garantisce un’applicazione uniforme del diritto e tutela in modo più ampio i legami affettivi del detenuto, che sono essenziali per il suo percorso di risocializzazione. Negare i colloqui sulla base di un requisito non previsto dalla legge, come la convivenza, costituisce un’errata applicazione della norma e una compressione ingiustificata di un diritto fondamentale.

Le conclusioni

Con questa sentenza, la Cassazione ha annullato l’ordinanza impugnata e ha rinviato gli atti al G.I.P. per un nuovo esame della richiesta, che dovrà attenersi ai principi enunciati. La decisione ha importanti implicazioni pratiche: rafforza il diritto dei detenuti a mantenere relazioni con la famiglia d’origine del coniuge, riconoscendo che i legami affettivi non si limitano al solo nucleo familiare convivente. Si tratta di un’affermazione di civiltà giuridica che pone l’accento sul valore dei rapporti familiari come strumento di sostegno e recupero per chi si trova in stato di detenzione.

Un detenuto ha diritto ai colloqui con i suoceri e la cognata?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, i suoceri e la cognata rientrano nella nozione di ‘prossimi congiunti’ definita dall’art. 307, comma quarto, del codice penale, in quanto sono ‘affini’ nello stesso grado degli ascendenti e dei fratelli. Pertanto, hanno diritto ai colloqui.

Per avere diritto ai colloqui, è necessario che il parente sia convivente con il detenuto?
No. La sentenza chiarisce che il requisito della convivenza non è previsto dalla legge per autorizzare i colloqui con i ‘congiunti’. Il diritto si basa sul vincolo di parentela o affinità come definito dalla legge penale.

Quale norma definisce chi sono i ‘prossimi congiunti’ ai fini dei colloqui in carcere?
La norma di riferimento è l’art. 307, comma quarto, del codice penale. Questa disposizione, secondo la Corte, ha una portata generale e si applica anche in materia penitenziaria per individuare le persone ammesse ai colloqui in via ordinaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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