Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 7825 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 7825 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a TORRE DEL GRECO il 13/04/1984
avverso il decreto del 06/09/2024 del GIP del TRIBUNALE di CASTROVILLARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
lette le conclusioni scritte presentate dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali, nell’interesse di NOME COGNOME hanno chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
A seguito dell’istanza formulata dall’avv. NOME COGNOME con la quale era stato chiesto che il suo assistito, NOME COGNOME sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere presso la Casa circondariale di Castrovillari, fosse permanentemente autorizzato a svolgere i colloqui in carcere con la sua compagna NOME COGNOME (all’uopo allegando l’autocertificazione sottoscritta in data 6 maggio 2024 presso l’ufficio anagrafe di Scafati, un certificato anagrafico da cui risultava che ella viveva nello stesso nucleo familiare di COGNOME e che, all’atto dell’arresto in Cariati, COGNOME e la COGNOME occupavano la stessa abitazione), con decreto in data 6 settembre 2024, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Castrovillari ha rigettato la richiesta con la seguente motivazione: «visto si rigetta non essendo comprovata la sussistenza di un rapporto more uxorio in relazione al quale il ritrovamento dell’COGNOME in compagnia della COGNOME non è indice univoco potendo essere sintomo di rapporto occasionale».
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per il tramite dei difensori di fiducia, avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 18 Ord. pen. e dell’art. 111, settimo comma, Cost. In particolare, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., che il provvedimento impugnato abbia negato l’autorizzazione ai colloqui tra COGNOME e la compagna, NOME COGNOME avendo ritenuto non provata la sua qualifica di convivente, nonostante che ella avesse prodotto, al fine di dimostrare la convivenza, una autocertificazione in data 28 agosto 2024 e, dunque, antecedente l’arresto, un certificato di residenza dimostrativo della condivisione da parte della COGNOME dell’abitazione di Scafati con il detenuto, la madre e i figli dello stesso; e nonostante che, al momento dell’arresto in una casa vacanze, COGNOME, all’epoca latitante, fosse stato rinvenuto in compagnia della COGNOME. Dunque, il decreto avrebbe richiesto erroneamente una prova ulteriore rispetto a quella prevista dalla normativa penitenziaria, discriminando la relazione di convivenza rispetto a quella fondata sul matrimonio.
In data 4 dicembre 2024 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.
2. L’art. 18, legge 26 luglio 1975, n. 354, prevede che «fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, i permessi di colloquio, le autorizzazioni alla corrispondenza telefonica e agli altri tipi di comunicazione sono di competenza dell’autorità giudiziaria che procede, individuata ai sensi dell’articolo 11, comma 4». Dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 123, quest’ultima disposizione stabilisce che «se il giudice è in composizione collegiale, il provvedimento è adottato dal presidente. Prima dell’esercizio dell’azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari». Le concrete modalità di svolgimento del colloquio sono previste dall’art. 37, d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230. Mentre l’art. 18 Ord. pen. utilizza il termine «congiunti» e si esprime con particolare favore per la realizzazione dei colloqui con i «familiari», l’art. 37 prevede, al comma 1, che, insieme ai congiunti, anche i «conviventi» siano ammessi in via ordinaria alla fruizione dei colloqui, laddove le «persone diverse» da essi sono, invece, autorizzate solo in presenza di «ragionevoli motivi» (v. Sez. 1, n. 1255 del 20/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 276159 – 01; Sez. 1, n. 41705 del 16/09/2015, COGNOME, Rv. 264956 – 01). Tali disposizioni intendono dare pratica attuazione del diritto della persona detenuta al mantenimento di relazioni familiari e sociali; diritto che può essere compresso «solo ove ricorrano specifiche e motivate esigenze di sicurezza pubblica o intramuraria o, per i detenuti in attesa di giudizio, d’ordine processuale» (Sez. 5, n. 8798 del 04/07/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258823 – 01).
2.1. La legge 20 maggio 2016, n. 76, intitolata «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze», stabilisce, all’art. 1, comma 38, che «i conviventi di fatto hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario».
Nel delineare la nozione di «convivente», la circolare del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria 8 luglio 1998, n. 3478, relativa al «riordino e chiarimento del regime dei colloqui e corrispondenza telefonica», ha accolto una interpretazione ampia, ricomprendendovi «tutti coloro che coabitavano col detenuto prima della carcerazione, senza attribuire alcuna rilevanza all’identità del sesso o alla tipologia dei rapporti concretamente intrattenuti con il detenuto medesimo (more uxorio, di amicizia, di collaborazione domestica, di lavoro alla pari, ecc.)». Da essa sono stati, dunque, esclusi le persone conviventi con il familiare e quelle non conviventi con il detenuto.
Al fine di dimostrare la condizione richiesta dalle norme indicate, sin dalla circolare n. 544994 del 23 febbraio 1998, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ha chiarito che, in assenza di documentazione utile, è consentito il ricorso all’autocertificazione ai sensi dell’art. 2, legge n. 15 del 1968 e ha invitato
le direzioni degli istituti a eseguire controlli a campione sull’effettiva esistenza del vincolo di parentela o del rapporto di convivenza, essendo il dichiarante tenuto ad attestare la verità in ordine all’esistenza della indicata relazione. Tanto è vero che la eventuale falsa dichiarazione della qualità personale in parola integra la fattispecie prevista dall’art. 495 cod. pen., rubricato «falsa attestazione o dichiarazione ad un pubblico ufficiale sull’identità o su qualità personali proprie o di altri» (Sez. 5, n. 44111 del 26/09/2019, COGNOME, Rv. 277846 – 01; Sez. 5, n. 10123 del 08/02/2002, Rv. 221492 – 01).
2.2. Sempre in premessa va ricordato che i provvedimenti che riguardano l’accesso ai colloqui vanno riconnpresi nella categoria di quelli sulla libertà personale, avverso cui è sempre ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge, donde l’ammissibilità della presente impugnazione (Sez. 6, n. 3729 del 24/11/2015, dep. 2016, Rv. 265927 – 01; Sez. 2, n. 23760 del 06/05/2015, Rv. 264388 – 01; Sez. 5, n. 8798 del 04/07/2013, dep. 2014, Rv. 258823 – 01).
Tanto osservato, va rilevato che il provvedimento impugnato ha ritenuto che non sia stata, nella specie, dimostrata la qualità soggettiva di NOME COGNOME.
Sul punto, deve rilevarsi che, come anticipato, l’autocertificazione e lo stato di famiglia si rivelano, in astratto, elementi di prova pienamente idonei a dimostrare la condizione soggettiva del richiedente. E, tuttavia, ciò ovviamente non impedisce all’autorità giudiziaria competente e all’Amministrazione penitenziaria (per i provvedimenti autorizzatori di competenza del direttore dell’istituto) di svolgere i necessari controlli, onde accertare la veridicità di quanto attestato.
Nel caso in esame, il Giudice per le indagini preliminari procedente parrebbe avere ritenuto l’autocertificazione prodotta non idonea a provare la condizione abilitante e, tuttavia, il decreto non ha in alcun modo specificato sulla base di quali concreti elementi abbia ritenuto di superare quanto attestato in sede di autocertificazione e di certificato di residenza. La motivazione, infatti, ha compiuto un generico riferimento a non meglio specificati accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria, senza che sia stato dato atto dei relativi riferimenti spazio-temporali e, soprattutto, delle concrete modalità esecutive con cui essi sarebbero stati effettuati, né, nel dettaglio, cosa sia stato riscontrato in occasione delle verifiche. In breve, la motivazione si rivela del tutto carente e, pertanto, le censure difensive devono ritenersi fondate.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto, sicché il provvedimento impugnato deve essere annullato, con rinvio, per nuovo giudizio, al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Castrovillari in diversa persona fisica.
PER QUESTI MOTIVI
Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Castrovillari in diversa persona fisica. Così deciso in data 9 gennaio 2025
Il Presidente
Il Consigliere estensore