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Colloqui 41-bis: no all’accorpamento delle visite

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un detenuto in regime di 41-bis che chiedeva di poter raggruppare i colloqui familiari mensili. La Corte ha confermato la legittimità del provvedimento dell’amministrazione penitenziaria che impone una distanza di circa 30 giorni tra i colloqui 41-bis, motivando la decisione con superiori esigenze di sicurezza pubblica per evitare flussi informativi concentrati con l’esterno.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Colloqui 41-bis: la Cassazione conferma lo stop all’accorpamento

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3844 del 2024, è tornata a pronunciarsi sulla delicata questione della gestione dei colloqui 41-bis, consolidando un orientamento giurisprudenziale rigoroso. La Corte ha stabilito che è pienamente legittima la prassi dell’Amministrazione Penitenziaria di imporre un distanziamento temporale di circa trenta giorni tra i colloqui, negando di fatto la possibilità per il detenuto di ‘accorpare’ le visite a cavallo di due mesi consecutivi. Questa decisione riafferma la prevalenza delle esigenze di sicurezza pubblica sul diritto del detenuto ai rapporti familiari, inquadrato come interesse legittimo.

I Fatti di Causa

Il caso nasce dal ricorso di un detenuto sottoposto al regime carcerario speciale previsto dall’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario. L’uomo si era opposto a una decisione della casa circondariale che, in applicazione di una circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP), gli impediva di effettuare colloqui (visivi o telefonici) in giorni ravvicinati. In pratica, l’amministrazione imponeva che tra un colloquio e il successivo dovesse intercorrere un lasso di tempo di circa trenta giorni, vietando così la prassi di fissare una visita alla fine di un mese e la successiva all’inizio del mese seguente.

Contro questa disposizione, il detenuto aveva proposto reclamo al Tribunale di Sorveglianza, che lo aveva dichiarato inammissibile. Da qui, il ricorso per cassazione.

La Disciplina dei Colloqui 41-bis e il Ricorso

Il ricorrente sosteneva che la normativa gli riconoscesse il diritto soggettivo a un colloquio mensile, e che tale diritto non fosse incompatibile con la possibilità di raggruppare le visite. A sostegno della sua tesi, citava una precedente pronuncia della stessa Corte di Cassazione (la n. 10462 del 2017) che sembrava avallare questa interpretazione.

L’argomentazione centrale del detenuto si basava sull’idea che, una volta garantito il numero di colloqui previsti dalla legge, le modalità di fruizione non potessero essere limitate da disposizioni amministrative che, a suo dire, comprimevano eccessivamente i suoi legami familiari.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, definendolo ‘manifestamente infondato’. I giudici hanno chiarito che la sentenza citata dal ricorrente rappresenta un precedente ‘risalente e isolato’, ormai superato da una giurisprudenza consolidata di segno opposto.

Il principio affermato dalla Corte è che la regolamentazione imposta dall’Amministrazione Penitenziaria costituisce un ‘ragionevole esercizio del potere discrezionale’ ad essa attribuito. La finalità del regime 41-bis è quella di recidere ogni legame tra il detenuto e l’associazione criminale di appartenenza. In quest’ottica, anche i colloqui con i familiari, pur essendo un diritto, rappresentano un potenziale canale di comunicazione con l’esterno.

La Corte ha specificato che distanziare i colloqui di circa trenta giorni risponde a una precisa esigenza di sicurezza: ‘diluire i flussi di informazioni’. Evitare contatti ravvicinati, anche se formalmente rientranti in due mesi diversi, impedisce una comunicazione più intensa e concentrata che potrebbe vanificare gli sforzi di controllo. Di conseguenza, il diritto del detenuto a coltivare i legami familiari viene ‘degradato’ a interesse legittimo, che deve essere bilanciato con l’interesse superiore della sicurezza pubblica.

Le Conclusioni

Con questa ordinanza, la Cassazione ribadisce con fermezza un principio fondamentale nella gestione del regime 41-bis: la sicurezza prevale. La disposizione che impone un intervallo di circa un mese tra i colloqui non è una limitazione irragionevole, ma uno strumento necessario per il raggiungimento degli obiettivi del regime speciale. Per i detenuti e i loro difensori, ciò significa che le possibilità di ottenere una maggiore flessibilità nella gestione dei colloqui sono estremamente ridotte, a meno che non si possa dimostrare un’irragionevolezza manifesta nella decisione dell’amministrazione, cosa che in questo caso non è avvenuta. La decisione si inserisce in un solco giurisprudenziale che interpreta in modo restrittivo le modalità di contatto dei detenuti in 41-bis con l’esterno, confermando l’ampia discrezionalità dell’Amministrazione Penitenziaria in questo ambito.

È possibile per un detenuto in regime 41-bis raggruppare i colloqui mensili in giorni consecutivi?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che è legittima la disposizione dell’Amministrazione Penitenziaria che impone una distanza di circa trenta giorni tra un colloquio e l’altro, escludendo così la possibilità di accorparli.

Perché viene impedito l’accorpamento dei colloqui 41-bis?
L’impedimento è giustificato da esigenze di sicurezza pubblica. Secondo la Corte, distanziare i colloqui serve a ‘diluire i flussi di informazioni’ che, nonostante i controlli, potrebbero passare tra il detenuto e i gruppi criminali esterni, vanificando lo scopo del regime speciale.

Il diritto del detenuto ai colloqui con i familiari è un diritto assoluto?
No. Nel contesto del regime 41-bis, la sentenza chiarisce che il diritto del detenuto a coltivare i legami familiari è ‘degradato’ a interesse legittimo. Ciò significa che tale diritto deve essere bilanciato con l’esigenza prioritaria di tutela della sicurezza pubblica, che in questo caso specifico prevale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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