Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 3102 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 3102 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti nell’interesse di:
COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA,
NOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA, contro l’ordinanza del Tribunale di Napoli del 10.7.2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
Con ordinanza del 10.7.2023, il Tribunale di Napoli ha respinto le istanze di riesame che erano state proposte nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME contro l’ordinanza del GIP partenopeo che aveva applicato a costoro la misura della custodia cautelare in carcere ravvisando, a loro carico, gravi indizi di colpevolezza in ordine ai fatti di estorsione, consumata e tentata, aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen. e ritenendo sussistenti le relative esigenze di natura cautelare;
ricorrono per cassazione sia il COGNOME che il COGNOME, con un unico ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO che deduce:
2.1 violazione di legge processuale e vizio di motivazione con riferimento agli artt. 64 e 197-bis cod. proc. pen.: rileva l’erroneità, in diritto, della decisione del Tribunale che ha giudicato infondata l’eccezione di inutilizzabilità RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese dal COGNOME, indagato e, anzi, colpito da una richiesta di custodia cautelare in carcere per fatti di estorsione aggravata in concorso con soggetti a loro volta concorrenti con gli odierni ricorrenti, senza le garanzie di cui all’art. 64 cod. proc. pen.; segnala, in particolare, che, secondo il Tribunale, non sussisterebbe, tra i due diversi procedimenti, alcuna connessione ai sensi dell’art. 12, cod. proc. pen., o alcun collegamento ai sensi dell’art. 371, comma 2, lett. b), cod. proc. pen.; osserva, al contrario, che l’esistenza di un sicuro collegamento probatorio risulta dalla stessa formulazione RAGIONE_SOCIALE due provvisorie incolpazioni poiché i fatti per i quali si procede nei confronti del COGNOME attengono al ruolo di costui quale addetto alla raccolta dei proventi derivanti dalle slot machines, per conto e nell’interesse del clan RAGIONE_SOCIALE per il quale operano anche il COGNOME ed il COGNOME, a loro volta concorrenti con gli odierni ricorrenti; osserva che il COGNOME, iscritto contestualmente ai presunti responsabili della estorsione al bar Saviour, andava pertanto ammonito e sentito con le garanzie di legge poiché, oltre a riferire sulle vicende relative agli odierni ricorrenti, lo stesso COGNOME poteva assumere la medesima veste di testimone anche nel procedimento a carico del COGNOME e del COGNOME; precisa, dal punto di vista della “prova di resistenza”, che il compendio indiziario, deprivato RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni del COGNOME, non sarebbe idoneo a sorreggere la adozione della misura; Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
2.2 vizio di motivazione in relazione all’art. 274 cod. proc. pen. e difetto assoluto di motivazione sulla praticabilità di una misura gradata: segnala l’evidente difetto di motivazione sulla richiesta di applicazione di una misura gradata avanzata nell’interesse del solo COGNOME e riguardante la possibilità, per l’imputato, di essere ospitato dallo zio in Provincia di Latina in regime di arresti donniciliari ma che il Tribunale ha del tutto ignorato;
la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, del DL 137 del 2020 concludendo per l’inammissibilità del ricorso:
rileva, in primo luogo, la infondatezza dell’eccezione di inutilizzabilità dell dichiarazioni rese dal COGNOME, avendo i giudici del merito cautelare correttamente escluso che tra i reati del presente procedimento e quelli di cui al procedimento in cui il dichiarante appare rivestire la qualifica soggettiva di indagato sussista alcun effettivo e concreto rapporto di connessione o collegamento probatorio; aggiunge che il motivo di ricorso risulta formulato in termini aspecifici in relazione alla cd.: “prova di resistenza” ed osserva, infine, che, in via generale e per tutti gli indagati, appare adeguatamente motivata la ritenuta sussistenza RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari che avevano reso necessaria la adozione della misura di massimo rigore non essendo consentite, in sede di legittimità, una valutazione alternativa a quella chiaramente espressa nel provvedimento impugnato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili perché articolati su censure manifestamente infondate.
Tale è il primo motivo che, invero, replica l’eccezione già sollevata in sede di riesame e su cui il Tribunale di Napoli ha motivato in termini congrui in fatto ed assolutamente corretti in diritto.
1.1 In punto di fatto, i giudici della impugnazione cautelare hanno ripercorso la vicenda come illustrata nella informativa del 17.2.2023: era accaduto che l’imprenditore NOME COGNOME, il giorno 9.2.2023, fosse stato avvicinato da esponenti del clan RAGIONE_SOCIALE (tra cui il COGNOME) con l’intento di estorcergli una somma di denaro in occasione dell’acquisto, da parte della persona offesa, di un immobile (di sua proprietà) che era stato messo all’asta e che intendeva in tal modo “recuperare”.
Il COGNOME, sentito il 16.2.2023, aveva spiegato che gli era stato “consigliato” di rispondere all’asta dei propri immobili perché il prezzo era ormai talmente basso che vi era il “rischio” che altri se li potesse accaparrare; l’operazione, aveva precisato il denunziante, era stata portata a termine ma, a varie riprese, avevano preteso da lui il pagamento di una somma di denaro per “la famiglia”; di conseguenza, ed a séguito di vari abboccamenti, si era pervenuti al 20.2.2023 quando egli avrebbe dovuto versare i primi 5.000 euro per i quali era stata predisposta una consegna “organizzata” dalle forze dell’ordine che, nell’occasione, avevano tratto in arresto gli odierni ricorrenti.
1.2 Tanto premesso, quanto alla eccezione sollevata dalla difesa con riguardo alla posizione del COGNOME – il quale sarebbe stato “mediatore” in un’altra vicenda estorsiva in cui avrebbe concorso insieme al COGNOME ed al COGNOME (pure concorrente con gli odierni ricorrenti nella estorsione di cui si discute in questa sede) – il Tribunale ha fatto presente, in primo luogo, che, nei confronti del COGNOME, la richiesta di applicazione della misura personale era stata respinta dal GIP che aveva giudicato insussistente, quanto al predetto, il requisito della gravità indiziaria.
In ogni caso, i giudici del riesame hanno spiegato che “… l’episodio estorsivo perpetrato nell’odierno procedimento non manifesta alcun collegamento probatorio con i fatti per i quali è stato indagato il COGNOME” in quanto “… prova dell’estorsione subita dal COGNOME non incide sulla prova dell’altro procedimento, al più rappresentando un elemento da valutare ai fini della sua credibilità e dell’attendibilità RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni dallo stesso rese” (cfr., pagg. 6 dell’ordinanza in verifica).
Le conclusioni del Tribunale sono assolutamente corrette in diritto: questa Corte ha più volte ribadito che il rapporto di connessione probatoria di cui all’art. 371, comma 2, lett. b), cod. proc. pen. (unico, invero, invocato dalla difesa) è ravvisabile quando un unico elemento di fatto proietti la sua efficacia probatoria in relazione a una molteplicità di illeciti penali e non quando semplicemente la prova dei reati connessi discenda dalla medesima fonte (cfr., Sez. 2 – , n. 18241 del 26/01/2022, GLYPH COGNOME, GLYPH Rv. 283405 GLYPH 02; Sez. 5, n. 10445 del 14/12/2011, Protoduari, Rv. 252006 – 01).
Si è d’altra parte chiarito che il collegamento probatorio di cui all’art. 371, comma 2, lett. b), cod. proc. pen. – che determina l’incompatibilità con l’ufficio di testimone prevista dall’art. 197, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. e la conseguente necessità di acquisire elementi di riscontro alle dichiarazioni ex art. 192 cod. proc. pen. – ricorre soltanto quando nei diversi procedimenti sussiste l’identità del fatto o di uno degli elementi di prova ovvero quando è ravvisabile la diretta rilevanza di uno degli elementi di prova acquisiti in un procedimento su uno dei reati oggetto dell’altro procedimento (cfr., Sez. 1 – , n. 20972 del 09/06/2020, COGNOME, Rv. 279319 01; Sez. 2, n. 24570 del 14/05/2015, Torcasio Rv. 264397 – 01; cfr., anche, Sez. 5, n. 31170 del 20/05/2009, COGNOME, Rv. 244491 – 01, in cui la Corte ha chiarito che, in tema di incompatibilità a testimoniare, il collegamento probatorio di cui all’art. 371, comma secondo, lett. b) cod. proc. pen., che determina l’incompatibilità con l’ufficio di testimone di cui all’art. 197, comma primo, lett. b cod. proc. pen., deve riferirsi ad elementi oggettivi di modo che l’accertamento di
un reato sia destinato ad influire su quello degli altri; essa, pertanto, non può discendere dal solo stato di imputato di un reato in danno della persona nei confronti della quale si procede, essendo ravvisabile soltanto in costanza di un diretto e concreto rapporto di connessione probatoria tra il processo in trattazione e il procedimento in cui il dichiarante è stato o è sottoposto, ossia allorquando il collegamento probatorio tra i procedimenti sia oggettivamente fondato sull’identità del fatto ovvero sull’identità o sulla diretta rilevanza di uno degli elementi di prova dei reati oggetto dei procedimenti stessi).
Nel caso di specie, nemmeno la difesa ha potuto evidenziare un reale rapporto tra i fatti qui giudicati e quelli oggetto dell’altro procedimento in cui, peraltro, la posizione di correo ascritta al ricorrente (ma, come accennato, smentita ab initio dal GIP richiesto della adozione della misura personale), non può in ogni caso comprometterne la veste di testimone nella vicenda qui esaminata.
2. Il secondo motivo è, a sua volta, manifestamente infondato.
Il Tribunale ha motivato sulla sussistenza RAGIONE_SOCIALE ritenute esigenze cautelari invocando, in primo luogo, la presunzione (benché) “relativa” connessa alla contestazione della aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. e, ad ogni modo, sulla assenza di elementi in grado di far ritenere cessate o affievolite le esigenze aggiungendo che “… anzi, sotto tale ultimo profilo, va osservato che, nel caso in esame, appare sussistente uno specifico, concreto ed attuale pericolo di condotte recidivanti, desumibile dall’assoluta gravità dei fatti in contestazione, dal contesto in cui sono maturati e che ne costituiscono la causale e dalle concrete modalità di svolgimento degli stessi, elementi, questi, tutti indicativi della loro attual adesione ad un sistema criminale di valori ispirato a logiche di sopraffazione e violenza”.
Ha specificamente vagliato la personalità degli indagati ritenendo che essa ‘… non consente di ritenere abbattuto il rischio di violazione RAGIONE_SOCIALE regole di autocontenimento di una misura domiciliare” aggiungendo che ” la eventuale capacità contenitiva degli arresti domiciliari, con controllo aggravato, risulta implicitamente disconosciuta dalla rilevazione della idoneità cautelare esclusiva della cautelare inframuraria” e che “… il braccialetto elettronico è in un grado unicamente di segnalare eventuali evasioni dal luogo degli arresti domiciliari ma non già di impedire la commissione di ulteriori reati, possibilità, quest’ultima per gli indagati, altissima per le considerazioni appena svolte”.
Si tratta di motivazione assolutamente esaustiva e rispetto alla quale le considerazioni sviluppate nel ricorso finiscono con il contrapporre a quello del
Tribunale un diverso apprezzamento ed una diversa valutazione, che non possono formare oggetto di censura in questa sede.
E’ pacifico che l’apprezzamento della pericolosità dell’indagato sottoposto alla misura coercitiva ed in merito alla adeguatezza o meno di una misura rispetto ad altra al fine di garantire il pur ravvisato pericolo di reiterazione nel reato, è u giudizio riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se congruamente e logicamente motivato (cfr., Sez. 3 -, n. 7268 del 24/01/2019, COGNOME NOME, Rv. 275851 – 01; Sez. 6, n. 17314 del 20/04/2011, Soriato, Rv. 250093 – 01).
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000, ciascuno, in favore della RAGIONE_SOCIALE.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 28.11.2023