Collaborazione Tardiva e Inefficace: Quando Cooperare non Basta a Ridurre la Pena
La collaborazione con la giustizia può portare a una significativa riduzione della pena, ma non è un automatismo. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti di tale beneficio, soprattutto quando si tratta di una collaborazione tardiva e non pienamente efficace. Il caso analizzato offre spunti fondamentali per comprendere come i giudici valutino l’atteggiamento collaborativo dell’imputato nel contesto dei reati di droga.
I Fatti del Caso
Il ricorrente era stato condannato in primo grado e in appello per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. La sua difesa aveva impugnato la sentenza della Corte d’Appello davanti alla Cassazione, contestando due aspetti principali del trattamento sanzionatorio: l’entità della riduzione di pena concessa per la circostanza attenuante della collaborazione (prevista dall’art. 73, comma 7, del Testo Unico Stupefacenti) e l’aumento di pena applicato per la continuazione tra i vari episodi di reato.
Secondo il ricorrente, la sua collaborazione avrebbe meritato uno sconto maggiore. Tuttavia, la sua posizione è stata respinta dalla Suprema Corte, che ha dichiarato il ricorso inammissibile.
La Valutazione della Corte sulla Collaborazione Tardiva
La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito, ritenendo la motivazione della Corte d’Appello logica, sufficiente e priva di vizi. La pena inflitta è stata giudicata equa e vicina al minimo edittale, nonostante la gravità dei fatti, caratterizzati da ingenti quantitativi di stupefacenti trattati.
Il punto centrale della decisione riguarda proprio la valutazione dell’atteggiamento collaborativo dell’imputato, che è risultato insufficiente a giustificare una riduzione di pena più consistente.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha spiegato in dettaglio perché la collaborazione offerta non fosse meritevole di un trattamento più favorevole. Diversi elementi hanno pesato sulla decisione:
1.  Gravità del reato: Il dato ponderale (la quantità) e l’elevata purezza della droga detenuta avrebbero permesso di ricavare un numero molto rilevante di dosi, un fattore che indica un’alta pericolosità della condotta.
2.  Ruolo e astuzia: L’imputato non era un semplice esecutore, ma aveva attivamente agevolato un grosso fornitore e aveva agito con particolare astuzia, suddividendo e occultando le sostanze in luoghi diversi e distanti tra loro per renderne più difficile il ritrovamento.
3.  Inefficacia della collaborazione: La collaborazione prestata è stata giudicata inefficace. Non ha infatti permesso di individuare il fornitore principale delle sostanze illecite.
4.  Tardività: La collaborazione è stata considerata tardiva. Questo ritardo ha impedito alle forze dell’ordine di recuperare tutte le sostanze che erano state cedute all’imputato.
La Suprema Corte ha inoltre evidenziato come il ricorso si sia limitato a contestare solo il presunto errore di valutazione sulla tardività della collaborazione, senza confrontarsi con l’intero e ben più complesso apparato argomentativo della sentenza d’appello, che includeva tutti i punti sopra elencati.
Anche l’aumento di pena per la continuazione è stato ritenuto logico, a fronte della detenzione di 600 grammi di hashish, pari a oltre 3600 dosi.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: per ottenere un beneficio significativo, la collaborazione con la giustizia deve essere concreta, tempestiva e decisiva. Una collaborazione tardiva o parziale, che non produce risultati investigativi di rilievo come l’identificazione dei complici o il recupero dei proventi del reato, viene valutata con minor favore dai giudici. La decisione insegna che la valutazione del giudice non si basa solo sul ‘se’ l’imputato collabora, ma anche sul ‘come’, ‘quando’ e con quali ‘risultati’ lo fa, bilanciando questo comportamento con la gravità complessiva dei fatti commessi.
 
Una collaborazione con le autorità garantisce sempre una riduzione della pena?
No, la collaborazione deve essere efficace e tempestiva per garantire un beneficio significativo. In questo caso, la collaborazione tardiva e parziale, che non ha permesso di identificare il fornitore né di recuperare tutta la droga, non è stata ritenuta sufficiente per una maggiore riduzione della pena.
Quali fattori hanno impedito una maggiore riduzione della pena nonostante la collaborazione?
La Corte ha considerato diversi fattori negativi: l’ingente quantitativo e la purezza della droga, l’astuzia dimostrata dall’imputato nel nascondere le sostanze e, soprattutto, il fatto che la collaborazione non sia stata decisiva per lo sviluppo delle indagini.
Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il ricorrente non ha contestato in modo adeguato l’ampio e logico apparato argomentativo della Corte d’Appello, ma si è limitato a criticare un solo aspetto (la valutazione sulla tardività della collaborazione) senza confrontarsi con tutte le altre motivazioni alla base della decisione.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4509 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 4509  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a PERUGIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/05/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
COGNOME NOME, a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza in epigrafe, con cui la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Arezzo del 22 aprile 2021 di condanna per i reati di cui agli artt. 81 cod. pen. e 73, comma 1 e comma 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 30.
Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’entità della diminuzione di pena per la circostanza attenuante ex art. 73, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990 e dell’aumento di pena a titolo di continuazione ai sensi dell’art. 81 cod. pen..
Le censure ineriscono al trattamento punitivo in ordine al quale la Corte di appello, con motivazione sufficiente e non illogica, sorretta da adeguato esame delle deduzioni difensive, ha affermato che la pena inflitta appare equa e prossima al minimo edittale nonostante gli elevati quantitativi di stupefacente trattati.
La Corte territoriale ha ritenuto il fatto non meritevole di una maggiore riduzione di pena per la circostanza attenuante ex art. 73, comma 7, cit. in ragione del dato ponderale e della notevole purezza della droga detenuta, la quale consentiva di ricavare un numero assai rilevante di dosi. L’imputato ha altresì agevolato l’attività di un grosso fornitore di droghe di varia natura ed ha agito con astuzia, avendo egli suddiviso le sostanze ricevute, occultandole in luoghi diversi e distanti tra loro per renderne più sicura la custodia. Inoltre, la collaborazione prestata dall’imputato non aveva consentito di individuare il fornitore e, a causa della sua tardività, non aveva permesso di recuperare tutte le sostanze cedute al COGNOME.
La motivazione, peraltro, appare logica ed immune da censure anche in relazione all’entità dell’aumento di pena per la continuazione coi reati satellite (di solo un anno di reclusione ed euro ottomila di multa a fronte della detenzione di gr. 600 di hashish, pari a 3622 dosi, occultato in diverse località).
Il ricorrente non si confronta con l’ampio ed analitico apparato argomentativo, limitandosi a contestare il solo dato della presunta tardività della collaborazione.
 Alla inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost. n. 186 del 2000).
Dichiara inammissibile il ricorso e  condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, 11 17 gennaio 2024.