Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 9464 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 9464 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nato a CANICATTI’ il 06/09/1976 NOME COGNOME nato il 24/12/1971
COGNOME NOME nato a MARSALA il 30/08/1983
avverso la sentenza del 11/04/2024 della CORTE RAGIONE_SOCIALE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi; udito il difensore, avvocato COGNOME il quale conclude chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza dell’Il aprile 2024 la Corte di assise di appello di Palermo ha confermato quella con cui il Giudice dell’udienza preliminare della stessa città, GLYPH luglio 2023, ha dichiarato NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME colpevoli di reati in materia di immigrazione clandestina, per i primi due anche di natura associativa, e li ha condannati a pene, ridotte di un terzo per la scelta del rito abbreviato, comprese tra tre anni e quattro mesi di reclusione e 148.000 euro di multa e otto anni e otto mesi di reclusione e 360.000 euro di multa.
I menzionati provvedimenti sono stati resi nel procedimento penale avente ad oggetto lo svolgimento, nel 2020, di attività illecita consistita nell’effettuazione di una pluralità di viaggi, dalle coste tunisine a quelle siciliane, di persone di provenienza extracomunitaria che, a bordo di gommoni, sono entrate, o hanno tentato di entrare, nel territorio italiano, pur non avendovi titolo.
I giudici di merito – che si sono giovati degli esiti di una complessa attività investigativa, nel corso della quale sono state eseguite intercettazioni telefoniche ed ambientali e videoriprese e sono stati escussi numerosi soggetti – hanno concordemente stimato che il fenomeno illecito oggetto di osservazione sia senz’altro inquadrabile in una dimensione francamente associativa, connotata dall’indeterminatezza del programma criminale, dall’esistenza ed operatività di una base logistica, dalla costante disponibilità dei mezzi di trasporto, dalla ripartizione degli utili e delle spese, dalla predisposizione di una cassa comune.
Hanno, per altro verso, ritenuto: che NOME COGNOME, proprietario delle imbarcazioni destinate al trasporto dei migranti, ha agito nell’interesse del gruppo, animato da solida affectio societatis, e cooperato agli episodi criminosi verificatisi, rispettivamente, I’l agosto ed il 31 ottobre 2020, oggetto di specifico ed autonomo addebito; che NOME COGNOME è stato promotore ed organizzatore della consorteria, oltre che autore dei reati commessi in attuazione del relativo programma criminoso; che NOME COGNOME, coinvolto in un solo episodio, non è meritevole della circostanza attenuante speciale prevista dall’art. 12, comma 3 -quinquies, d.lgs. 25 luglio 1998.
La Corte di assise di appello ha, ulteriormente, disatteso il motivo di impugnazione, proposto da NOME COGNOME vertente sull’utilizzabilità delle riprese video effettuate all’interno della , recinzione delimitante il capanno sito in INDIRIZZO di Marsala.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’omessa applicazione della circostanza attenuante ex art. 12, comma 3-quinquies, d.lgs. 25 luglio 1998, che prevede che le pene «sono diminuite fino alla metà nei confronti dell’imputato che si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti, per l’individuazione o l cattura di uno o più autori di reati e per la sottrazione di risorse rilevanti al consumazione dei delitti».
Rivendica, al riguardo, di avere, sin dall’interrogatorio di garanzia, offerto un contributo conoscitivo rivelatosi decisivo in vista dell’affermazione della responsabilità dei coimputati e di essere intervenuto, già nel corso di svolgimento dell’attività criminosa, per ricondurre alla ragione lo scafista che minacciava di gettare in mare uno dei migranti trasportati, in tal modo evitando che la vittima perdesse la vita per annegamento e rendendosi autore di un’iniziativa altruistica anziché, come ingenerosamente stimato dalla Corte di assise di appello, finalizzata solo ad evitare il ribaltamento del gommone.
Ejjed COGNOME propone, con il ministero dell’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato ad un unico, articolato motivo, con il quale eccepisce manifesta illogicità della motivazione.
Si duole, in primo luogo, del rigetto dell’eccezione di inutilizzabilità delle videoriprese eseguite con l’ausilio delle telecamere installate nei pressi dell’area adiacente il capanno di INDIRIZZO di Marsala, indicato quale base logistica dell’associazione a delinquere della quale egli sarebbe stato esponente apicale.
Rileva, in proposito, che quello spazio costituisce luogo di privata dimora, in quanto recintato sui lati e chiuso da un cancello di accesso e costituente pertinenza di un locale destinato a stabile dimora di tale NOME COGNOME sicché l’esecuzione delle riprese avrebbe dovuto essere previamente autorizzata dal giudice, in ossequio alla disciplina in materia di intercettazioni.
Dissente, quindi, dalle conclusioni raggiunte dai giudici di merito in ordine alla sussistenza dell’ipotizzata associazione a delinquere ed alla posizione qualificata che egli avrebbe assunto in seno ad essa.
Con riferimento al primo aspetto, sottolinea che il gruppo è rimasto inattivo tra maggio ed agosto 2020, ovvero proprio nel periodo nel quale, per ragioni
metereologiche, si intensifica, di norma, il traffico di migranti irregolari tra l’Africa e la Sicilia.
Per quanto concerne la sua partecipazione, osserva:
che, in occasione del viaggio dell’i agosto 2020, egli non si trovava in Italia, essendosi trattenuto nel paese di origine per tre settimane consecutive, circostanza incompatibile con l’assunto accusatorio, che lo vede sovraintendere, a distanza, al compimento dell’attività delittuosa;
che la conversazione n. 77, captata il 26 febbraio 2020 e da lui intrattenuta con NOME COGNOME dimostra, se correttamente interpretata, che egli si poneva in posizione subordinata rispetto all’interlocutore, cui andrebbe ascritta la paternità dell’iniziativa criminosa, sicché egli potrebbe essere ritenuto, al più, mero partecipe della societas sceleris;
che nella stessa direzione militano le spontanee dichiarazioni da lui rese innanzi al Giudice dell’udienza preliminare in ordine alla preminenza del ruolo assunto da COGNOME ed alla vicarietà del suo apporto, risoltosi nell’incassare il denaro da NOME, peraltro cercando di lucrare sulle somme dovute a titolo di rimborso per il carburante e la riparazione del natante;
che, nella stessa circostanza, egli illustrò la genesi del suo coinvolgimento, marginale e finalizzato, in sostanza, a ricavare modeste risorse economiche, nell’attività illecita gestita da COGNOME, e rese dichiarazioni che hanno trovato riscontro nelle conversazioni registrate e nell’esito delle eseguite operazioni di polizia giudiziaria;
che l’analisi dei reati-fine in contestazione mette in luce l’episodico coinvolgimento di correi di volta in volta diversi o, al più, due distinte fasi di operatività di gruppi dalla differente composizione soggettiva, ciò che avrebbe dovuto indurre i giudici di merito a qualificare le condotte accertate in chiave di concorso continuato nei singoli delitti di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina piuttosto che ad iscriverle in una inesistente dimensione associativa.
Il ricorrente lamenta, sotto altro aspetto, che i giudici di merito non abbiano dichiarato l’assorbimento del fatto ascrittogli al capo 7) nel reato contestatogli al capo 4), similmente a quanto statuito in relazione ai capi 8) e 5), né derubricato le condotte indicate ai capi 7) e 8) nelle meno gravi fattispecie previste all’art. 12, comma 5, d. Igs. 25 luglio 1998, n. 286.
Evidenzia, sul punto, che il contributo che egli avrebbe prestato ai delitti oggetto di addebito si concentra in frangenti successivi rispetto all’ingresso non autorizzato dei migranti nel territorio italiano, essendogli, in particolare, contestato, in un caso, di averli aiutati ad allontanarsi dal centro di accoglienza e, nell’altro, di aver loro procurato temporaneo alloggio.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione vertente su tre motivi, con i quali deduce, costantemente, violazione di legge sostanziale e processuale e vizio di motivazione.
5.1. Con il primo motivo, taccia di manifesta illogicità la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui avalla la riconduzione delle condotte accertate ad un paradigma associativo, anziché a quello del concorso di persone in un reato continuato, e lo inserisce nel novero dei partecipi del gruppo.
A tal fine, pone l’accento: sul contenuto orizzonte temporale dell’attività illecita, limitata ad appena cinque mesi; sull’avere egli cooperato ai soli delitti commessi I’l agosto ed il 31 ottobre 2020; sulla modestia del suo apporto, esauritosi nell’acquisto e nella messa a disposizione del natante da utilizzare per il trasporto; sul tenore delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME secondo cui il finanziatore italiano del sodalizio era marsalese, mentre egli è originario di Canicattì, e da NOME COGNOME il quale ha ricordato di avere intrattenuto contatti con il solo COGNOME
5.2. Con il secondo motivo, COGNOME si duole dell’essere stata affermata la sua responsabilità in ordine ai reati ascrittigli ai capi 4) e 5) a dispetto dei chiarimen da lui resi, il 27 aprile 2023, in sede di spontanee dichiarazioni, precipuamente con riferimento alle ragioni che lo hanno indotto a cooperare con i coimputati.
5.3. Con il terzo motivo, si duole della misura della pena inflittagli, che avrebbe dovuto essere contenuta in considerazione della condizione di pregressa incensuratezza e del positivo contegno processuale da lui serbato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono, nel complesso, infondati e, pertanto, passibili di rigetto.
NOME COGNOME reitera, con l’unico motivo, una censura che, già sottoposta alla Corte di assise di appello, ha trovato, nella sentenza impugnata, ineccepibile risposta.
Dirimente, in tal senso, appare il richiamo al consolidato e condiviso indirizzo ermeneutico secondo cui «In tema di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, al fine del riconoscimento della circostanza attenuante ad effetto speciale della collaborazione, prevista in favore di chi si adoperi per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, non è sufficiente ravvisare un qualsiasi atteggiamento di resipiscenza dell’imputato, la sua confessione di responsabilità o la descrizione di circostanze di secondaria importanza, ma neanche è necessario che egli fornisca da solo il contributo decisivo
all’accertamento dei fatti, essendo necessario che offra una collaborazione reale e utile alle indagini per la ricostruzione dei fatti e per la punizione degli autori dei delitti, da valutare in funzione delle cognizioni che appartengono al singolo imputato» (Sez. 1, n. 2203 del 14/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272058 – 01), sicché «in presenza di una effettiva volontà di collaborazione e di un comportamento in tal senso univoco, l’applicazione dell’attenuante può essere esclusa solo quando il contributo alle indagini, intervenuto in presenza di un quadro probatorio che già aveva consentito di individuare con certezza i responsabili del reato, non è risultato determinante ai fini della decisione» (Sez. 1, n. 6296 del 01/12/2009, dep. 2010, Lin, Rv. 246104 – 01).
La Corte di assise di appello, chiamata a delibare l’effettiva portata delle dichiarazioni rese da COGNOME le ha reputate scarsamente rilevanti e frutto, per di più, di un ambiguo atteggiamento opportunistico.
Ha, da un canto, rilevato che COGNOME «ha rassegnato semplicemente profili organizzativi ed esecutivi relativi alla organizzazione della fallita traversata del capo 5), senza dare indicazioni o contributi tali che, in se stessi, fossero idonei a far eseguire arresti o ad inferire colpi strategici a quello che era ed è chiaramente un contesto delinquenziale organizzato» per aggiungere, subito dopo, che l’imputato «ha riferito, in ogni caso, circostanze di cui agli atti già integralmente disponevano grazie all’incisivo monitoraggio offerto dalle plurime captazioni di conversazioni, senza specifici elementi di rilevante novità» ed ha «opportunisticamente glissato sul coinvolgimento di altri coimputati – come COGNOME COGNOME – con riferimento ai quali risulta veramente poco plausibile che COGNOME ignorasse il ruolo».
Ha, infine, osservato, quanto al dedotto intervento volto a contenere l’aggressività dello scafista con il quale egli condivideva la conduzione del natante durante la traversata, che tale iniziativa, anche se realmente effettuata, sarebbe stata volta a salvaguardare, innanzitutto, la propria incolumità, evitando il ribaltamento del gommone, e non, cone da lui dedotto, a preservare quella dei migranti.
La sentenza impugnata risulta, dunque, sorretta da un percorso argomentativo solido e coerente, cui il ricorrente oppone obiezioni di marcata fragilità, che si esauriscono nella generica evocazione delle dichiarazioni rese nell’interrogatorio di garanzia e nella diversa considerazione del contegno che egli sostiene di avere tenuto nel corso del viaggio che, ha ben chiarito la Corte di assise di appello, non sarebbe – qualora pure si desse credito al suo racconto – in alcun modo idoneo a dimostrare che egli si è adoperato per evitare che l’attività delittuosa fosse portata a conseguenze ulteriori, aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di
elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti, per l’individuazione o la cattura di uno o più autori di reati e per la sottrazione di risorse rilevanti al consumazione dei delitti».
Priva di pregio è, del pari, la doglianza di ordine processuale avanzata da NOME COGNOME
Sul punto, occorre muovere dal principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui «Le videoriprese di comportamenti “non comunicativi”, che rappresentino la mera presenza di cose o persone e i loro movimenti, costituiscono prove atipiche se eseguite, anche d’iniziativa della polizia giudiziaria, in luoghi pubblici, aperti al pubblico o esposti al pubblico ovvero in ambienti privati diversi dal “domicilio”, nei quali debba essere garantita l’intimità e la riservatezza, essendo, in tale ultimo caso, necessario per la loro utilizzabilità, ex art. 189 cod. proc. pen., un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria che le giustifichi rispetto alle esigenze investigative e all’invasività dell’att mentre sono da qualificarsi come prove illecite, di cui è sempre vietata la acquisizione e l’utilizzazione, ove eseguite all’interno di luoghi riconducibili alla nozione di “domicilio”, in quanto lesive dell’art. 14 Cost.» (Sez. 1, n. 49798 del 28/09/2023, COGNOME, Rv. 285500 – 01; nello stesso senso, cfr. Sez. 3, n. 15206 del 21/11/2019, dep. 2020, P., Rv. 279067 – 04).
Nel caso di specie, l’affermazione della responsabilità degli imputati poggia, tra l’altro, sulle videoriprese effettuate nell’area esterna al capanno, sito in INDIRIZZO di Marsala, in forza di provvedimento autorizzativo emesso dal pubblico ministero e, cioè, sul postulato che quel luogo, lungi dall’essere adibito a «privata dimora», era aperto ed esposto al pubblico e che esso, comunque, non costituiva «domicilio», in senso proprio, dei soggetti che lo frequentavano e ne avevano la contingente disponibilità.
A fronte delle obiezioni mosse, al riguardo, da NOME COGNOME, la Corte di assise di appello ha replicato che le immagini hanno interessato un’area che, quantunque recintata, è attigua ad una casupola (il cui interno non è mai stato, peraltro, immortalato) che NOME COGNOME ha occupato, abusivamente ed all’insaputa dei proprietari, per un circoscritto lasso temporale, onde è del tutto fuor di luogo qualificare lo stesso COGNOME – concorrente di COGNOME nell’attività criminosa – quale soggetto che, in quanto legittimamente dimorante in quel sito, potesse vantare una pretesa giuridicamente tutelata ai sensi dell’art. 14 Cost..
Il ricorrente, per contro, sostiene che COGNOME, ad onta di quanto affermato dai giudici di merito, aveva già fissato da tempo la propria dimora abituale in quel capanno sulla scorta delle indicazioni impartite da COGNOME che, legato da rapporti lavorativi con i titolari, ne aveva, di fatto, la libera e piena disponibilità.
COGNOME richiama, in proposito, il contenuto di atti di indagine (quali la comunicazione di notizia di reato del 24 febbraio 2021 ed il decreto di autorizzazione del pubblico ministero del 22 febbraio 2020) che, tuttavia, non valgono a contraddire efficacemente il ragionamento sotteso al rigetto dell’eccezione di inutilizzabilità, imperniato, si è detto, sull’abusività della labl is -Waltransitoria ed occulta presenza di Miladi in quel sito.
Nel contesto in tal modo delineato, irrilevanti appaiono le ulteriori obiezioni del ricorrente, vertenti su profili – quali quelli attinenti al rapporto di pertinenzialità tra la casupola e l’area esterna ad essa adiacente e l’esistenza di una recinzione lungo il perimetro e di un varco di accesso, protetto da un cancello – che non incidono sul nucleo essenziale della decisione, della cui legittimità non può in alcun modo dubitarsi.
Per completezza, va, comunque, ricordato che la Corte di assise di appello ha precisato – senza che, sul punto, il ricorrente abbia in alcun modo replicato – che le immagini sulla cui utilizzabilità si controverte sono «di contenuto probatorio pressoché insignificante, essendo piuttosto demandato alle moltissime captazioni di conversazioni il ruolo di piattaforma probatoria privilegiata in questo processo».
Ne discende che la questione reiterata con il ricorso per cassazione si rivela, in ultimo, priva di decisività atteso che, qualora pure si stimasse l’inutilizzabilità dei menzionati documenti video-fotografici, il residuo compendio indiziario supporterebbe appieno l’impostazione accusatoria, dimostrando, al di là di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità di COGNOME così come di COGNOME in ordine ai reati per i quali i due imputati hanno riportato condanna.
4. Per quanto attiene alle ulteriori dodlianze di COGNOME e COGNOME, occorre, preliminarmente, ricordare, con la giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le altre, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217) – avendo i ricorrenti articolato doglianze anche ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. – che il sindacato demandato alla Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza impugnata non può concernere né la ricostruzione del fatto, né il relativo apprezzamento, ma deve limitarsi al riscontro dell’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di una diretta rivisitazione delle acquisizioni processuali.
Il controllo di legittimità, invero, non è diretto a sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove, né a ripercorrere l’analisi ricostruttiva della vicenda processuale operata nei gradi anteriori, ma soltanto a verificare che gli elementi posti a base della decisione siano stati
valutati seguendo le regole della logica e secondo linee giustificative adeguate, che rendano persuasive, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte (Sez. Un. n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074-01).
Sarebbero, quindi, inammissibili censure che si fondassero su alternative letture del quadro istruttorio, sollecitando il diverso apprezzamento del materiale probatorio acquisito da parte di questa Corte, secondo lo schema tipico di un gravame di merito, il quale esula, tuttavia, dalle funzioni dello scrutinio di legittimità, volto ad enucleare l’eventuale sussistenza di uno dei vizi logici, mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità, tassativamente previsti dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., riguardanti la motivazione della sentenza di merito in ordine alla ricostruzione del fatto (Sez. 6 n. 13442 dell’8/03/2016, COGNOME, Rv. 266924; Sez. 6 n. 43963 del 30/09/2013, COGNOME, Rv. 258153).
Ne discende, è stato ribadito (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747), che «In tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento».
5. Nel caso in esame, il Giudice dell’udienza preliminare e, poscia, la Corte di assise di appello hanno debitamente illustrato – attraverso un iter argomentativo saldamente agganciato alle evidenze disponibili ed alieno da qualsivoglia deficit sul piano logico – gli elementi dimostrativi della riconducibilità dell’allarmante fenomeno illecito portato alla luce dalle investigazioni ad una dimensione schiettamente associativa, attestata, tra l’altro: dal coinvolgimento di un elevato numero di correi, operanti sia in Tunisia che in Sicilia; dall’effettuazione di investimenti di non minimale portata (si pensi all’acquisto di un gommone con motore fuoribordo da 250 hp e di altro natante); dall’organizzazione, nell’arco di quattro mesi, di almeno quattro viaggi tra le sponde del Mediterraneo; dalla disponibilità di preziosi presidi logistici.
I giudici di merito hanno, vieppiù, ricordato come l’espletata attività di indagine ha consentito di documentare, dapprima, gli accordi intercorsi tra i
promotori, interessati a creare una struttura destinata ad operare con continuità, sì da garantire la massimizzazione del profitto (cfr. pagg. 22-27 della sentenza impugnata), e, successivamente, la ripartizione di costi e compiti, non disgiunta dall’adozione di precauzioni volte a prevenire la fruttuosità di investigazioni che i protagonisti della vicenda temevano, a ragione, essere in corso (cfr. pagg. 27-28), per delineare, quindi, i ruoli rispettivamente svolti da COGNOME e COGNOME
I ricorrenti, al riguardo, svolgono obiezioni che, per quanto insistite, non si emancipano da una divergente esegesi del materiale istruttorio e che, si pafsano, pertanto, del tutto inidonee ad eccitare l’esercizio dei poteri censori del giudice di legittimità.
Le doglianze da entrambi articolate – estese, quanto ad Ejjed, all’attribuzione di rango qualificato in seno al sodalizio – si risolvono, in altri termini, nella rilettu da opposta prospettiva, di risultanze investigative connesse ad atti che, peraltro, non vengono allegati né integralmente trascritti (tanto vale con particolare riferimento: quanto a COGNOME, alle dichiarazioni rese da NOME COGNOME in sede di esame e, quanto ad Ejjed, alla conversazione n. 77 del 26 febbraio 2020, ad altre conversazioni, n. 20 e n. 11, riportate nell’ordinanza di custodia cautelare, ovvero, progr. 639, nell’informativa di reato, nonché alle spontanee dichiarazioni rese dall’imputato all’udienza del 27 aprile 2023),
Il ricorso si connota pertanto, per questa parte, per insuperabile aspecificità, dovendosi richiamare l’indirizzo ermeneutico secondo cui «In tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, i motivi che deducano il vizio di manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contengano la loro integrale trascrizione o allegazione» (Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, COGNOME, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, COGNOME, Rv. 265053; Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263601).
6. Non merita miglior sorte la censura, sollevata da COGNOME, concernente l’assorbimento della condotta ascrittagli al capo 7) nel reato contestatogli al capo 4) e la derubricazione dei reati di cui ai capi 7) e 8) nella meno grave fattispecie sanzionata dall’art. 12, comma 5, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286.
La Corte di assise di appello ha, invero, spiegato, da un canto, che lo iato temporale tra la condotta relativa all’ingresso illegale di sedici migranti e quella concretatasi nell’agevolare l’evasione di almeno dieci di loro dal centro di accoglienza preclude di ricondurle ad un unico reato e, dall’altro, che la partecipazione di COGNOME all’uno come all’altro segmento della vicenda osta alla qualificazione del fatto più recente ai sensi del comma 5 dell’art. 12, disposizione che si applica solo qualora il favoreggiamento della permanenza di uno o più
soggetti di provenienza extracomunitaria non integri, come nel caso in esame, reato di maggiore gravità.
Il ricorrente propone, per contro, una ricostruzione dell’accaduto che, muovendo, more solito, dalla propria personale prospettiva, lo vede estraneo sia all’organizzazione del viaggio compiuto agli inizi di agosto del 2020 che alla fuga dei migranti dal centro di Marsala, alcuni dei quali egli si sarebbe limitato ad ospitare presso la sua abitazione; così facendo, COGNOME mostra di privilegiare, ancora una volta, un approccio sterile perché ispirato alla confutazione degli argomenti sottesi alla decisione impugnata, che non attinge la sfera della manifesta illogicità o della contraddittorietà, carenti le quali il sindacato di legittimità non è consentito.
Manifestamente infondati si palesano, infine, i motivi di ricorso che COGNOME dedica, rispettivamente, alla sua responsabilità per i reati ascrittigli ai capi 4) e 5) ed al trattamento sanzionatorio.
In ordine al primo aspetto, debitamente scandagliato dalla Corte di assise di appello alle pagg. 31-34 della sentenza impugnata, l’imputato si riporta alle spontanee dichiarazioni rese il 27 aprile 2023, del cui contenuto, però, la Corte di assise di appello ha tenuto conto, indicandone la chiara attitudine a supportare, anche in relazione ai reati-fine dell’associazione a delinquere in cui egli, al tempo militava, l’ipotesi di accusa e svolgendo perspicui rilievi con i quali il ricorrente, in buona sostanza, rinunzia a confrontarsi.
Non dissimili sono le considerazioni che si impongono con riferimento alla misura della sanzione irrogata, che Fazio reputa eccessiva, se parametrata alla sua pregressa incensuratezza ed al positivo contegno processuale da lui asseritamente serbato, e che, invece, la Corte di assise di appello ha stimato congrua sul postulato: della benevola concessione delle circostanze attenuanti generiche; della determinazione della pena base e degli aumenti per le aggravanti e per la continuazione in misura pari o prossima ai minimi edittali o, in termini assoluti, assai contenuta; dell’obiettiva gravità del fenomeno criminale accertato, tanto più per essere state le condotte finalizzate a conseguire un profitto patrimoniale; dell’assenza, nel comportamento processuale di COGNOME, di segni di autentica resipiscenza.
Ribadito, dunque, che il percorso motivazionale seguito dai giudici di merito in punto di trattamento sanzionatorio è, a dispetto delle obiezioni del ricorrente, senz’altro adeguato, è opportuno ricordare conclusivamente, per completezza argomentativa, che la giurisprudenza di legittimità è, ferma nel ritenere che «In tema di determinazione della pena, quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e
soggettivi enunciati dall’art. 133 cod. pen., quelli ritenuti rilevanti ai fini di giudizio» (Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, COGNOME, Rv. 255825), mentre, specularmente, «nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen.» (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283).
Dal rigetto dei ricorsi discende la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13/12/2024.