Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12177 Anno 2019
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12177 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/02/2019
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il 14/11/1980
avverso l’ordinanza del 18/12/2017 del TRIB. SORVEGLIANZA di PERUGIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Sorveglianza di Perugia rigettava la domanda incidentale di NOME di collaborazione impossibile ex art. 4 bis ord. pen. e, per l’effetto, dichiarava inammissibile l’istanza di detenzione domiciliare.
COGNOME è stato condannato per il delitto di cui all’art. 74 d.P.R. 309 del 1990; secondo il Tribunale, i fatti e le responsabilità di taluni coimputati erano ancora in corso di accertamento, essendo pendenti i relativi procedimenti. Tra essi era significativa la posizione di COGNOME ritenuto l’elemento di vertice del sodalizio criminoso, la cui condanna era stata annullata per vizi del decreto di latitanza: nel dibattimento, COGNOME la cui posizione era strettamente connessa a quella di COGNOME, avrebbe potuto essere escusso ai sensi dell’art. 197 bis cod. proc. pen..
In realtà, lo stesso COGNOME interrogato dalla Procura della Repubblica di Perugia ex art. 197 bis cod. proc. pen., aveva negato di conoscere COGNOME benché le intercettazioni dimostrassero che egli ne era il diretto interlocutore.
In definitiva, non era ancora intervenuto l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità.
Ricorre per cassazione il difensore di NOME COGNOME deducendo violazione di legge e vizio di motivazione.
Secondo il ricorrente, l’affermazione dell’ordinanza secondo cui COGNOME avrebbe potuto essere escusso in un futuro dibattimento a carico di Gropa Ardi era meramente ipotetica, in quanto si basava su una sentenza annullata, da ritenersi tamquam non esset. COGNOME era stato escusso dal P.M. su sollecitazione dello stesso Tribunale di Sorveglianza, in quanto, in precedenza, il P.M. non aveva mai sentito l’esigenza di sentirlo.
In realtà, COGNOME aveva ammesso la propria responsabilità per il delitto ex art. 73 d.P.R. 309 del 1990, negando di aver fatto parte dell’associazione per delinquere, ma indicando i soggetti con cui aveva avuto contatti; era del tutto erronea l’affermazione dell’ordinanza secondo cui l’interlocutore di COGNOME era COGNOME In definitiva, COGNOME non poteva dare alcun contributo.
D’altro canto, la norma sulla collaborazione impossibile deve essere interpretata in senso restrittivo, dovendosi ritenere che, in presenza di dubbio sulla possibilità di collaborazione, la disciplina di favore deve poter trovare applicazione; ancora, il campo di valutazione del giudice deve essere delimitato all’interno dei confini del processo che ha dato origine alla sentenza di condanna definitiva.
3. Il difensore del ricorrente ha depositato memoria con motivi aggiunti.
Con il primo motivo il ricorrente insiste sulla ammissibilità del ricorso, negando che le censure fossero costituite esclusivamente da doglianze in punto di fatto e ribadendo la carenza e incongruità della motivazione del provvedimento impugnato. La collaborazione di COGNOME risultava impossibile, inesigibile e irrilevante, dal momento che fatti e responsabilità erano già stati completamente acclarati ed, inoltre, lo stesso rivestiva una posizione del tutto marginale nell’organizzazione criminale.
Inoltre, il Tribunale di Sorveglianza aveva di fatto realizzato un indebito ampliamento dello spazio collaborativo, rispetto a quanto previsto dalla norma di riferimento. Il campo di valutazione del Giudice resta all’interno dei confini del processo che ha dato origine alla sentenza di condanna definitiva e, quindi, ai soli elementi di fatto rilevanti nella specifica sede processuale.
Il Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME nella requisitoria scritta, conclude per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
L’art. 4 bis,comma 1 bis, ord. pen. contempla due ipotesi alternative per superare il divieto di concessione dei benefici penitenziari: l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità operato con sentenza irrevocabile e la limitata partecipazione al fatto criminoso accertata nella sentenza di condanna.
Questa seconda ipotesi non è nemmeno invocata dal ricorrente che, peraltro, contesta di poter rendere testimonianza nei confronti di COGNOME pur ammettendo di essere stato escusso dal P.M. sui suoi rapporti con tale soggetto.
La prima ipotesi, invece, è pacifica: il ricorrente non contesta che molte posizioni dei soggetti accusati di avere partecipato alla medesima associazione per delinquere, per il quale lo stesso è stato definitivamente condannato, non sono state definite processualmente.
Ciò premesso, il tema di diritto posto dal ricorrente riguarda lo “spazio collaborativo” che la norma in esame pretende dal condannato.
Ebbene: è evidente che l’ “integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità” cui fa riferimento la norma ha per oggetto il delitto o i delitti pe
quali il detenuto ha riportato condanna definitiva; quindi, nel caso in esame, il delitto associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 309 del 1990.
Di fronte ad una ampia motivazione dell’ordinanza sulla possibilità di una collaborazione processuale da parte di COGNOME rispetto alle posizioni dei coimputati non ancora definite, il ricorrente sostiene, di fatto, una interpretazione assolutamente limitativa – e del tutto contraria al testo della legge – della collaborazione che può essergli richiesta, facendo intendere che il limite di tale collaborazione è costituito da quanto egli ha già affermato (egli avrebbe ammesso di conoscere soltanto una persona, tale NOME COGNOME.
In realtà, vertendosi in un contesto associativo di cui COGNOME faceva parte come accertato definitivamente – è evidente che (salvo, appunto, che la sua partecipazione al delitto fosse limitata e ciò fosse stato accertato dalla sentenza vt di condanna) la collaborazione può essere richiesta per tutti ; )– fattt associativi, al fine di provare nei confronti di altri imputati l’esistenza dell’associazione e la sua operatività.
Il fatto che COGNOME abbia negato di far parte della predetta compagine, ovviamente, è irrilevante, tenuto conto che tale negazione è stata sconfessata dalla sentenza di condanna.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 20 febbraio 2019