Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30325 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30325 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOMECOGNOME nato a Ragusa il 2/5/1980
avverso l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Firenze del 6/2/2025
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 6.2.2025, il Tribunale di Sorveglianza di Firenze ha provveduto su una istanza di accertamento di collaborazione impossibile ex art. 58-ter ord. pen. di NOME COGNOME detenuto dal 20.5.2022 in esecuzione di una pena di sei anni e dieci mesi di reclusione per partecipazione ad associazione a delinquere ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Il Tribunale dà atto, innanzitutto, che il detenuto adduce che l’associazione alla quale apparteneva è stata disarticolata e che i coimputati hanno ammesso interamente la loro responsabilità; dà atto, altresì, che la D.D.A. di Catania ha
espresso parere negativo, osservando che COGNOME era il referente per il territorio ragusano degli organizzatori di importazione di stupefacente e che, pur essendoci stato integrale accertamento per i fatti oggetto della condanna, residuano margini di esigibilità di una potenziale collaborazione in ordine allo stato di latitanza di tre affiliati dell’organizzazione.
Ciò premesso, il Tribunale rileva dalla lettura della sentenza di condanna la ragionevole certezza che l’istante sia a conoscenza di fatti e responsabilità collegate alle vicende associative per cui c’è stata condanna, atteso che:
provvedeva a reperire documenti amministrativi falsi, utilizzati dai sodali per svolgere le attività illecite associative e procurati evidentemente da persone di cui conosce l’identità che non ha mai chiarito;
ha acquistato per proprio conto notevoli quantità di stupefacente dall’Albania, che ha inevitabilmente ceduto a terzi con proprio diretto guadagno, senza che abbia fatto identificare le persone cui ebbe a cedere la droga;
è certo che diede il proprio contributo nel gennaio-febbraio 2017 per uno sbarco a Portopalo di un consistente quantitativo di marijuana dall’Albania, che non fu possibile individuare proprio a causa dell’efficace intervento interdittivo di Busacca, che dunque potrebbe ancora fornire informazioni su quella operazione.
L’ordinanza opera, ancora, un riferimento alla ripetuta fornitura di veicoli con cui gli albanesi si spostavano sul territorio siciliano, di cui COGNOME potrebbe chiarire provenienza e titolarità, nonché alle operazioni di bonifica di alcune di esse al cui interno erano stati installati apparecchi di captazione, svolte evidentemente da specialisti, e al ruolo del cognato che noleggiava personalmente le vetture.
Concludendo che, pertanto, il condannato può ancora utilmente collaborare per la migliore conoscenza delle vicende dell’associazione, il Tribunale di Sorveglianza respinge l’istanza.
Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore di NOME COGNOME articolando due motivi.
2.1 Con il primo motivo, deduce erronea applicazione dell’art. 58-ter ord. pen. e mancanza di motivazione.
Il ricorso lamenta che il Tribunale di Sorveglianza abbia violato l’art. 58-ter ord. pen. perché ha ipotizzato la collaborazione del detenuto in riferimento a fatti diversi da quelli in espiazione, laddove invece l’accertamento della impossibilità della collaborazione è circoscritto alle sole circostanze o situazioni di fatto riferibili alle contestazioni per le quali il detenuto è stato condannato, senza poter essere dilatato fino a ricomprendervi i contenuti informativi che consentono la repressione di condotte diverse.
Il Tribunale ha omesso di considerare che la stessa Procura distrettuale nel suo parere ha riconosciuto che non risulteo fatti oggetto della sentenza di condanna per i quali non vi sia stato un integrale accertamento.
Peraltro, il Tribunale ritiene COGNOME responsabile dei reati di spaccio di sostanze stupefacenti, che tuttavia non sono mai stati contestati. L’imputazione era di partecipazione all’associazione e COGNOME non è stato condannato per alcun reato-fine. Il ricorso richiama anche gli interrogatori di due coimputati albanesi, che hanno escluso la partecipazione del ricorrente a episodi di cessione di sostanze stupefacenti.
Secondo il ricorso, inoltre, l’ordinanza non affronta la questione relativa ai collegamenti con la criminalità organizzata che la Procura ha ritenuto sulla scorta dello stato di latitanza di alcuni coimputati. L’ordinanza nulla dice sul punto, mentre la difesa ha allegato due provvedimenti del g.i.p. del Tribunale di Catania indicativi della totale assenza di contatti con la criminalità organizzata, in quanto relativi all’affievolimento o alla revoca di misure cautelari per difetto di esigenze su sollecitazione della stessa Procura.
Infine, il Tribunale non ha valutato la relazione di sintesi che era stata prodotta, dalla quale risulta lo sforzo del detenuto nell’opera di partecipazione e nella ammissione delle proprie responsabilità, tanto che l’equipe ha espresso parere favorevole alla fruizione di benefici premiali.
2.2 Con il secondo motivo, deduce erronea applicazione dell’art. 4-bis ord. pen. in relazione all’art. 3 D.L. n. 162 del 2022
L’art. 3 D.L. n. 162 del 2022 prevede una nuova disciplina applicabile anche ai detenuti che hanno commesso reati ostativi prima della sua entrata in vigore, a condizione che la collaborazione sia impossibile o inesigibile. A questo scopo, si prevede che il giudice di sorveglianza debba verificare l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, non anche che non sussista il pericolo del ripristino di tali collegamenti. Soltanto a quest’ultimo presupposto, dunque, il Tribunale avrebbe dovuto ancorare la propria decisione e non a una ipotetica collaborazione.
Con requisitoria scritta trasmessa il 10.4.2025, il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto il rigetto del ricorso, evidenziando, quanto al primo motivo, che l’esame del provvedimento impugnato rende evidente che sono stati correttamente considerati una serie di profili nei quali l’apporto collaborativo del ricorrente sarebbe a tutt’oggi utile. Ciò appare conforme all’orientamento della Suprema Corte secondo cui la collaborazione utile non deve essere circoscritta ai soli reati compresi nell’art. 4-bis ord. pen., ma deve ritenersi estesa a tutti delitti che siano con questi finalisticamente collegati in quanto riconducibili a una «medesima risoluzione criminosa», atteso che l’unicità del reato continuato
postula un giudizio globale sulla personalità del condannato e sul suo concreto ravvedimento, con riferimento a tutti i fatti oggetto della sentenza definitiva. L’infondatezza del primo motivo, di conseguenza, rende superfluo l’esame del secondo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini e per le ragioni di seguito esposte.
Dagli atti risulta che il ricorrente aveva presentato una istanza di sospensione dell’esecuzione della pena e di affidamento in prova al servizio sociale (oltre che, in via subordinata, di detenzione domiciliare o semilibertà) “previo accertamento della collaborazione impossibile, inesigibile o irrilevante ex art. 4 bis, comma 1-bis, ord. pen. in relazione all’art. 58 ter 0.P.”.
Trattandosi di soggetto condannato per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, il Tribunale di Sorveglianza ha proceduto ad accertare se ricorresse il caso della impossibilità di un’utile collaborazione con la giustizia, che, ai sensi dell’art. 3, comma 2, D.L. n. 162 del 2022, consentirebbe la concessione delle misure alternative ai condannati prima della data di entrata in vigore del decreto stesso secondo la procedura di cui al comma 2 dell’art. 4-bis L. n. 354 del 1975, purché in presenza di altri requisiti.
A questo proposito, deve rilevarsi che, ai fini della concessione dei benefici penitenziari alle persone condannate per taluno dei reati cd. ostativi di cui all’art. 4-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, l’accertamento dell’utile collaborazione con la giustizia previsto dall’art. 58-ter della medesima legge deve essere specificamente riferito ai reati oggetto della condanna in relazione alla quale il beneficio è richiesto e, in tale contesto, non può essere limitato soltanto a quelli ostativi, dovendo invece essere esteso a tutti i reati agli stessi finalisticamente collegati (Sez. 1, n. 9894 del 15/12/2020, dep. 2021, COGNOME Rv. 280677 – 01; Sez. 1, n. 18866 del 25/5/2020, COGNOME, Rv. 279366 – 01).
E’ stato affermato, comunque, che, in tema di benefici penitenziari in favore di condannati per reati ostativi, l’accertamento della impossibilità (o della inesigibilità) della collaborazione con la giustizia è circoscritto alle so circostanze e situazioni di fatto riferibili alle contestazioni mosse al condannato nei processi conclusisi con le sentenze di condanna per cui è in esecuzione la pena, e non può essere dilatato fino a ricomprendervi gli ulteriori contenuti informativi che consentono la repressione o la prevenzione di condotte criminose diverse (Sez. 1, n. 14158 del 19/2/2020, Pg c. COGNOME, Rv. 279120 – 01; Sez. 1, n. 51891 del 29/10/2019, Pg c. COGNOME, Rv. 278480 – 01).
Dalla sentenza della Corte d’Appello di Catania allegata al ricorso a fini di autosufficienza, risulta che COGNOME fosse imputato di partecipazione ad una associazione GLYPH finalizzata GLYPH al GLYPH traffico GLYPH di GLYPH stupefacenti GLYPH e, GLYPH in GLYPH particolare, all’importazione in Italia dall’Albania di ingenti quantità di sostanze stupefacenti di marijuana.
Al ricorrente era contestato di essere uno dei referenti italiani dell’organizzazione, che concordava con gli associati albanesi le importazioni, “contribuendo sia logisticamente nella fase del trasporto in Sicilia sia nella fase dello stoccaggio nonché quali acquirenti di una buona parte del medesimo stupefacente”.
Nel suo provvedimento, il Tribunale di Sorveglianza esclude che sussistano le condizioni per ritenere la collaborazione impossibile di COGNOME, in quanto “è certo” che abbia acquistato notevoli quantitativi di droga dall’Albania e che abbia dato il proprio contributo per impedire l’intervento delle forze dell’ordine in occasione di uno sbarco programmato a Portopalo di un consistente quantitativo di marijuana; inoltre, si ipotizza che COGNOME si sia procurato illegalmente documenti amministrativi utilizzati dai sodali e si aggiunge che, in generale, si possa “altresì ipotizzare fondatamente che altri momenti … potrebbero essere utilmente illustrati dal detenuto” Da tali elementi si fa discendere la conclusione che il ricorrente possa ancora oggi utilmente collaborare.
Dalla lettura della sentenza, tuttavia, risulta che: a) non fosse propriamente “certo” l’acquisto di sostanza stupefacente da parte di COGNOME, giacché la Corte d’Appello afferma più limitatamente che il debito del ricorrente verso gli albanesi “per quanto non esplicitato, atteneva con qualificata probabilità ad una fornitura di droga”; b) l’affermazione secondo cui COGNOME avrebbe con il proprio intervento interdetto l’operazione di polizia relativa allo sbarco di Portopalo non trova pieno riscontro nella sentenza, nel senso che egli avrebbe fornito in quelle occasioni alcune autovetture agli albanesi con la presumibile finalità di aggirare le operazioni di intercettazione, ma a rigore senza porre in essere condotte di reato ulteriori rispetto a quello comprese nel suo ruolo associativo di referente con il compito di contribuire all’importazione di stupefacenti (la sentenza conclude che COGNOME abbia fornito all’associazione un apporto “prevalentemente logistico”; c) i giudici della cognizione nulla dicono circa il presunto caratter illecito della documentazione amministrativa fornita da COGNOME ai sodali, risultando più semplicemente che la stessa riguardasse le vetture da lui fornite ma senza che vi siano nella sentenza elementi per affermare che fosse falsa o di provenienza illecita.
Se si tiene conto anche dell’affermazione di chiusura dell’ordinanza secondo cui si possono ipotizzare altri, ma non meglio individuati, momenti
dell’attività associativa non ancora emersi, si deve ritenere che non sia stata fatta corretta applicazione dell’art. 4-bis, comma 1-bis, Ord. Pen. (nella formulazione applicabile ratione temporis al caso di specie), il quale stabilisce che l’impossibilità della collaborazione debba essere valutata con riferimento “all’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità operato con sentenza irrevocabile”.
Questo vuol dire che il requisito della collaborazione impossibile o inesigibile non può ricomprendere il complessivo e solo ipotizzato patrimonio di conoscenze del condannato su sodali, fiancheggiatori non ancora individuati, reati non ancora emersi ma presumibilmente rientranti nel programma associativo.
Ipotizzare altri perimetri di collaborazione e attribuire rilievo, oltre che comportamenti di collaborazione che ineriscono al delitto per cui è in esecuzione la pena, anche ai contenuti informativi che consentono la repressione di condotte criminose diverse da esso, richiederebbe quantomeno che si individuino fatti specifici aventi un’autonoma veste giuridica, di cui si dimostri la sicura connessione con quelli giudicati.
In sostanza, la legittima ipotesi che l’associato conosca fatti, circostanze, rapporti personali e collegamenti criminali ulteriori deve tradursi nel collegamento con specifiche e concrete ragioni per le quali si ritenga che il fatto oggetto della sentenza di condanna irrevocabile non sia stato accertato nella sua interezza o che non siano state accertate completamente le responsabilità individuali anche di altri soggetti.
L’ordinanza, invece, ipotizza scenari che potrebbero dare luogo ad altri procedimenti penali ovvero evoca situazioni nelle quali non è ben chiaro se siano ravvisabili ulteriori fatti di reato anziché condotte più semplicemente riconducibili alla partecipazione associativa per cui è già intervenuta condanna.
Peraltro, giacché l’accertamento della collaborazione impossibile era funzionale alla decisione della richiesta di misura alternativa, l’esito negativo della valutazione sulla sussistenza del requisito avrebbe comportato che il vaglio dell’istanza di concessione del beneficio continuasse ai sensi della diversa, e per certi versi più rigorosa, disciplina come modificata dall’art. 1, comma 1, lett. a), D.L. n. 162 del 2022, che tuttavia può essere applicata anche in assenza di collaborazione.
Ne consegue, pertanto, che l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio al Tribunale di Sorveglianza di Firenze per un nuovo esame alla luce dei principi sopra menzionati.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di
Sorveglianza di Firenze.
Così deciso il 9.5.2025