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Collaborazione impossibile: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un detenuto condannato per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. L’uomo chiedeva il riconoscimento della collaborazione impossibile ai sensi dell’art. 58-ter ord. pen., sostenendo di non avere informazioni utili da fornire. La Corte ha stabilito che, nei reati associativi, la collaborazione è utile finché non si ricostruisce l’intero organigramma criminale e che la semplice affermazione di non sapere non basta a dimostrarne l’impossibilità.

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Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Collaborazione impossibile: quando è davvero esclusa per i reati associativi?

La recente sentenza della Corte di Cassazione, numero 33318 del 2024, offre un importante chiarimento sui criteri per valutare la collaborazione impossibile per i detenuti condannati per reati associativi, come il traffico di droga. La Corte ha stabilito principi rigorosi, sottolineando che la semplice affermazione di non avere nulla di utile da dichiarare non è sufficiente a superare l’ostacolo normativo per l’accesso ai benefici penitenziari.

I Fatti del Caso

Un uomo, condannato per aver partecipato a un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74 TU Stupefacenti), si è visto respingere dal Tribunale di Sorveglianza la richiesta di accertamento della collaborazione impossibile o inesigibile, prevista dall’art. 58-ter della legge sull’ordinamento penitenziario.
Il condannato, attraverso il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che:
1. Il suo ruolo nell’organizzazione era marginale.
2. I fatti risalivano a molti anni prima.
3. Era stato detenuto per quasi tutto il periodo dell’attività criminale contestata.
4. I vertici dell’organizzazione erano già stati arrestati e l’associazione smantellata, rendendo ogni sua eventuale dichiarazione inutile.
In sostanza, a suo dire, non vi erano più informazioni utili che potesse fornire all’autorità giudiziaria.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo e confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Gli Ermellini hanno ritenuto che il ricorso fosse generico e mirasse a una rivalutazione dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità. La motivazione del Tribunale di Sorveglianza è stata giudicata logica e priva di vizi.

Le Motivazioni della Sentenza: l’onere della prova nella collaborazione impossibile

La Corte ha ribadito alcuni principi fondamentali in materia di collaborazione impossibile nei reati associativi. La decisione si fonda sull’idea che, in questo tipo di reati, la collaborazione è considerata ‘utile’ non solo quando porta all’arresto dei capi, ma quando contribuisce alla completa ricostruzione dell’organigramma criminale e all’identificazione di tutti i suoi membri, anche quelli con ruoli secondari come corrieri o fornitori.

L’Utilità della Collaborazione nei Reati Associativi

Il punto centrale della motivazione è che, finché non viene fatta piena luce su tutta la struttura criminale, non si può parlare di collaborazione inutile o impossibile. L’onere di dimostrare l’impossibilità ricade sul condannato, il quale non può limitarsi a sostenere di non avere nulla da dire. La Cassazione chiarisce che spetta all’autorità giudiziaria valutare, anche in base a nuove dichiarazioni, se esistano ancora ‘spazi di azione investigativa’. Solo dopo una verifica concreta si può stabilire se la collaborazione sia effettivamente impossibile.

L’Irrilevanza dello Stato di Detenzione e del Tempo Trascorso

La Corte ha smontato anche gli altri argomenti del ricorrente. Il fatto che fosse detenuto durante parte del periodo contestato non esclude la sua capacità di fornire informazioni, dato che è stato condannato proprio per la sua partecipazione all’associazione anche in quel frangente. Allo stesso modo, il tempo trascorso dai fatti non rende automaticamente irrilevante un contributo conoscitivo. Spetta al condannato offrire elementi concreti per dimostrare perché, nonostante il suo coinvolgimento, non sia a conoscenza di dettagli utili per le indagini.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

La sentenza 33318/2024 consolida un orientamento rigoroso: per i condannati per reati associativi, la strada per ottenere il riconoscimento della collaborazione impossibile è in salita. Non è sufficiente che i vertici dell’organizzazione siano stati assicurati alla giustizia. È necessario che l’intera rete di contatti, fornitori e collaboratori sia stata mappata. In assenza di una tale completa ricostruzione, si presume che ogni membro dell’associazione, anche chi ha avuto un ruolo minore, possa ancora fornire un contributo utile alle indagini. Questa decisione rafforza l’idea che la collaborazione con la giustizia debba essere un percorso attivo e concreto, e non un mero espediente per aggirare le preclusioni legali.

Quando un detenuto per reati associativi può ottenere il riconoscimento della collaborazione impossibile?
Può ottenerlo solo quando viene dimostrato che ogni possibile contributo dichiarativo sarebbe inutile per le indagini. Nei reati associativi, ciò avviene tipicamente quando l’intera struttura criminale, inclusi tutti i partecipanti (fornitori, corrieri, ecc.), è stata completamente identificata e i fatti delittuosi accertati.

Affermare di non avere informazioni utili è sufficiente per dimostrare la collaborazione impossibile?
No. Secondo la Corte, la semplice affermazione del detenuto di non avere nulla di utile da riferire non è sufficiente. È necessario un accertamento completo che verifichi l’assenza di ulteriori ‘spazi di azione investigativa’. L’onere di fornire elementi a sostegno dell’impossibilità grava sul condannato.

Il fatto che i capi dell’organizzazione siano già stati arrestati rende la collaborazione di un altro partecipe inutile?
No. La sentenza chiarisce che l’arresto dei vertici e lo smantellamento del gruppo non rendono automaticamente inutile la collaborazione di altri membri. Finché non vengono identificati tutti i concorrenti nel reato, anche con ruoli minori, la collaborazione di un partecipe è considerata potenzialmente utile e quindi esigibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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