Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33318 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33318 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Monrovia (Liberia) il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 23/01/2024 del Tribunale di sorveglianza di Bologna udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; si dà atto delle conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, AVV_NOTAIO, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di sorveglianza di Bologna, in data 23 gennaio 2024, ha rigettato la richiesta di accertamento della collaborazione impossibile o inesigibile ai sensi dell’alt 58-ter ord. pen., proposta nell’interesse di NOME, detenuto in esecuzione della pena di cui al provvedimento di cumulo, emesso dalla Procura della Repubblica di Modena, in data 23 agosto 2023, relativo, tra agli altri, anche al reato di cui all’art. 74 commi 1, 2, 3 d. P n. 309 del 1990.
2.Propone tempestivo ricorso per cassazione il condannato, per il tramite del difensore, affidando le proprie doglianze ad un unico motivo, con il quale deduce nullità per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, nonché erronea applicazione di legge in relazione all’art 58-ter ord. pen.
2.1. Si deduce che il parere, reso dalla RAGIONE_SOCIALE distrettuale antimafia di Palermo, è inconsistente in quanto si è limitato a indicare la presenza di una sentenza di assoluzione per il reato di cui all’art. 76, comma 4, d. Igs. n. 159 del 2011 e di una sentenza di condanna oggetto del provvedimento di esecuzione in capo al detenuto, senza nulla esprimere in ordine alla collaborazione impossibile e inesigibile.
Peraltro, si rimarca la presenza in atti di una nota della DDA di Palermo precedente, espressa con riferimento a una richiesta di permesso di necessità in cui veniva rappresentata l’assenza di motivi ostativi alla concessione del detto permesso.
2.2. In ogni caso, si ritiene erronea la valutazione effettuata dal Tribunale di sorveglianza con riguardo alle risultanze che emergono dalla sentenza del Tribunale di Palermo, confermata Corte di Appello territoriale.
Il Tribunale di sorveglianza, nella motivazione, si è soffermato sulla ricostruzione della funzione, ricoperta dal ricorrente, all’intern dell’organizzazione finalizzata al traffico di stupefacenti (cfr. p. 4), esponendo che depongono, nel senso di una significativa partecipazione, plurimi e variegati contatti emersi dalle intercettazioni con soggetti che, a vario titolo, erano risultati coinvolti nell’attività nella veste di corrieri, fornitori o collaborat concorrente.
Si rileva però che, con riferimento ai reati ostativi per i quali è in cors l’espiazione della pena, si tratta del reato di cui all’art 74 comma 2, TU Stup., posto in continuazione con alcune violazioni dell’art. 73, comma 1 e 1-bis TU Stup.
Si rileva che il ruolo del ricorrente all’interno del sodalizio è stato marginal e che, anzi, questi è stato giudicato in sede di cognizione senza tenere conto di pronunce sia della Corte costituzionale sia della Corte di legittimità secondo le quali la condotta di partecipazione all’associazione finalizzata al traffico d sostanze stupefacenti non è integrata in caso di mera disponibilità, nei confronti di un singolo associato, anche se di livello apicale, né dalla condivisione, ideale o di intenti, essendo, invece, indispensabile la volontaria realizzazione di concrete attività funzionali, apprezzabili come effettivo, operativo contributo all’esistenza e rafforzamento del sodalizio.
L’ordinanza sottolinea la mancata concessione dell’ipotesi attenuata di cui al comma 6 del citato art. 74 TU Stup., mancato riconoscimento che, per il ricorrente, non dimostra alcunché ai fini che interessano né può avere effetto preclusivo, atteso che tale contingenza permette di attestare che il condannato ha rivestito un ruolo di partecipe, posizione rispetto alla quale andavano effettuate le valutazioni sull’eventuale possibilità di collaborazione come già ampiamente espresso.
Anche il riferimento che svolge la sentenza di primo grado richiamata dal Tribunale di sorveglianza è insufficiente a suffragare la tesi recepita nell’ordinanza impugnata.
Infatti, come ribadito dalla Corte di appello nella sentenza secondo grado, l’impianto probatorio a carico dell’imputato porta solo a ritenere che l’apporto fornito dal suddetto alla vita e al rafforzamento dell’associazione, è sufficiente ad integrare la fattispecie delittuosa contestata.
L’ulteriore passaggio effettuato dal Tribunale, cioè il riferimento alla presenza di fatti e responsabilità non chiariti nella vicenda, sui quali condannato avrebbe potuto fornire un utile apporto collaborativo, è dato non supportato da alcun elemento concreto.
Anzi, stando alla lettura della sentenza, pur essendo evidente il coinvolgimento del ricorrente nell’associazione non vi sarebbero elementi tali da ritenere, in maniera certa, che lo stesso avesse contezza dei nominativi degli ulteriori soggetti coinvolti nel sodalizio, comunque rimasti ignoti. Si rileva ch emerge dalla sentenza di secondo grado che, sebbene le conversazioni più di rilievo siano intercorse con il vertice dell’associazione, la struttura faceva capo a tale soggetto e si componeva anche di altri associati, ciascuno con proprio ruolo. Si tratta di una struttura organizzativa che, per quanto realizzata in forma elementare, era comunque ben nota al condannato il quale, appunto per le sue periodiche forniture, ha reso essenziale contributo al mantenimento dell’organizzazione.
Infatti, che il ricorrente avesse conoscenza della struttura associativa e interloquisse saltuariamente con altri partecipi nonché tenesse rapporti
principalmente con il leader del gruppo, cioè l’organizzatore di tutta l’associazione, non è circostanza di fatto dalla quale, secondo il ricorrente, è possibile trarre la conoscenza da parte del condannato di nominativi e informazioni utili da fornire all’Autorità giudiziaria.
Le sole persone diverse dal vertice dell’associazione con cui il ricorrente ha avuto rapporti sono, infatti, secondo la stessa sentenza, solo due soggetti che sono stati individuati e processati.
Si evidenzia un altro aspetto significativo cioè che il reato risulta commesso dal gennaio 2006 alla metà del 2008, periodo durante il quale il ricorrente era detenuto (dal gennaio 2006 sino all’inizio del 2008) stato detentivo durato, cioè, per tutto il periodo di attività contestatogli.
Tale elemento non può che porre seri dubbi sull’eventualità che il ricorrente conoscesse o fosse in possesso di informazioni utili rispetto ad un’associazione che si è sviluppata nel periodo in cui questi si trovava ristretto in carcere. Sicché sono generiche le indicazioni fornite dal Tribunale circa la conoscenza di informazioni utili allo sviluppo investigativo da parte del ricorrente.
Non vi è dubbio che il ricorrente abbia avuto contatti con altro associato, come indicato dal Tribunale, come emerge dalle sentenze di merito. Però il ricorrente sottolinea che si tratta di soggetto che, in una sola occasione, aveva avuto interlocuzione con il ricorrente al fine di procurare sostanza stupefacente che lo stesso avrebbe dovuto rivendere.
Del resto, non sono emersi elementi dai quali trarre la conoscenza da parte del ricorrente del soggetto che, anzi, gli si presentava con un nomignolo, proprio per celare la sua identità. Sicché, a parere del ricorrente, è ben probabile che questo fornitore avesse nascosto le proprie generalità avendo interesse a rimanere nell’anonimato.
Il mancato accertamento dell’effettivo quantitativo di sostanza oggetto di cessione è argomentazione ipotetica e insufficiente perché non appare chiaro quale potessero essere gli apporti conoscitivi da rendere da parte del ricorrente trattandosi di detenuto.
Si sostiene, in definitiva, che il ricorrente non ha avuto alcun contatto con nessuno dei soggetti con lui imputati, nel procedimento penale, che si tratta di condotte risalenti a quasi vent’anni fa. Inoltre, sono rimasti ignoti alcuni soggetti partecipi ma l’arresto e la condanna delle figure apicali di comando dell’organizzazione ha comportato il totale smantellamento della stessa e il completo accertamento dei fatti delittuosi e delle responsabilità dei concorrenti nel reato.
Si tratta di dato trascurato nel provvedimento del Tribunale che nemmeno tiene conto del lungo periodo di detenzione nonché del fatto che il ricorrente ha
fruito della liberazione anticipata e di taluni permessi svolti in maniera rispettos delle prescrizioni imposte.
3.Si dà atto che il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, con requisitoria scritta, pervenuta a mezzo p. e. c. del 30 aprile 2024, ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato e deve essere rigettato.
1.1. In primo luogo, si riscontra che il ricorso denuncia, in modo aspecifico, tutti e tre i vizi di cui all’art. 606 comma 1, lett. e) cod. proc. pen. Sicch censura, fin dall’impostazione dell’argomento di critica, è priva delle dovute specificazioni, avendo ad oggetto, in modo promiscuo, tutte le carenze di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. (cfr. Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020 COGNOME, non massimata sul punto, che ha puntualizzato che il ricorrente che intenda denunciare, contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., h l’onere – sanzionato a pena di aspecificità e, quindi, di inammissibilità del ricorso – di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali sia manifestamente illogica).
1.2.In secondo luogo, il Collegio rileva che le doglianze devolute sono, in parte, versate in fatto e, in parte, tendenti ad ottenere, nella presente sede, la rilettura delle sentenze, rese nel giudizio di cognizione, in relazione al reato d cui all’art. 74 TU Stup., alle quali si fanno continui riferimenti senza, però, ch sia denunciato, specificamente, vizio di travisamento della prova, ma, anzi, sollecitandone una (ri) lettura alternativa, inibita a questa Corte.
Tanto, a fronte di motivazione del Tribunale di sorveglianza immune da illogicità manifesta e da vizi di ogni tipo (v p. 3 e 4).
1.3. In ogni caso, il Collegio rileva che la dedotta violazione di legge è infondata.
Il parere della DDA che, secondo la difesa, ha contenuto anodino, non è elemento che inficia la conclusione cui è giunto il Tribunale, tenuto conto che detto parere, nella procedura volta all’accertamento richiesto, è obbligatorio ma non vincolante per il Tribunale di sorveglianza.
Invero, l’art. 58-ter, comma 2, Ord. pen., nel prevedere che le condotte V indicate nel comma 1 sono accertate dal Tribunale di sorveglianza, assunte le necessarie informazioni e sentito il pubblico ministero presso il giudice competente per i reati in ordine ai quali è stata prestata la collaborazione,
rimette al Tribunale di accertare sulla base degli atti acquisiti la sussistenza del requisito dell’impossibilità di qualsiasi attività collaborativa (al contempo però nulla disponendo sull’accertamento dell’ulteriore presupposto della rottura dei collegamenti con la criminalità organizzata, che, a sua volta, è condizione necessaria sia pure non sufficiente, per valutare il venir meno della pericolosità sociale: la collaborazione si risolve in un criterio legale di valutazione di u comportamento che «deve necessariamente concorrere» al fine di accertare la rottura dei collegamenti con la criminalità organizzata e la sussistenza di sicuro ravvedimento e cioè la meritevolezza del beneficio da verificarsi all’atto della richiesta di ammissione alla misura alternativa, Corte cost. ord. n. 108 del 2004; Sez. 1, n. 29792 del 8/6/2010, COGNOME, non massimata):},
Appare, poi, immune da illogicità manifesta la conclusione cui giunge l’ordinanza impugnata, in relazione alla circostanza che, all’epoca dei fatti e dell’accertamento della responsabilità dell’imputato – pur risalendo i fatti agli anni 2006-2008 – alcuni dei compartecipi con i quali è emerso che il ricorrente si interfacciava, comunque, non erano stati identificati e sono rimasti tali.
Del resto, l’accertamento dell’esigibilità della collaborazione deve riguardare soltanto i titoli di reato in espiazione (Sez. 1, n. 14158 del 19/02/2020, Minardi, Rv. 279120: in tema di concessione di benefici penitenziari a condannati per delitti ostativi di prima fascia, ai sensi dell’art. 4-bis, comma 1, ord. pen., l’accertamento dell’impossibilità (o dell’inesigibilità) di un’utile collaborazione co la giustizia è circoscritto – stante il tenore letterale del comma 1-bis di detto articolo – alle sole circostanze e situazioni di fatto riferibili alle contestaz mosse al condannato nei processi conclusisi con le sentenze di condanna per cui è in esecuzione la pena, senza poter essere dilatato fino a ricomprendervi gli ulteriori contenuti informativi che consentono la repressione o la prevenzione di condotte criminose diverse, inerendo tale requisito alla diversa figura della collaborazione effettiva con la giustizia, di cui all’art. 58-ter, comma 1, Ord. pen., che sola consente il superamento delle soglie minime di espiazione di pena necessario per l’accesso ai diversi benefici penitenziari; conforme Sez. 1, n. 51891 del 29/10/2019, Filippone, Rv. 278480).
Circoscritto così il thema decidendum, richiamate le ormai consolidate coordinate ermeneutiche elaborate dalla giurisprudenza di legittimità in materia di accertamento della collaborazione impossibile (sub specie della collaborazione inutile, irrilevante o inesigibile), nel caso di specie non revocate in dubbio dal ricorrente, viene qui in rilievo un profilo specifico, attinente al significato deve attribuirsi alla nozione di collaborazione utile. Va osservato che la motivazione dell’ordinanza impugnata individua, in modo ineccepibile, con riferimento alle due sentenze di merito che prende in esame, il dato che esse
hanno accertato fatti in relazione ai quali gli altri concorrenti nel reato non sono stati identificati.
L’identificazione dei concorrenti è, infatti, una tipologia di contributo che certamente esigibile, in astratto, dal condannato per reato associativo.
Il ricorso deduce che, però, nel caso concreto, non sopravviverebbe uno spazio per un’utile e possibile collaborazione, perché gli unici due associati che il ricorrente conosceva sono stati individuati e processati, mentre lo stesso ricorrente non era a conoscenza di dati utili per giungere all’identificazione di uno dei fornitori, con il quale è emerso che, comunque, si interfacciava perché usava anche con lui un nomignolo.
L’argomento è infondato, perché si tratta di reato associativo: sicché, prima di poter affermare che sia divenuto impossibile o irrilevante individuare altri partecipi, occorre un accertamento completo dell’organigramma associativo, pur non agevole da raggiungere, in particolare per una associazione di cui all’art. 74 TU Stup., come quella nel caso di specie, che agiva attraverso plurimi fornitori, nonché corrieri, molti dei quali venivano coordinati dallo stesso ricorrente.
Il ricorso deduce che sull’organigramma criminale dell’associazione a delinquere, il ricorrente nulla avrebbe potuto riferire, perché detenuto durante la condotta contestata, quasi ininterrottamente e perché il gruppo criminale era stato oggetto di arresti dei vertici e molti dei partecipi.
Si tratta, a parere del Collegio, di argomento non spendibile per contrastare il contenuto dell’ordinanza impugnata perché non rende inutile il contributo dichiarativo di un esponente del medesimo gruppo criminale che, pur detenuto per parte della condotta, è stato condannato per la sua partecipazione al sodalizio anche in quel periodo, in ogni caso restando in capo all’Autorità giudiziaria la valutazione di utilità delle dichiarazioni nella ricostruzione de struttura associativa, onde accertare se vi siano, o meno, attuali spazi di azione investigativa. E solo dopo tale verifica, si può ulteriormente valutare l’impossibilità o meno della collaborazione.
3.Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
ceRi GLYPH Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese Rrocessuali. .
o Così deciso, in data 8 maggio 2024 : GLYPH Il Consigliere estensore