Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 18378 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 18378 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CROTONE il 09/05/1990
avverso l’ordinanza del 12/11/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di L’AQUILA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 12 novembre 2023 il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila ha rigettato l’istanza, presentata nell’interesse di NOME COGNOME volta all’accertamento dell’impossibilità o inesigibilità della collaborazione, ai sensi dell’art. 58-ter legge 26 luglio 1975, n. 354, collegata a contestuale richiesta di permesso premio.
Ha ritenuto, preliminarmente, l’ammissibilità dell’istanza per avere COGNOME – condannato all’ergastolo per i reati, compresi nel novero di quelli cc.dd. «ostativi» ai sensi dell’art. 4-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, associazione mafiosa e strage aggravata dalla finalità di agevolazione del sodalizio mafioso di appartenenza – già espiato più di dieci anni di reclusione.
Ha, subito dopo considerato, che COGNOME, il quale non ha mai offerto alcuna collaborazione all’accertamento degli illeciti in cui è risultato coinvolto, è stato inserito nell’omonimo dan in modo stabile e con ruolo non marginale, ciò che gli ha consentito di conoscere tutte le dinamiche inerenti il funzionamento dell’associazione criminale.
Ha, quindi, stimato che, se, da un canto, il tragico episodio del 25 giugno 2009, che è valso a Tornicchio la condanna per strage – costituito dall’irruzione in un campo di calcetto in Crotone, con esplosione di numerosi colpi di arma da fuoco, che hanno cagionato la morte di NOME COGNOME, vittima designata, e di un bambino dell’età di appena dieci anni, casualmente presente in quel luogo, oltre che il ferimento di altre otto persone – è stato, in effetti, compiutamente ricostruito, non altrettanto può dirsi con riferimento alle circostanze di fatto connesse alla militanza associativa, ivi comprese le attività estorsive della cosca e la gestione dei rapporti interni al sodalizio, al quale erano affiliati anche personaggi provenienti da Strongoli.
Ha, pertanto, ritenuto la sussistenza di significativi ambiti nei quali RAGIONE_SOCIALE avrebbe sicuramente potuto fornire, ove lo avesse voluto, informazioni utili in prospettiva investigativa e processuale e, quindi, l’insussistenza dei presupposti della collaborazione impossibile o inesigibile.
Ha, da ultimo, rilevato che l’accertamento dell’assenza di attuali collegamenti con la criminalità organizzata, che costituisce concorrente ed autonoma condizione per l’accesso ai benefici penitenziari da parte degli autori dei delitti indicati all’art. 4-bis, comma 1, legge 26 luglio 1975, n. 354, spetti, nel caso di specie, al Magistrato di sorveglianza, competente a decidere sull’istanza principale del condannato, volta alla concessione di un permesso premio.
NOME COGNOME propone, con il ministero degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale deduce vizio di motivazione per avere il Tribunale di sorveglianza disatteso la richiesta da lui presentata sulla scorta di argomentazioni apodittiche ed autoreferenziali e, per di più, senza tener conto della carenza di prova in ordine a suoi eventuali collegamenti con la criminalità organizzata e trascurando di assegnare la dovuta rilevanza alla revoca della misura di prevenzione già applicata ai fratelli NOME e NOME, imposta proprio dal difetto del necessario crisma di attualità della pericolosità sociale.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché vedente su censure manifestamente infondate.
NOME COGNOME è stato condannato, con sentenze divenute irrevocabili, rispettivamente il 16 maggio 2014 ed il 13 maggio 2015, per aver commesso i reati di associazione mafiosa e strage aggravata.
2.1. L’art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, prevede che l’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione, esclusa la liberazione anticipata, possano essere concessi ai detenuti e internati per tali delitti solo nei casi in cui costoro collaborino con la giustizia norma del successivo art. 58-ter.
Il comma 1-bis dell’ad. 4-bis come modificato dall’ad. 1, comma 1, lett. a), d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 – dispone, tuttavia, che i predetti benefici possono essere concessi, anche in assenza di collaborazione, a condizione che i condannati «dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento e alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle
ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile».
2.2. Dette regole trovano eccezione per coloro che, come NOME COGNOME, abbiano commesso delitti previsti dall’art. 4-bis, comma 1, prima dell’entrata in vigore del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, i quali, ai sensi dell’art. 3, comma 2, dello stesso decreto-legge, hanno accesso ai benefici di cui all’art. 4-bis, comma 1, legge 26 luglio 1975, n. 354, «nei casi in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile, rendano comunque impossibile un’utile collaborazione con la giustizia, nonché nei casi in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall’articolo 62, numero 6, anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, dall’articolo 114 ovvero dall’articolo 116, secondo comma, del codice penale», a condizione che siano acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva.
Posta l’applicazione, alla fattispecie in esame, della normativa transitoria testé richiamata, la proposizione, da parte di COGNOME, di istanza finalizzata all’ammissione a permesso premio, il cui vaglio spetta in prima battuta, per legge, al magistrato di sorveglianza, ha innescato l’incidentale coinvolgimento del Tribunale di sorveglianza, competente a valutare – secondo la procedura stabilita dall’art. 58-ter, comma 2, legge 26 luglio 1975, n. 354, per l’ipotesi di accertamento, in positivo, della collaborazione, estensibile, per identità di ratio, a quella che qui viene in rilievo – l’impossibilità, inesigibilità o irrilevanza dell collaborazione del condannato.
3.1. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare, tra l’altro, che l’accertamento incidentale della collaborazione impossibile, inesigibile, irrilevante, devoluto al Tribunale di sorveglianza, non si estende alla valutazione in ordine all’assenza di attuali collegamenti con la criminalità organizzata, che costituisce profilo del tutto distinto, da apprezzarsi solo all’atto della delibazione principale sul richiesto beneficio penitenziario, anche quando trattasi di beneficio di competenza del medesimo Tribunale (Sez. 1, n. 48717 del 17/09/2019, COGNOME, Rv. 277792 – 01), ovvero, qualora sia stata richiesta la concessione di un permesso premio, al Magistrato di sorveglianza (Sez. 1, n. 40744 del 14/02/2018, c., Rv. 273940 – 01).
3.2. Sotto altro aspetto, è stato chiarito che l’accertamento dell’impossibilità o dell’inesigibilità di un’utile collaborazione con la giustizia è circoscritto – stan
il tenore letterale del comma 1-bis di detto articolo – alle sole circostanze e situazioni di fatto riferibili alle contestazioni mosse al condannato nei processi conclusisi con le sentenze di condanna per cui è in esecuzione la pena (Sez. 1, n. 14158 del 19/02/2020, COGNOME, Rv. 279120 – 01; Sez. 1, n. 51891 del 29/10/2019, COGNOME, Rv. 278480 – 01).
In proposito, deve certamente tenersi conto, ai fini della valutazione di una eventuale possibilità/esigibilità della condotta collaborativa di coloro che, come COGNOME, siano stati condannati perché membri di una consorteria mafiosa, del patrimonio conoscitivo concernente i molteplici ambiti in cui, con la diretta partecipazione del condannato, si esplicavano le attività illecite della cosca, la cui ricostruzione non è affatto eccentrica rispetto al perimetro dell’accertamento della collaborazione, proprio in considerazione della sua stretta inerenza rispetto alla ragione per la quale detto accertamento deve essere svolto.
In altri termini, una volta ritenuto che la realizzazione di una determinata attività criminosa abbia trovato la sua causale nelle dinamiche di un sodalizio mafioso, essendo stata finalizzata ad attuarne le strategie, la necessità di accertare la collaborazione (o della sua impossibilità/irrilevanza/inesigibilità), quale prova legale del venir meno della pericolosità sociale connessa all’appartenenza al sodalizio, deve estendersi a tutte le situazioni che specificamente riguardano l’organizzazione criminale, a beneficio della quale l’attività delittuosa era stata compiuta.
Una soluzione, questa, che corrisponde, nella sua ratio, all’orientamento interpretativo che, ai fini dell’accertamento della collaborazione, estende la cognizione dai fatti che ineriscono al delitto in esecuzione agli apporti informativi rilevanti per la repressione di condotte criminose diverse da esso, ma al medesimo strettamente legate sul piano finalistico (cfr. Sez. 1, n. 58075 del 26/10/2017, COGNOME, Rv. 271616).
3.3. Per quanto attiene, poi, alla distribuzione dell’onere della prova, è stato affermato che il condannato è gravato da un onere di allegazione, da soddisfarsi delineando, nell’istanza, elementi specifici circa l’impossibilità o l’irrilevanza della sua collaborazione, così da consentire l’esame delle relative richieste nel merito (Sez. 1, n. 47044 del 24/01/2017, Sorice, Rv. 271474 – 01; Sez. 1, n. 18658 del 12/02/2008, Sanfilippo, Rv. 240177 – 01).
Tanto, in ragione del fatto che, se gli elementi che qualificano tale collaborazione devono essere accertati dal Tribunale di Sorveglianza, al quale non è precluso alcun accertamento di ufficio in materia di misure alternative e cui spetta l’adozione della decisione finale, da assumersi alla stregua dell’esame della documentazione agli atti, la parte ha, per contro, l’onere di prospettare le circostanze idonee a dimostrare l’impossibilità della utile collaborazione (Sez. 1,
29217 del 06/06/2013, COGNOME, Rv. 256796 – 01), giacché solo in tal caso è possibile valutare se la sua collaborazione sia impossibile perché fatti e responsabilità sono stati già completamente acclarati o irrilevante perché una posizione marginale nell’esecuzione dei delitti non avrebbe consentito di conoscere fatti e compartecipi pertinenti alla esecuzione di livello superiore.
Ponendo, quindi, mente alle condizioni necessarie affinché la collaborazione posa dirsi impossibile, inesigibile o irrilevante id est all’individuazione delle ipotesi in cui, stando al dettato normativo la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile, rendono comunque impossibile un’utile collaborazione con la giustizia», ovvero a quelle nelle quali «la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante» – va detto che il giudizio del Tribunale di sorveglianza deve essere volto a verificare se sussistano profili attinenti al tema oggetto del procedimento di cognizione che non siano stati completamente provati o non siano stati sufficientemente esplorati, nonché di valutare se gli stessi siano suscettibili di essere utilmente approfondititi con il contributo conoscitivo del condannato, o, al contrario, se tale eventualità debba essere esclusa a cagione della completezza oggettiva GLYPH del GLYPH pregresso GLYPH accertamento GLYPH giudiziale GLYPH (impossibilità GLYPH della collaborazione), oppure per il limitato perimetro cognitivo del condannato, tale da non consentirgli di fornire un contributo rilevante al fine di colmare eventuali lacune (inesigibilità della collaborazione).
Filtrata alla luce degli indirizzi ermeneutici testé delineati, l’ordinanza resiste alle critiche mosse dal ricorrente.
Il Tribunale di sorveglianza ha, invero, tratto argomento dalla riconosciuta intraneità di COGNOME con ruolo tutt’altro che marginale o defilato, alla cosca imperniata sul suo nucleo familiare, in forza del quale egli, braccio operativo del clan, è stato chiamato a concorrere ad un delitto di massima gravità, oltre che di intuibile valenza strategica, quale la strage del 25 giugno 2009, scaturita da contrasti insorti in ambito delinquenziale, ed è stato coinvolto anche nella gestione delle relazioni con gli affiliati originari di Strongoli.
Ha, pertanto, stimato, sulla base di considerazioni di matrice logico-deduttiva, che COGNOME abbia acquisito un patrimonio di conoscenze, afferenti alla struttura ed all’attività del gruppo, che egli, astenutosi da qualsivoglia apporto informativo, ben avrebbe potuto, ove lo avesse voluto, porre a disposizione dell’autorità giudiziaria in vista di un più completo accertamento dei fatti di interesse
processuale, ciò che osta alla formulazione di una prognosi di impossibilità, inesigibilità o irrilevanza della collaborazione.
A fronte di un percorso argomentativo scevro da fratture razionali e coerente con il quadro normativo di riferimento, il ricorrente frappone obiezioni che si risolvono, per un verso, in una sterile contestazione di assertività, apoditticità, autoreferenzialità e distonia rispetto alle risultanze istruttorie, ch pecca di tangibile genericità perché non accompagnata dalla puntuale indicazione – in adempimento dell’onere di allegazione e prospettazione del quale sopra si è detto – degli elementi dimostrativi della fallacia del ragionamento sotteso alla decisione impugnata e dell’assenza di spazi per un’utile collaborazione in merito all’accertato delitto associativo, requisito che, in contrasto con le coordinate dell’istituto, sopra delineate, ha, in buona sostanza, erroneamente dato per scontato, in tal modo precludendo, tra l’altro, lo svolgimento di ogni eventuale, ulteriore approfondimento.
COGNOME, per altro verso, insiste sull’assenza di suoi attuali collegamenti con gli ambienti criminali nei quali sono maturati i fatti che gli sono valsi le condanne in esecuzione che, a suo dire, troverebbe riscontro nella revoca delle misure di prevenzione già applicate nei confronti dei fratelli NOME e NOME, per tale via spostando il fuoco della contestazione su un versante che si è sopra detto essere estraneo all’oggetto del procedimento volta, in via esclusiva, all’accertamento incidentale dell’impossibilità, inesigibilità o irrilevanza della collaborazione.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa del
ammende.
Così deciso il 13/02/2025.