Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 23388 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 23388 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a San Pietro Vernotico il DATA_NASCITA
avverso la sentenza in data 7.6.2023 della Corte di Appello di Lecce visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore, AVV_NOTAIO in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 7.6.2023 la Corte di Appello di Lecce ha confermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 73 quart comma d.P.R. 309/1990 per aver trasportato a bordo della sua autovettura oltre 19 kg di hashish, suddivisi in 21 involucri, dai quali erano ricavabili circa 34.000 dosi giornaliere medie, ma, a parziale modifica della pronuncia resa dal Tribunale di Brindisi all’esito del primo grado di giudizio svoltosi con il rito abbreviato, ridotto la pena detentiva da quest’ultimo quantificata in tre anni e quattro mesi di
reclusione a due anni ed otto mesi di reclusione, lasciando invariata quella pecuniaria quantificata in € 6.000 di multa.
Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando due motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp.att. cod.proc.pen.
2.1. Con il primo motivo contesta il diniego dell’attenuante ex art. 73 settimo comma d.P.R. 309/1990 rilevando la manifesta illogicità della motivazione che per un verso riconosce la confessione unitamente al contributo conoscitivo dato dall’imputato con l’indicazione del nominativo del fornitore dello stupefacente e / . dall’altro esclude che le sue indicazioni fossero state determinanti ad interrompere i traffici delittuosi. Osserva come í a dispetto della natura oggettiva della circostanza in esame inizialmente affermata dalla giurisprudenza, che ne consente il riconoscimento solo nei casi in cui la Collaborazione prestata abbia prodotto effetti riscontrabili erga omnes, sia già da tempo invalsa una diversa interpretazione che, nel ritenere la natura soggettiva dell’attenuante, fa leva sull’effettiva resipiscenza del reo valorizzando il contributo conoscitivo reso indipendentemente dalla capacità delle informazioni fornite di interrompere o elidere l’attività criminosa.
2.2. Con il secondo motivo deduce l’errore in cui è incorsa la Corte di appello che, pur avendo nella motivazione indicato una pena base di due anni da ridurre di un terzo per la scelta del rito, ha invece quantificato nel dispositivo trattamento sanzionatorio finale in due anni ed otto mesi reclusione
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo non può ritenersi meritevole di accoglimento.
Malgrado quanto sostenuto dalla difesa, il riconoscimento dell’attenuante ex art. 73 settimo comma d. P.R. 309/1990 presuppone un quid pluris rispetto alla mera collaborazione informativa, occorrendo che il contributo fornito dall’imputato si traduca nella realizzazione di uno dei risultati concreti previsti dalla stessa disposizione legislativa e comunque nel conseguimento di un risultato utile, finalità questa del resto menzionata anche nella massima indicata nel ricorso (Sez. 3, Sentenza n. 34892 del 14/07/2011, Rv. 250822), consistente o nell’interrompere la catena delittuosa in atto o nel colpire i mezzi di produzione delle attivit criminali. Proprio dalla lettura della suddetta pronuncia si trae il principio che riconoscimento premiale in termini di trattamento sanzionatorio può essere riconosciuto all’imputato il quale abbia reso dichiarazioni fornendo l’intero patrimonio conoscitivo in suo possesso ed abbia collaborato per evitare che l’attività delittuosa (ossia il traffico di sostanze stupefacenti da intendersi in sens ampio, ossia a prescindere dal tipo di sostanza e dalle condotte: produzione,
detenzione, commercio, coltivazione) venga portata a conseguenze ulteriori, contribuendo in tal modo ad impedire l’ulteriore diffusione della droga, e ciò abbia fatto o tramite l’individuazione di responsabili (correi, ma anche corrieri, fornitori) dell’illecito traffico da lui conosciuti o sui quali è in grado di fornire elementi u alla identificazione, a prescindere dallo connessione con il procedimento penale nell’ambito del quale la collaborazione venga prestata, ovvero indicando il luogo ove la sostanza stupefacente sia custodita o chiarendo l’attività dello spaccio, sotto il profilo delle modalità di ricezione, trasporto e cessione a terzi delle sostanze stupefacenti. Principio al quale si sono costantemente uniformate le successive pronunce di questa Corte che, nel sottolineare natura oggettiva della circostanza, hanno ribadito che la sua applicabilità presuppone un aiuto concreto offerto agli organi investigativi o giudiziari per l’interruzione dell’attività delittuosa, che misura con una rilevante riduzione delle risorse finalizzate alla commissione di delitti in materia di stupefacenti e il conseguente impoverimento del mercato, senza che sia necessario un atto di autentico pentimento o di spontanea resipiscenza (Sez. 3, Sentenza n. 29621 del 13/02/2018, COGNOME, Rv. 273719).
E’ stata dunque ritenuta insufficiente, nella coerente declinazione di tale interpretazione, l’indicazione delle sole generalità del committente del trasporto dell’ingente quantitativo rinvenuto a bordo dell’auto del prevenuto, non accompagnate da alcun indirizzo o recapito neppure telefonico, né dai nominativi dei suoi fornitori o comunque da informazioni sulla sua rete di traffico, del tutto inidonee a rintracciare tanto il soggetto indicato quanto ad indirizzare le attività investigative verso traiettorie specifiche in grado di porre termine o quanto meno intralciare le attività di smercio dello stupefacente.
2.Quanto al secondo motivo nessuna discrasia è ravvisabile in ordine al trattamento sanzionatorio tra il dispositivo e la motivazione della sentenza f a4…> impugnata in entrambi essendo riportata la medesima pena finale crani a due anni ed otto mesi di reclusione, sembrando semmai ascrivibile ad un refuso l’indicazione in due anni della pena base che per logica deduzione deve ritenersi invece di quattro anni, considerato anche che la pena base da cui era partito il giudice di primo grado era di cinque anni e che non avrebbe avuto senso compiuto un abbattimento, in assenza del riconoscimento dell’attenuante ex art. 73, settimo comma, tanto rilevante quale sarebbe stato quello conseguente ad una pena base corrispondente al minimo edittale.
Il ricorso deve in conclusione essere rigettato, seguendo a tale esito, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese processuali
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali Così deciso il 19.4.2023