Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 825 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 825 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
SENTENZA
Depositata in Cancelleria
9 BEN. 2025
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato in Nigeria 1’8.11.1984 NOME nato in Nigeria il 15.9.1999 NOME COGNOME nato in Nigeria il 15.5.1996 NOME COGNOME nato in Nigeria il 4.4.1990 NOMECOGNOME nato in Nigeria il 16.8.1983
IL FUNZ1O., GLYPH
DMARIO
NOME
Oggi,
avverso la sentenza in data 10.3.2023 della Corte di Appello di Venezia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
uditi i difensori, avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME per NOME e in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME che hanno concluso per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi
Con sentenza in data 10.3.2023 la Corte di Appello di Venezia ha integralmente confermato la pronuncia resa all’esito del primo grado di giudizio, svoltosi nelle forme del rito abbreviato, dal Tribunale della stessa città che ha dichiarato la penale responsabilità di NOME COGNOME NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990 quali partecipi ad un’associazione dedita al narcotraffico, al cui vertice vi era tale RAGIONE_SOCIALE, con base operativa nella provincia di Padova e collegata con l’Olanda, sede cli approvvigionamento della droga importata in Italia tramite corrieri che la ingerivano e dopo l’espulsione la consegnavano ai clienti, nonché per vari reatifine, mentre NOME COGNOME e NOME COGNOME sono stati ritenuti colpevoli dei reati il primo di cui ai capi L) ed Ni) e il secondo di cui ai capi I) ed N), con condanna alle pene di giustizia.
Avverso il suddetto provvedimento gli imputati hanno proposto, ognuno per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione il cui contenuto viene di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp.att. cod.proc.pen..
NOME COGNOME ha articolato un unico motivo con il quale lamenta la manifesta illogicità dell’affermazione di responsabilità riferita al reato associativo, rilevando come le conclusioni raggiunte in ordine al suo ruolo di intermediario tra il dominus del sodalizio e i corrieri, cui forniva le direttive specifiche e il dana necessario al viaggio per l’importazione dello stupefacente, modalità queste concretamente avvenute, come si legge nel capo di imputazione, “nel caso di NOME NOME“, fossero palesemente smentite dalle risultanze probatorie. Muovendo dalla veridicità, come tale ritenuta dalla Corte di merito, delle dichiarazioni rese nel suo interrogatorio dall’Imonidhe, doveva ritenersi accertato che quest’ultimo si era dal 2019 interfacciato esclusivamente con NOME per raggiungerlo, su sua richiesta, ad Amsterdam dove secondo le indicazioni impartitegli ingeriva ovuli contenenti stupefacente che provvedeva ad espellere una volta arrivato in Italia, con un guadagno di 35 euro ad ovulo corrispostogli direttamente dagli acquirenti alla consegna della merce, 5 dei quali venivano poi da lui stesso consegnati la volta successiva al Destiny mentre, dato ancor più rilevante, l’ultimo viaggio antecedente al suo arresto, risalente al novembre 2019 era stato da lui effettuato in Francia per conto di un altro soggetto con il quale era stato messo in contatto dall’odierno ricorrente: conseguentemente egli non poteva essere in alcun modo considerato, secondo quanto sostenuto dalla difesa, il tramite tra i corrieri incaricati di trasportare la droga dall’Olanda, dei quali face parte l’Imonidhe, e il dominus dell’associazione. Risulta invero da questa stessa ricostruzione che GLYPH l’Akpene fosse un GLYPH soggetto con suoi canali di approvvigionamento, diversi e distinti da quelli del sodalizio capeggiato da COGNOME.
Né vale a sanare, secondo quanto dedotto con il presente ricorso, tale intrinseca contraddizione la duplice veste attribuita all’COGNOME già dal giudice di prime cure da un lato in una “cinghia di trasmissione tra il dominus e l’COGNOME” e, dall’altro’ di “spacciatore sia a consumatori finali, sia a sub-spacciatori in quanto collettore di buona parte dello stupefacente portato dai corrieri”, in ciò annidandosi un vero e proprio travisamento della prova atteso che mai l’COGNOME aveva additato il ricorrente come autonomo spacciatore, ma solo quale destinatario della droga proveniente dalla Francia nel novembre 2019. Ove, invero, l’Innonidhe fosse da ritenersi pienamente attendibile, allora erano le sue dichiarazioni a fungere da fonte per individuare la struttura dell’associazione, il suo funzionamento, i partecipi e i ruoli rispettivamente ricoperti al suo interno, ma non certo per pervenire alla conclusione che anche l’Akpene ne fosse parte, trattandosi di conclusione non supportata né dall’interrogatorio del coimputato, né da nessun’altra risultanza. Che il viaggio del novembre 2019 fosse operazione estranea all’approvvigionamento di droga per conto dell’associazione emerge in ogni caso, secondo la difesa, dalle intercettazioni n.3056 e 3170, ricavandosi da esse la determinazione dell’Innonidhe di partire in fretta senza aspettare i tempi dell’Akpene né la dazione di danaro, evidentemente non finalizzata al finanziamento del viaggio.
3. NOME COGNOME lamenta, con un unico motivo incentrato sul vizio di violazione di legge riferito all’art. 74 settimo comma d.P.R. 309/1990 e sul vizio motivazionale, il diniego dell’attenuante malgrado la corroborazione del quadro indiziario fornita dalle proprie dichiarazioni attraverso una pluralità di chiamate in correità, l’indicazione del nominativo del dominus unitamente, prima, alla descrizione delle sue fattezze fisiche e poi al suo riconoscimento fotografico, il riconoscimento di altri corrieri. Deduce che avendo le autorità tanto requirenti quanto giudicanti attinto a piene mani dal proprio interrogatorio al fine di ricostruire il profilo, la struttura gerarchica ed il modus operandi del sodalizio devono ritenersi integralmente sussistenti gli elementi costitutivi della circostanza invocata, integrati nella specie nell’aver assicurato al processo le prove del reato. Contesta che la tardività delle dichiarazioni potesse tradursi in un contributo neutro rispetto agli elementi già acquisiti in fase di indagine tenuto conto che sul piano sistematico l’assicurazione delle prove del reato non contempla distinzioni di sorta tra la fase delle indagini preliminari e quella processuale ad essa successiva, ben potendo la collaborazione prestata riguardare anche la formazione della prova, purché idonea ad interrompere la permanenza del reato o, alternativamente, ad individuare gli altri partecipi alla consorteria criminosa, rilevando che, secondo quanto riconosciuto dalla stessa Corte di appello, l’incrocio tra le propalazioni del prevenuto e il tenore delle intercettazioni unitamente agli
esiti delle operazioni di polizia avevano consentito di delineare la struttura gerarchica del sodalizio.
Anche NOME COGNOME ha affidato le proprie doglianze ad un unico motivo con il quale contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 74 d.P.R. 309/1990 e al vizio motivazionale, la configurabilità della sua partecipazione all’associazione, stante il suo ruolo del tutto marginale se comparato con quello degli altri corrieri, che escludeva di per sè la sua consapevolezza delle dinamiche associative. Rileva altresì che, anche con riferimento all’affectio societatis, non fosse emersa alcuna prova della sua stabile disponibilità ad adoperarsi in favore del gruppo criminoso, al contrario esclusa dalla detenzione di quantitativi minimali in un arco temporale del tutto contenuto, pari a pochi mesi soltanto.
Con ricorso congiunto NOME COGNOME e NOME COGNOME entrambi assolti dal reato associativo per non aver commesso il fatto, ma condannati per plurimi episodi di detenzione di droga a fini di spaccio e, segnatamente l’Ogbode per i reati di cui ai capi L) ed N1) e il Kennedy per i reati di cui ai capi I) ed N hanno articolato quattro motivi.
5.1. Con il primo motivo deducono, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli artt. 178 lett. c) e 420 ter quinto comma cod. proc. pen., la nullit della sentenza impugnata per avere la Corte di appello respinto la richiesta di rinvio formulata dal difensore per legittimo impedimento malgrado la documentazione inviata due giorni prima dell’udienza fissata, attestante l’impegno professionale relativo alla concomitante udienza fissata nei confronti di imputati in regime di detenzione. Contestano la fondatezza motivazione resa in ordine alla scadenza dei termini di custodia cautelare riguardanti la propria posizione rilevando di non essere gravati al momento della celebrazione del giudizio di appello da misure custodiali, peraltro scadendo i termini di quelle non detentive in corso nel 2024, nonché la tempestività della richiesta di rinvio rispetto all’udienza del 10.3.2023.
5.2. Con il secondo motivo contestano la riconducibilità delle condotte nell’alveo dell’art. 73 comma 1-bis d.P.R.309/1990 rilevando che trattandosi di droga parlata non vi erano elementi che consentissero di procedere ad una valutazione ponderata della qualità e quantità della sostanza stupefacente, in mancanza di riscontri sulla percentuale del principio attivo in essa presente e, conseguentemente, sul raggiungimento della soglia per poter ritenere la condotta penalmente rilevante.
5.3. Con il terzo motivo lamentano, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 73 quinto comma d.P.R. 309/1990 e al vizio motivazionale, il diniego della lieve entità del fatto rilevando come non fosse evincibile dal tenore delle conversazioni captate il numero di ovuli acquistati in relazione all’episodio del
7.10.2019 e a quello del 28.10.2019 ed invocando in ogni caso l’applicabilità del principio fissato da questa Corte con la sentenza n. 45061 del 3.11.2022 secondo il quale il limite massimo per contenere la condotta nell’alveo del quinto comma è pari, per la cocaina, a 150 grammi, laddove i quantitativi detenuti negli episodi in contestazione, rispettivamente di 30 e 20 grammi lordi, non superavano quand’anche sommati tra loro i 50 grammi. Evidenziano come in nessuno dei due casi fosse stata rinvenuta strumentazione atta allo spaccio, né tantomeno sequestrata la droga oggetto del contestato traffico, mentre con riferimento alla condotta di cui al capo Ni) il quantitativo imprecisato di droga, come tale definito dalla stessa sentenza impugnata, non ne consentiva la riconducibilità al primo comma dell’art. 73.
5.4. Con il quarto motivo viene contestata, in relazione al vizio di violazione di legge e al vizio motivazionale, l’applicabilità della recidiva nei confronti de Kennedy, rilevando come i due precedenti penali a suo carico non consentissero, trattandosi di due reati avvinti dal vincolo della continuazione all’interno di una medesima azione criminosa lesiva di beni giuridici diversi, di ritenere la maggiore pericolosità del prevenuto in difetto di alcuna motivazione specifica
CONSIDERATO IN DIRITTO
Muovendo dalla disamina dei ricorsi degli imputati ritenuti responsabili in qualità di partecipi al reato associativo sul quale si incentrano in via esclusiva le impugnative in esame, deve essere dichiarata l’inammissibilità delle censure articolate da NOME COGNOME
A dispetto delle premesse spese in punto di diritto sul vizio motivazionale, il gravame si risolve in una lettura alternativa delle risultanze istruttorie, venendo del tutto tralasciata sia la premessa su cui i giudici distrettuali fondano l’interpretazione delle conversazioni intercettate, ovverosia la sua pregressa conoscenza dell’Imonidhe logicamente desunta dalla mancanza di presentazioni tra i due, sia il contenuto successivo dei colloqui telefonici di cui si evidenzia, con coerente ricostruzione dei dialoghi con i differenti interlocutori, come il viaggio intrapreso dall’COGNOME per conto del capo non avesse niente a che fare con quello in Francia, occasionalmente avvenuto a fine novembre 2019 su incarico di un diverso soggetto con cui lo aveva messo in contatto un suo connazionale, affittuario di un appartamento di sua proprietà. Viene infatti evidenziato che le telefonate ricevute dall’COGNOME siano successive a tale viaggio e che da esse si evidenzi il ruolo di costui quale intermediario del capo del sodalizio dimorante in Olanda, stante le direttive impartite all’Imonidhe per entrare in possesso del danaro necessario all’acquisto degli ovuli che avrebbe effettuato in Olanda, secondo i consueti schemi adottati dall’associazione criminosa. Da tali
conversazioni viene logicamente tratto il ruolo niente affatto occasionale né marginale rivestito dal ricorrente nel sodalizio, tenuto conto del fatto che era un referente già noto all’Imonidhe, la cui intraneità nel gruppo criminale è incontestata, della capacità di movimentazione di ingenti somme di danaro, quali quelle che mette a disposizione del corriere tramite un nigeriano che lavorava in un negozio di Padova per finanziarne la trasferta in Olanda, della professionalità mostrata nell’organizzazione del viaggio per conto del capo olandese, secondo una ricostruzione coerente e strettamente aderente alle risultanze istruttorie, senza che possa essere invocato il sindacato di questa Corte su questioni di fatto, quali quelle che invoca la difesa proponendo una diversa interpretazione delle conversazioni captate traendo spunto dalla circostanza che i colloqui telefonici tra l’Akpene e l’Imonidhe si siano in un periodo in cui quest’ultimo era stato contattato anche da altri trafficanti per ingaggiarlo come corriere per i propri traffici illecit
In definitiva la prospettazione difensiva non individua, al di là di una diversa ricostruzione del compendio intercettato, alcuna frattura logica o carenza argomentativa nelle quali possa compendiarsi il devoluto vizio motivazionale, che, deve essere ancora una volta ricordato, si sostanzia nel solo accertamento della congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non al suo contenuto valutativo, fuoriuscendo dal perimetro operativo di questa Corte il controllo tra prova e decisione: il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria ad essa sottesa, esclusivamente riservata al giudice di merito.
Ed invero il ricorrente non offre, a fronte di una compiuta ricostruzione della vicenda e della sua valutazione ad opera della Corte di appello, la necessaria rappresentazione e dimostrazione di alcuna evidenza, pretermessa ovvero infedelmente riprodotta dal giudicante, di per sé dotata di univoca ed immediata valenza esplicativa, tale cioè da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo della sentenza gravata in ragione dell’intrinseca incompatibilità degli enunciati (Sez. 5, Sentenza n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566 secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, offrendo al giudice di legittimità frammenti probatori o indiziari, solleci quest’ultimo ad una rivalutazione o ad una diretta interpretazione degli stessi, anziché al controllo sulle modalità con le quali tali elementi sono stati raccolti e sulla coerenza logica della interpretazione che ne è stata fornita). Deve essere al contrario ribadito che non sono deducibili con il ricorso per cassazione censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre
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diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, Sentenza n. 9106 del 12/02/2021, Rv. 280747)
2. Il ricorso di NOME COGNOME è del tutto generico, limitandosi la difesa a contestare la marginalità del ruolo ricoperto dall’imputato, ovverosia di semplice corriere tale da non implicare la conoscenza delle dinamiche associative. Quand’anche si voglia sostenere che le mansioni esecutive svolte non consentissero all’imputato di essere addentro le decisioni assunte dai vertici, ciò non è affatto necessario per il perfezionamento della condotta di partecipazione ad un’associazione, ad integrare la quale è sufficiente la sussistenza di un vincolo permanente unitamente all’affectio societatis, desumibile anche da fatti concludenti, quali i contatti continui con gli altri compartecipi, l’utilizzo dei b necessari per le operazioni delittuose, la serialità delle condotte, i viaggi continui per il rifornimento di droga, l’osservanza di modalità collaudate e comunque la ripartizione dei compiti fra i vari soggetti in vista del raggiungimento di un comune obiettivo unitamente all’apporto di un contributo, ancorché minimo, ma significativo in relazione alla vita della struttura ed in vista del perseguimento del suo scopo (Sez. 3, Sentenza n. 47291 del 11/06/2021, COGNOME, Rv. 282610), senza che sia richiesto, allorquando il partecipe non rivesta posizioni apicali all’interno del gruppo, che concorra alle scelte gestionali ed organizzative assunte dai vertici nella programmazione delle varie operazioni delittuose, né che ne venga reso edotto. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nella coerente declinazione di tali principi la sentenza impugnata ha evidenziato, attingendo dal reato fine di cui al capo h), sia il coordinamento delle condotte dell’NOME con quelle dell’Imonidhe in occasione del viaggio compiuto insieme in Olanda, sia la sua sottoposizione gerarchica a quest’ultimo per essere stato destinatario dei suoi rimproveri allorquando al rientro in Italia si era recat in un’abitazione diversa da quella indicata per l’evacuazione degli ovuli, nonché, avuto riguardo alle successive cessioni dello stupefacente importato, sia le modalità seriali della distribuzione che, in conformità ad una procedura già ampiamente collaudata, comportavano la consegna ai clienti, già in possesso di apposite sigle che venivano loro comunicate contestualmente all’ordine effettuato, degli ovuli corrispondenti marcati con la stessa dicitura. Del resto, anche il coinvolgimento in un solo reato-fine può integrare l’elemento oggettivo della partecipazione, laddove le connotazioni della condotta dell’agente, consapevolmente servitosi dell’organizzazione per commettere il fatto, ne riveli,
secondo massime di comune esperienza, un ruolo specifico in funzione delle dinamiche operative e della crescita criminale dell’associazione (Sez. 6, n. 1343 del 4/11/2015 (dep.2016), Policastri, Rv. 265890)
Deve quindi concludersi per l’inammissibilità del ricorso.
Il ricorso dell’Imonidhe non può ritenersi fondato.
Se la circostanza che le sue dichiarazioni siano intervenute ad oltre un anno di distanza dal suo arresto in flagranza in occasione di un’ingente importazione di stupefacente non può ritenersi decisiva ai fini dell’esclusione dell’attenuante potendo incidere sull’espletamento delle indagini e conseguentemente sulla formazione della prova, va tuttavia rilevato che anche la propalazione tardiva è soggetta al vaglio utilitaristico costituito dalla necessità che il contribu conoscitivo sia diretto ad interrompere l’attività complessiva del sodalizio criminoso di appartenenza, vuoi assicurando al processo le prove del reato, vuoi sottraendo ad esso risorse decisive per la commissione dei delitti.
A fronte delle dichiarazioni rese dal ricorrente, costituite dall’aver messo a disposizione dell’autorità giudiziaria tutto il suo contributo conoscitivo in ordine alla sussistenza del sodalizio, al suo profilo gerarchico ed organizzativo, così come alle modalità operative, secondo quanto emerge nella ricostruzione del reato associativo già dalla sentenza di primo grado, c’è tuttavia da chiedersi quale sia il significato da attribuirsi alla locuzione utilizzata dal legislatore ai fini riconoscimento della diminuzione di pena “essersi efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato o per sottrarre all’associazione risorse decisive per la commissione dei delitti”.
La Corte di appello sottolinea la linea di demarcazione tra le dichiarazioni che abbiano portato ad uno smantellamento dell’organizzazione criminosa interrompendone l’attività, da quelle che non abbiano sortito tale risultato, ritenendo che, pur avendo le propalazioni rese dall’imputato consentito di “disegnare il profilo organizzativo dell’associazione”, espressione dalla quale si desume che senza il suddetto contributo dichiarativo il quadro finale della struttura associativa così come delle sue dinamiche interne non sarebbe stato completo, non abbiano tuttavia raggiunto la finalità richiesta dal legislatore per conseguire il beneficio premiale in termini di pena.
Tale interpretazione merita di essere condivisa.
Ed invero, la maggior pericolosità che caratterizza il reato associativo nel settore del traffico degli stupefacenti rispetto alle condotte di cui all’art. 73 T. Stup., involgendo una struttura organizzativa e la necessaria compresenza di più soggetti che operano coordinandosi fra loro per porre in essere una serie indeterminata di delitti nello specifico settore e che necessariamente si avvalgono delle risorse comuni, con una conseguente maggiore diffusione della merce illecita sul mercato accompagnata da una più alta probabilità di riuscita se raffrontata
con analoghe operazioni isolatamente poste in essere dal singolo che, quand’anche agisca in concorso con altri soggetti, è comunque chiamato a misurarsi con i limiti di un’operazione solipsistica, si traduce in una radicale difformità tra i presupposti per l’applicabilità dell’attenuante in esame che esige, a differenza della corrispondente attenuante prevista dall’art. 73, settimo comma che valorizza la condotta collaborativa in sé considerata, un risultato obiettivamente utile.
Muovendo dal raffronto tra il tenore letterale delle due disposizioni, apparentemente similare, venendo messe da entrambe in rilievo quale condotta necessaria alla configurabilità dell’attenuante il contributo fornito alla sottrazione all’associazione delle risorse per la commissione dei delitti ovvero l’essersi adoperato per l’assicurazione delle prove del reato, occorre soffermarsi, per comprenderne la diversa portata, sulle divergenti, seppur contenute, scelte lessicali.
Ed ecco che la sottrazione delle risorse, intesa come rivelazione di elementi volti alla concreta individuazione degli stupefacenti o del danaro necessario al suo acquisto, così come delle risorse umane o di qualunque altro elemento, finalizzato ad incrinare e porre quindi in difficoltà il sistema di spaccio (Sez. 3^, n. 37372 del 18.4.2012, COGNOME, Rv. 253571), se ai fini dell’applicabilità dell’attenuante di cu all’art. 73 settimo comma è sufficiente che riguardi risorse “rilevanti”, deve invece aver ad oggetto affinché scatti la diminuzione di pena prevista dall’art. 74 settimo comma risorse “decisive”, essendo sottesa a tale sfumatura lessicale la capacità dei dati forniti di pervenire se non allo smantellamento, comunque, alla compromissione della capacità del sodalizio di operare sul mercato. Tuttavia, se la suddetta condotta è di per sé bastevole ad evitare che l’attività delittuosa sia portata ad ulteriori conseguenze secondo la previsione dell’art. 73, la stessa è invece prevista in alternativa, quando abbia ad oggetto risorse decisive per la sopravvivenza della consorteria, all’aver efficacemente assicurato le prove del reato associativo secondo la previsione dell’art. 74. Il che sta a significare che mentre ai fini dell’art. 73 settimo comma occorre il ravvedimento post-delitto del responsabile, che è sufficiente che incida sulle prove dei commessi reati a carico dei responsabili, quantunque già identificati, purché assicurate tramite il suo contributo conoscitivo anche ex post rispetto alla fase delle indagini, per contro ai fini della diminuzione di pena di cui all’art. 74 è necessario che le dichiarazioni rese abbiano consentito l’interruzione del protrarsi del reato o la scoperta di ulteriori complici, allorquando l’associazione è ancora in essere, approdando pertanto, al pari della sottrazione all’associazione delle risorse decisive per la commissione dei delitti, ad un risultato concretamente fruttuoso che incida sull’attività criminosa nel suo divenire. Nell’un caso, quindi, l’attenuante è applicabile a fronte di un ravvedimento manifestatosi rispetto ad un reato, stante la natura istantanea delle condotte criminose contemplate dall’art. 73 primo comma d.P.R. 309/1990, già Corte di Cassazione – copia non ufficiale
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perfezionatosi a condizione che ne vengano fornite le prove, nell’altro richiedendosi invece, stante la natura permanente del delitto associativo, l’idoneità delle dichiarazioni ad impedire che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, presupponendosi che questa sia ancora in corso, ovvero ad assicurare le prove in relazione al suddetto delitto di cui l’autorità giudiziaria non sia già i possesso.
Conseguentemente, mentre per l’applicabilità della circostanza prevista dall’art. 73 settimo comma è sufficiente che l’imputato “si adoperi per evitare che la condotta sia portata a conseguenze ulteriori”, la parallela disposizione contenuta nell’art. 74 richiede, invece, che l’imputato “si sia efficacemente adoperato” per assicurare le prove del reato, contemplando pertanto la sua applicabilità, come si evince dalla declinazione del verbo al passato, corroborata dall’avverbio “efficacemente”, una valutazione ex post del risultato in concreto conseguito a seguito della collaborazione prestata ai fini dell’operatività del sodalizio. Non basta, dunque, che attraverso le dichiarazioni rese dall’imputato si sia ottenuto un rafforzamento del quadro probatorio già formatosi (Sez. 6, n. 7995 del 17/06/2014, dep.2015, COGNOME, Rv. 262624) e nemmeno che siano state ottenute, “ex post”, le prove dei commessi reati in assenza di alcun ulteriore contributo per l’accertamento dei fatti oggetto del giudizio rispetto agli elementi già acquisiti all’esito delle indagini, occorrendo per contro che il contributo conoscitivo offerto dall’imputato, nel corso della consumazione del reato, sia utilmente diretto ad interrompere non tanto il traffico della singola partita di droga, bensì l’attivit complessiva del sodalizio criminoso, in modo, cioè, da impedire che il reato associativo, stante la sua natura permanente, si protragga e sia portato ad ulteriori conseguenze, oppure l’assicurazione delle prove del reato non aliunde acquisite (cfr.: Sez. 1″, n. 28596 del 25.5.2006, COGNOME, Rv. 234920; Sez. 1″, n. 36069 del 14.7.2009, COGNOME, Rv. 244745; Sez. 3, Sentenza n. 23528 del 19/01/2018, COGNOME, Rv. 273563). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Non è quindi sufficiente che il ricorrente abbia, come nel caso di specie, fornito tutte le notizie in suo possesso, condotta che di per sé consente il riconoscimento dell’attenuante ex art. 73, settimo comma d.P.R. 309/1990 stante la diversa ratio perseguita dal legislatore volta a valorizzarne il contributo operoso conseguente al suo ravvedimento (Sez. 6, n. 15977 del 24/03/2016, Ben, Rv. 266998), essendo invece necessario, quando il reato in contestazione sia la partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, che la sua operatività venga in tutto o in parte scardinata grazie all’apporto conoscitivo dell’imputato collaborante. In altri termini, se tanto più efficace diviene l collaborazione dell’imputato quanto più essa intervenga in concomitanza temporale con lo svolgersi attuale del reato plurisoggettivo, la cui operatività dovrebbe essere in tutto o in parte scardinata grazie alle dichiarazioni confessorie
rese, può comunque ritenersene l’applicabilità anche a fronte di un’attività criminosa già esauritasi ove, tuttavia, si tratti di un contributo conoscitivo non marginale rispetto alla piattaforma probatoria già acquisita, soltanto in tali termini potendosi ravvisare l’efficacia dell’attività prestata per assicurare le prove del reato richiesta dalla disposizione in esame.
Tanto premesso, ciò che la difesa non riesce a contrastare è la sostanziale inutilità ai fini indicati delle dichiarazioni rese dall’Imonidhe che, proprio in ragion del tempo trascorso tra il suo arresto e le rivelazioni, non hanno consentito, seppur proficue ai fini della ricostruzione delle dinamiche interne alla consorteria, la cui esistenza, unitamente ai suoi componenti, era stata ciò nondimeno compiutamente accertata, né l’individuazione di altri corrieri, essendosi nel frattempo il sodalizio ricompattato con l’assunzione di nuovi “body packers”, rispetto a quelli che, pur da lui riconosciuti, avevano già un quadro probatorio definito ed erano stati già assicurati alla giustizia, così da consentire l’estensione delle indagini volte ad approdare ad ulteriori risultati concreti, né l’interruzione dell’attività criminosa della consorteria che aveva continuato ad operare mutando uomini e luoghi né, infine, di rintracciare il COGNOME, presunto capo dell’associazione, di cui il ricorrente ha dichiarato di non ricordare l’indirizzo, cos da permetterne la concreta identificazione e la sottoposizione della sua persona al processo.
Nella coerente declinazione dei principi sopra riportati, pertanto, la Corte lagunare definisce il contributo conoscitivo fornito dall’imputato rilevante al solo fine di “conoscere il passato remoto dell’associazione” con un’efficace espressione che plasticamente dà conto della sua inattitudine ad essere valutato, se non altro in termini di attualità del risultato probatorio, ai fini dell’attenuante invocata.
Deve, quindi, concludersi per il rigetto del ricorso.
Il ricorso di NOME COGNOME e NOME non supera, invece, il vaglio di ammissibilità.
4.1. In ordine alla doglianza processuale oggetto del primo motivo deve essere in primo luogo osservato che essendo stato il rinvio per legittimo impedimento del difensore negato dalla Corte distrettuale con ordinanza, si imponeva la contestuale impugnazione di tale provvedimento, secondo quanto previsto dall’art. 586 cod. proc. pen., unitamente alla sentenza di appello, facendosi valere un vizio riguardante non già la pronuncia finale, ma l’ordinanza in questione, dalla quale sarebbe derivata la lesione del diritto di difesa: poiché di essa invece il ricorso non reca traccia, il motivo in esame, relativo ad una ordinanza che non sia stata, come nella specie, espressamente impugnata incorre di default nell’inammissibilità (Sez. 3, Sentenza n. 17713 del 15/02/2019, Quaranta, Rv. 275449 in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso avverso la sentenza fondato sulla omessa enunciazione delle
ragioni di acquisizione, con ordinanza, di prova documentale in assenza di espressa impugnazione dell’ordinanza stessa).
In ogni caso alla medesima statuizione si perviene considerando la mancanza di confronto del ricorso con la duplice ratio decidendi del rigetto della richiesta per legittimo impedimento del difensore laddove ne viene evidenziata, oltre all’imminente scadenza dei termini di fase della custodia cautelare, la tardività essendo stata la relativa istanza presentata dall’avv. NOME COGNOME difensore , degli odierni ricorrenti, due giorni prima dell’udienza fissata innanzi alla Corte ch appello per la data del 10.3.2023, rappresentando la necessità di dover presenziare ad un concomitante impegno professionale innanzi al Gip di Bologna a seguito di provvedimento emesso in data 18.1.2023.
Rispondendo all’univoco orientamento di questa Corte il principio secondo il quale la tempestività della comunicazione dell’impedimento a comparire del difensore, per concorrente impegno professionale, deve essere valutata, ai fini della decisione sulla richiesta di rinvio, in riferimento al momento in cui il difensore stesso ha avuto cognizione dell’impedimento (ex multis Sez. 5, Sentenza n. 27174 del 22/04/2014, COGNOME, Rv. 260579), la Corte distrettuale ha correttamente sottolineato ai fini del rigetto dell’istanza in esame che la comunicazione dell’udienza del procedimento cui aveva dichiarato di volere presenziare era pervenuta al difensore ben oltre un mese prima dall’inoltro della richiesta di rinvio nel procedimento in esame.
4.2. Il secondo motivo è inammissibile in ragione della sua aspecificità.
Con esso i ricorrenti lamentano il mancato accertamento della concreta offensività della condotta in assenza di elementi certi comprovanti la capacità drogante della sostanza sequestrata, ma non si curano neppure di individuare i capi della sentenza censurati. Tenuto conto che sono stati condannati per reati diversi fra loro, ovverosia l’Obode per il capo L) e il Kennedy per il capo I), per ognuno di essi ritenuto il più grave, in continuazione il primo con il reato di cui al capo N1) ed il secondo con il reato di cui al capo N), deve conseguentemente ritenersene precluso l’esame in questa sede, stante la violazione dell’art. 581 lett. a) cod. proc. pen. che impone a pena di inammissibilità l’enunciazione specifica dei punti o dei capi della sentenza ai quali è riferita l’impugnazione.
4.3. Le doglianze articolate, invece, con il terzo motivo afferente alla mancata riqualificazione dei reati rispettivamente ascritti ai due imputati ai sensi dell’art 73 quinto comma d.P.R.309/1990 si sviluppano su un piano meramente contestativo, in assenza del necessario confronto argomentativo con i rilievi spesi dalla Corte territoriale a fondamento del diniego, focalizzandosi le censure difensive esclusivamente sul dato quantitativo.
I giudici lagunari, nel condividere quanto già affermato dalla sentenza di primo grado, sottolineano la serrata sequenza cronologica tra le plurime ricezioni di
droga pesante (eroina o cocaina), tipologia questa mai contestata, unitamente all’analogia delle modalità delle condotte, improntate a rigorosa serialità, all’identità del confezionamento dello stupefacente in ovuli e del loro conseguente occultamento, venendo gli ovuli ogni volta ingeriti dagli imputati per poi consegnarli agli acquirenti finali, alla quantità delle singole cessioni che, seppur non particolarmente ingente neppure poteva essere ritenuta modica, contenendo ogni ovulo circa 10 grammi di sostanza e venendone consegnati almeno due ad ogni cessionario: sulla scorta di tali univoci elementi, convergenti nella direzione di una capillare distribuzione della droga sul mercato in ragione della metodologia professionale seguita i prevenuti e della capacità di porsi al riparo dalle investigazioni delle Forze dell’ordine, coerentemente escludono la fattispecie di minore gravità, nella corretta declinazione del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui l’applicabilità dell’art. 73 quinto comma d.P.R. 309/1990 deve essere il frutto di una valutazione complessiva degli elementi fattuali selezionati dalla norma che tenga conto delle concrete capacità di azione del soggetto e delle sue relazioni con il mercato di riferimento, dell’entità della droga movimentata in un determinato lasso di tempo, del numero di assuntori riforniti, della rete organizzativa e/o delle peculiari modalità adottate per porre in essere le condotte illecite (cfr. ex multis Sez. 6, n. 13982 del 20/02/2018′ COGNOME, Rv. 272529 e Sez. 3, n. 6871 dell’08/07/2016, Bandera, Rv. 269149). Discende da tale premessa ermeneutica che è legittimo il mancato riconoscimento della lieve entità qualora la singola cessione di una quantità modica, o non accertata, di droga costituisca manifestazione effettiva di una più ampia e comprovata capacità dell’autore di diffondere in modo non episodico, nè occasionale, sostanza stupefacente, non potendo la valutazione della offensività della condotta essere ancorata al solo dato statico della quantità volta per volta ceduta, ma dovendo essere frutto di un giudizio più ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Va per inciso evidenziato, con riferimento al Kennedy, che costui senza svolgere contestazioni di sorta sul numero di ovuli oggetto delle cessioni di cui ai capi I ed N, né sul loro contenuto, si è limitato già nel giudizio di primo grado ad invocare in relazione ai capi I) ed N) esclusivamente la riqualificazione delle condotte nella fattispecie di lieve entità, dando conseguentemente per pacifica la tipologia della droga contenuta negli ovuli, laddove le cessioni all’odierno ricorrente non sono state contestate dai coimputati NOMECOGNOME COGNOME e NOMECOGNOME indicati negli stessi capi di imputazione nella veste di cedenti. Quanto all’Obode se già il ricorso in appello non conteneva confutazioni specifiche dell’analitica ricostruzione dei fatti da parte del Tribunale veneziano sulla base delle utenze telefoniche in uso al prevenutocondotte accertatelloqui con l’COGNOME e alla titolarità dell’auto con cui si era proceduto alla consegna della droga agli
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acquirenti, le censure svolte con il presente ricorso incorrono a fortiori nella genericità, omettendo di confrontarsi con le plurime condotte accertate dai giudici di merito in ordine al suo reiterato coinvolgimento nell’attività delittuosa.
4.4. Neanche in relazione all’applicazione della recidiva nei confronti di NOME Kennedy, oggetto del quarto motivo, la difesa riesce ad individuare alcun reale vizio motivazionale deducibile in sede di legittimità. Malgrado la stringatezza delle argomentazioni spese, si evince tuttavia dalla tipologia dei precedenti reati risultanti dal certificato penale dell’imputato la ratio decidendi che ha informato il rigetto del corrispondente motivo di appello, avendo la Corte veneziana implicitamente valorizzato l’identità del bene giuridico protetto rispetto alle due pregresse condanne per rissa e per lesioni, costituito anche per i delitti in materia di stupefacenti dalla salute personale, dalla quale in ragione della crescente progressione criminosa ha desunto la maggior riprovevolezza della condotta in esame. Conseguentemente da nessuna carenza o manifesta illogicità motivazionale, né tanto meno da alcun vizio di violazione di legge può ritenersi affetta la sentenza impugnata che ha correttamente declinato al caso di specie il principio secondo il quale il giudice è chiamato ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per c procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato “sub iudice” (Sez. U, Sentenza n. 35738 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247838;).
Sulla scorta dei sovra esposti rilievi deve, quindi, concludersi per l’inammissibilità dei ricorsi di NOME COGNOME, NOME NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata come in dispositivo. Il ricorso di NOME deve essere, invece, rigettato, seguendo a tale esito l’onere delle spese processuali
P.Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi di NOME COGNOME, NOME NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME e che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di 3.000 euro alla Cassa delle Ammende. Rigetta il ricorso di NOME che condanna al pagamento delle spese processuali
Così deciso in data 5.12.2024