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Collaborazione attenuante: inammissibile se non decisiva

Un soggetto condannato per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti ha presentato ricorso in Cassazione chiedendo il riconoscimento della speciale attenuante per la collaborazione, offerta solo dopo la condanna di primo grado. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che la collaborazione attenuante richiede un contributo conoscitivo nuovo, utile e decisivo per smantellare l’attività del sodalizio criminoso, non essendo sufficiente una mera conferma di fatti già noti agli inquirenti. La richiesta di rinnovare l’istruttoria in appello è stata ritenuta infondata poiché non assolutamente necessaria.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Collaborazione attenuante: non basta pentirsi, serve un aiuto decisivo

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 9463 del 2024, offre un’importante lezione sui requisiti della collaborazione attenuante nei reati associativi legati agli stupefacenti. Una collaborazione tardiva, che non apporta elementi di novità decisivi per le indagini, non è sufficiente per ottenere lo sconto di pena previsto dall’art. 74 del d.P.R. 309/1990. Analizziamo insieme la decisione della Suprema Corte.

I Fatti del Processo

Il caso riguarda un individuo condannato in primo grado dal G.i.p. del Tribunale di Lecce per aver partecipato a un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Successivamente alla condanna, l’imputato decideva di diventare collaboratore di giustizia.
In appello, la Corte territoriale di Lecce, pur riconoscendo le attenuanti generiche e riducendo parzialmente la pena, confermava l’impianto accusatorio. La difesa dell’imputato, tuttavia, aveva richiesto la rinnovazione dell’istruttoria per poter esaminare il proprio assistito e far valere le sue dichiarazioni al fine di ottenere la speciale attenuante della collaborazione. Tale richiesta veniva respinta.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Insoddisfatta della decisione d’appello, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali:
1. Violazione di legge per mancata rinnovazione dell’istruttoria: Si contestava la decisione della Corte d’Appello di non sentire l’imputato, nonostante la sua scelta di collaborare fosse una novità processuale. Secondo la difesa, le sue dichiarazioni contenevano elementi di assoluta novità che avrebbero giustificato l’applicazione della collaborazione attenuante.
2. Vizio di motivazione sul diniego dell’attenuante: Si criticava la sentenza per non aver apprezzato il valore del contributo offerto, che a dire della difesa era stato in grado di far luce sulla struttura dell’organizzazione, sui ruoli dei sodali e sulle modalità esecutive dei reati, superando la ricostruzione già operata in primo grado.

I requisiti della collaborazione attenuante secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, cogliendo l’occasione per ribadire i principi consolidati in materia. Per la concessione della collaborazione attenuante prevista dall’art. 74, comma settimo, d.P.R. 309/1990, non è sufficiente una qualsiasi forma di aiuto.
È necessario che il contributo conoscitivo sia utilmente diretto a interrompere l’attività complessiva del sodalizio criminoso. Questo significa che le dichiarazioni devono essere decisive per assicurare le prove del reato o per sequestrare risorse fondamentali per l’associazione. Non basta, quindi, fornire informazioni su circostanze già acquisite dagli inquirenti tramite intercettazioni, pedinamenti o altre attività investigative.

Le Motivazioni della Decisione

La Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile per mancanza di specificità. La difesa, infatti, si è limitata a enunciare principi di diritto e a muovere critiche generiche, senza illustrare concretamente quali fossero gli elementi di novità e di rottura apportati dal proprio assistito rispetto al quadro probatorio già esistente e ritenuto completo dai giudici di merito.
La Corte ha sottolineato che, in assenza di una collaborazione già emersa in primo grado, era onere del ricorrente dimostrare in modo puntuale l’illegittimità della decisione dei giudici di merito nel non considerare il suo contributo dichiarativo. Le argomentazioni della difesa sono state quindi qualificate come una critica non costruttiva, insufficiente a superare il vaglio di ammissibilità.

Conclusioni

La sentenza in esame conferma un orientamento rigoroso: la scelta di collaborare con la giustizia, soprattutto se tardiva, deve tradursi in un vantaggio concreto e misurabile per le indagini. Per ottenere la specifica collaborazione attenuante, l’imputato deve fornire un contributo che vada oltre la semplice conferma di quanto già noto, rivelando elementi nuovi e decisivi capaci di compromettere l’operatività dell’intera organizzazione criminale. Un ricorso che non riesce a specificare in cosa consista questa decisività è destinato all’inammissibilità.

Quando può essere concessa l’attenuante speciale per la collaborazione in un reato associativo di spaccio?
La concessione dell’attenuante richiede che il contributo conoscitivo dell’imputato sia utilmente diretto a interrompere non il singolo traffico di droga, ma l’attività complessiva dell’associazione criminosa, attraverso l’assicurazione delle prove del reato o il sequestro di ‘risorse decisive’.

È possibile ottenere la riapertura del processo in appello per iniziare a collaborare con la giustizia?
La rinnovazione dell’istruttoria in appello per consentire l’esame di un nuovo collaboratore di giustizia deve essere disposta solo se valutata ‘assolutamente necessaria’ in relazione alla funzionalità della prova per il processo, a causa dell’insufficienza degli elementi già acquisiti, e non per esigenze puramente soggettive del dichiarante.

Perché il ricorso in esame è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché privo della necessaria specificità. La difesa non ha illustrato in modo dettagliato le ragioni per cui il contributo dichiarativo del ricorrente avrebbe avuto le caratteristiche di novità e decisività richieste dalla giurisprudenza, limitandosi a una critica generica delle sentenze di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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