Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28183 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28183 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a LECCE il 03/05/1989
avverso la sentenza del 23/10/2024 della CORTE APPELLO di LECCE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; per udito il difensore del ricorrente, avvocato NOME COGNOME che insiste l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Lecce – giudicando in sede di rinvio in conseguenza dell’ annullamento pronunciato, limitatamente al capo A) e al trattamento sanzionatorio, dalla prima sezione della Corte di cassazione con sentenza n. 19416/2023 -in parziale riforma della decisione del G.U.P. del Tribunale di Lecce, che ha dichiarato NOME COGNOME colpevole, tra gli altri, del reato di cui all’art. 416 -bis commi 1, 2, 3, 4 e ultimo cod. pen., contestato al capo A), ha rideterminato il trattamento sanzionatorio e confermato nel resto la sentenza di primo grado.
1.1. Secondo la prospettazione accusatoria, NOME COGNOME avrebbe militato nella associazione mafiosa denominata ‘ Sacra Corona Unita ‘; in particolare, nella costola facente capo a NOME COGNOME secondo le fonti di prova costituite dalle convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME già affiliato al predetto clan, nel quale ha riferito essere inserito anche il Cito, e NOME COGNOME che ha narrato della iniziativa assunta dal Cito unitamente al NOME, consistita nell’intromettersi, su mandato di NOME COGNOME, e a scopo di illecito profitto, nella riscossione dei crediti vantati da NOME COGNOME (zia di NOME), nei confronti di tale Rutigliano. Tale episodio, secondo i giudici di merito, sarebbe evocativo della immanenza del dominio mafioso del clan COGNOME sul territorio e della caratura criminale di Cito, confermando, ab extrinseco, la veridicità di quanto esposto da NOME COGNOME nell’assegnare all’imputato il ruolo di stabile componente della associazione ex art. 416bis cod. pen., reso concreto dalla partecipazione al raid punitivo presso l’esercizio commerciale della sorella di NOME COGNOME
1.2. Con la sentenza rescindente, la Corte di cassazione ha considerato che:
le dichiarazioni di COGNOME, in certa misura riscontrate da quelle del Rutigliano, che ha confermato di avere consegnato, in una occasione, 4000 euro a NOME COGNOME presentatosi a nome di NOME COGNOME (marito della COGNOME), sono state invece smentite dalla zia NOME COGNOME che ha negato persino di conoscere l’imputato ;
che la totale inattendibilità delle dichiarazioni della persona offesa NOME COGNOME affermata dai giudici di merito -per quanto rafforzate dalle dichiarazioni individualizzanti di Rutigliano e, in minor misura, da quelle di NOME COGNOME – «avrebbero dovuto trovare completamento con la disamina del residuo, ma tutt’altro che marginale, profilo, attinente alla responsabilità di NOME COGNOME, che NOME COGNOME (riferendo ciò che egli assume essergli stato confidato dalla zia) indica come coautore di plurime minacce in danno dei coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME il quale, nondimeno, non risulta avere reso, al riguardo e per quanto consta, esaustive dichiarazioni».
1.3. Pertanto, la Corte di cassazione ha dato mandato al giudice del rinvio di tenere conto, quanto all’addebito associativo , «che la COGNOME ha decisamente escluso di avere subì to l’illecita intromissione di NOME COGNOME che ha detto di non conoscere; che anche COGNOME ha taciuto in ordine alle pressioni che -a dire di NOME COGNOME –NOME COGNOME e NOME COGNOME avrebbero esercitato a loro danno in più circostanze; che sempre stando al narrato di COGNOME, NOME avrebbe accompagnato COGNOME anche nell’attività di esazione presso Rutigliano .»
1.4. Con riguardo al trattamento sanzionatorio, la sentenza rescindente ha demandato al giudice del rinvio una nuova determinazione del trattamento sanzionatorio, sul rilievo che il primo giudice aveva erroneamente considerato quale reato più grave
l’associazione mafiosa rispetto a quella di cui all’art. 74 d.p.r. n. 309/1990 per la quale pure il Cito è stato condannato.
Con il ricorso in esame, il difensore dell’imputato, avvocato NOME COGNOME si affida a un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la decisione, con il quale denuncia erronea applicazione dell’art. 416 -bis cod. pen. e correlati vizi della motivazione con riguardo alla affermata partecipazione di Cito alla associazione mafiosa di cui al capo A).
2.1. Premette ricordando che il ragionamento della Corte di appello di Lecce si fonda sulla considerazione che le dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia NOME e NOME sono convergenti riguardo alla partecipazione di Cito nell’episodio della riscossione dei 4000 euro in danno della zia di NOME, e renderebbero minus-valenti le dichiarazioni della stessa vittima, che ha negato il coinvolgimento del COGNOME, che neppure conosceva, e del consorte, NOME COGNOME, che non ha mai parlato di pressioni ricevute dal Cito.
2.2. Deduce, quindi, che il ragionamento della Corte di appello sarebbe illogico e apodittico, perché non spiega in forza di quali motivi sarebbero trascurabili le dichiarazioni delle persone offese, laddove escludono qualsivoglia partecipazione del Cito nell’episodio della riscossione dei 4000 euro e, soprattutto, nell’ottica difensiva, si basa sull’errone o presupposto della convergenza delle propalazioni dei due collaboratori. Si sostiene, infatti, nel ricorso, che le dichiarazioni del collaborante NOME sarebbero intrinsecamente contraddittorie in merito al ruolo del Cito, laddove egli avrebbe, prima, affermato che la somma estorta era stata consegnata al ricorrente, poi divisa secondo le indicazioni del NOME; successivamente, avrebbe, invece, dichiarato che il Rutigliano era stato portato al suo cospetto da non meglio individuate persone, e che questi gli aveva consegnato il danaro. D’altro canto, contraddizioni e mergerebbero anche rispetto al propalato del Greco, che ha riferito che « fu anche NOME, più volte, a pretendere il denaro da sua zia », mentre NOME ha espressamente escluso un suo coinvolgimento diretto, solo chiamando in causa il ricorrente.
2.3. Lamenta, inoltre, la difesa ricorrente, che la Corte di appello non avrebbe tenuto conto della necessità dei riscontri estrinseci necessari ai fini del giudizio di attendibilità del Corrado, che non può beneficiare, con riguardo alla posizione di Cito, delle dichiarazioni delle vittime che hanno sempre smentito di avere ricevuto pressioni dal ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorrente formula censure afferenti esclusivamente alla responsabilità per il delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. (mentre, nulla deduce in merito al trattamento sanzionatorio, pure attinto dall’annullamento) e la sentenza impugnata ha ben illustrato gli argomenti in virtù dei quali, alla luce della rinnovata attività istruttoria, ha ritenuto superate le aporie individuate dal Giudice di legittimità, cosicchè non sono ravvisabili le denunciate illogicità.
La Corte di appello ha premesso di avere proceduto alla rinnovazione dell’ istruttoria, esaminando i collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME
2.1. Ha riportato le dichiarazioni rese dinanzi al Giudice di secondo grado da NOME COGNOME il quale ha riferito, in sintesi, che: dopo la sua scarcerazione avvenuta nel 2015 aveva ricevuto la visita dei NOME COGNOME, alla quale, – essendo egli a conoscenza che la stessa percepiva mensilmente 4500 euro da NOME COGNOME, il quale aveva acquistato una braceria da NOME COGNOME (nipote di NOME) aveva chiesto ‘un pensiero’, pari a 4000 4500 euro, che era stato, poi, materialmente consegnato dallo stesso COGNOME direttamente a NOME COGNOME ha precisato di non essersi mai recato presso la Greco, in quanto sottoposto a restrizione, potendo uscire di casa solo due ore al giorno; che non le ha mai rivolto minacce, in quanto donna; che la somma era stata poi suddivisa tra gli altri sodali dallo stesso NOMECOGNOME ha confermato che COGNOME è stato condotto presso di lui da alcuni ragazzi e che a lui disse che l’importo della cambiale, per quel mese, avrebbe dovuto consegnarla, invece che a NOME COGNOME, ai suoi uomini (di esso NOME). In sintesi, ha riferito di avere detto sia a NOME COGNOME, che si era recata presso di lui, che a Rutigliano, che era stato portato al suo cospetto dai ‘ragazzi’, che l’importo della cambiale doveva essere consegnata a lui, come in effetti è avvenuto, nel senso che Rutigliano ha consegnato il danaro a COGNOME, recatosi presso la sua braceria (del Rutigliano).
1.2. Quanto a COGNOME, la Corte di appello ha ricordato che egli ha riferito di avere aderito giovanissimo al gruppo di NOME; che, in seguito alla sua scelta collaborativa, aveva avuto un colloquio in carcere con la zia NOME, la quale gli aveva riferito di una pretesa di NOME, coinvolgendo anche NOME COGNOME anche se non aveva saputo riferire se la richiesta fu fatta alla zia da NOME e COGNOME insieme o separatamente; COGNOME ha anche precisato che, per come riferitole dalla zia, la medesima richiesta era stata rivolta anche al Rutigliano, nuovo titolare della braceria, dal quale si fecero consegnare 4000 euro.
1.3. Alla luce delle dichiarazioni rese dai due collaboratori nel giudizio di appello, così sintetizzate, la Corte territoriale ha, quindi, ritenuto che essi avessero riferito in maniera concorde della affiliazione del Cito al clan COGNOME e del suo coinvolgimento diretto,
insieme ad NOME COGNOME nella vicenda estorsiva/ritorsiva ai danni di NOME COGNOME, concretizzatasi nella materiale riscossione, da parte del Cito, della somma di 4000 euro, a lui consegnata direttamente dal Rutigliano.
1.4. Ha considerato, quindi, come validi elementi di riscontro, sia la chiamata in reità di NOME verso COGNOME, indicato quale autore dell’atto intimidatorio (con danneggiamento di un televisore ed esplosione di colpi di arma da fuoco) ai danni della sala giochi gestita dalla sorella e dal cognato del propalante, sia, con riguardo alla vicenda Rutigliano, il riscontro proveniente dalle dichiarazioni di quest’ultimo, che ha riferito di avere consegnato, in una occasione, 4000 euro al Cito.
1.5. Sulla base di tali elementi, la Cort e di appello ha ritenuto ‘ superata la carenza logica evidenziata dalla Corte di cassazione riguardo al non dover ritenere attendibile la reticenza della COGNOME, proprio in virtù delle odierne dichiarazioni di NOME COGNOME che ha sostanzialmente confermato il coinvolgimento del Cito nella vicenda estorsiva ai danni della zia del pentito’. Questo perché, ha precisato la sentenza impugnata, ‘ le convergenti dichiarazioni del NOME e di NOME COGNOME quanto ad affiliazione del Cito e coinvolgimento in uno specifico fatto estorsivo direttamente connesso all’associazione mafiosa (ritorsione per la scelta collaborativa di NOME COGNOME) costituiscono elementi di prova di rilievo, ai sensi dell’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen., nella loro reciproca conferma, che non devono avere necessariamente i requisiti richiesti per gli indizi a norma dell’art. 192, comma secondo, cod. proc. pen. e risultano sufficientemente precisi nella loro oggettiva consistenza e idonei a confermare, in un apprezzamento unitario, la prova dichiarativa ….). ‘ (pg. 8-9).
1.6. La Corte di appello ha, quindi, ribadito che il COGNOME (debitore di NOME COGNOME a seguito dell’acquisto della braceria ), nel confermare di avere concordato il pagamento mediante cambiali e di avere sempre consegnato i soldi ad NOME COGNOME (marito della COGNOME), ha dichiarato che si presentò da lui proprio NOME COGNOME al quale consegnò il corrispettivo della cambiale in scadenza per quel mese, e osservato che poco rileva che, sempre secondo le dichiarazioni del COGNOME, il Cito si presentò dicendogli che lo mandava COGNOME…e che fu lo stesso COGNOME a consegnarli, poco dopo, la cambiale, poiché, in una lettura unitaria dei dati, è possibile affermare che ‘ l’intromissione del Cito in quella riscossione non fu la conseguenza di un mero e lecito incarico, appunto, di riscossione conferito dal COGNOME, e la stessa disponibilità del COGNOME a restituire la ambiale va letta come compendio conclusivo della vicenda estorsiva, dovendo sottostare i coniugi COGNOME–COGNOME alla pretesa ritorsiva/estorsiva del clan ‘ ( pg.9).
Ritiene il collegio che la sentenza impugnata abbia colmato -con argomenti coerenti con le rappresentate fonti di prova, giuridicamente corretti e intrinsecamente logici – le
lacune motivazionali segnalate dalla Corte di cassazione, illustrando con argomenti del tutto razionali e agevolmente apprezzabili nella loro significatività logica, come le acquisite dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, apprezzate nella loro complessiva valenza, abbiano oscurato le contrastanti dichiarazioni della persona offesa e del marito, la cui valutazione di inattendibilità è stata ampiamente giustificata.
2.1. Non sono, quindi, ravvisabili aporie e illogicità nel costrutto argomentativo su cui è imperniata la decisione in esame.
Al rigetto del ricorso segue, ex lege , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, 26 giugno 2025