Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1898 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1898 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA, contro la sentenza della Corte di Assise di Appello di Napoli del 30.3.2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 5.6.2014 il GUP del Tribunale di Napoli, in esito a giudizio abbreviato, aveva riconosciuto NOME COGNOME responsabile del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., dell’omicidio in danno di NOME COGNOME e del tentato omicidio in danno di NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché, ancora, dei reati in materia di armi, a lui pure ascritti, e lo aveva di conseguenza condannato alla pena dell’ergastolo;
la Corte di assise di appello di Napoli, in riforma della sentenza di primo grado, aveva assolto l’NOME dai fatti di omicidio e di tentato omicidio e da quelli in materia di armi, per non aver commesso il fatto;
la Corte di RAGIONE_SOCIALEzione, con sentenza del 31.5.2017, aveva annullato la decisione della Corte di assise di appello nei confronti (tra gli altri) dell’NOME, limitatamente alla assoluzione per i capi E) e F) della rubrica rinviando, per nuovo giudizio, ad altra Sezione del medesimo ufficio;
la Corte di assise di appello di Napoli, giudicando in sede di rinvio a séguito dell’annullamento disposto dalla Corte di RAGIONE_SOCIALEzione quanto ai delitti di cui ai capi E) ed F) della rubrica, ha confermato la sentenza di primo grado e la pena dell’ergastolo con le conseguenti e già indicate statuizioni accessorie contenute nella sentenza di primo grado;
ricorre nuovamente per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore che deduce:
5.1 violazione di legge con riferimento agli artt. 533 cod. proc. pen. e 24 Cost.; manifesta illogicità della motivazione in ordine alla valutazione del dichiarato dei collaborati di giustizia; motivazione contraddittoria: riporta i capi d imputazione e le considerazioni svolte dalla Corte di RAGIONE_SOCIALEzione per giungere all’annullamento della sentenza di appello che aveva concluso per la riforma di quella di primo grado relativamente ai fatti di omicidio e di tentato omicidio (oltre che dei connessi delitti in materia di armi) osservando che la RAGIONE_SOCIALE aveva imposto di rivalutare la idoneità RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME a fungere da idoneo riscontro a quelle di NOME COGNOME; osserva che la Corte di appello, in sede di rinvio, ha tuttavia fornito, sul punto, una motivazione illogica e contraddittoria avendo insistito sulla attendibilità del collaborator NOME COGNOME (in quanto più volte beneficiario della speciale attenuante di cui all’art. 416-bis.1, comma terzo, cod. pen.) omettendo di considerare, da un lato, il principio – ormai consolidato – della “fraziorabilità” del dichiarato e, dall’alt che l’inizio della sua collaborazione risale all’ottobre del 2015 e che, coimputato nel medesimo procedimento, aveva avuto modo di accedere a tutti gli atti ivi compresi gli interrogatori del COGNOME e dell’COGNOME; richiava, inoltre, le
discrasie temporali segnalate dalla difesa del COGNOME in relazione all’omicidio avvenuto in Terracina il 23.8.2012 e, in particolare, la riferita difficoltà d COGNOME e dell’COGNOME a contattare la “batteria di fuoco” ed il loro ruolo di mandanti dei fatti del 28 agosto il che equivale ad introdurre un dubbio rilevante ai sensi dell’art. 533 cod. proc. pen.; aggiunge che le dichiarazioni di NOME COGNOME e da NOME COGNOME, sono frutto di quanto da costui appreso dallo stesso NOME COGNOME, con conseguente “circolarità” della prova; rileva, ancora, che le dichiarazioni di NOME COGNOME rendono temporalmente incompatibile la presenza degli imputati, in quei giorni, sul territorio napoletano, che viene infatti affermata dalla Corte territoriale in termini dubitativi, con impossibilità di andare “oltre ogni ragionevole dubbio”; richiama, ancora, le dichiarazioni di NOME COGNOME circa l’incontro avvenuto il 27 agosto e l’incarico conferito al “RAGIONE_SOCIALE di fuoco” sottolineando come si trattasse di circostanze note al dichiarante perché imputato nel medesimo processo; allo stesso modo, si deve ritenere per la informazione “di ritorno” fornita a COGNOME da parte del COGNOME, circostanza anch’essa appresa dagli atti processuali e riferita al fine di accreditare il proprio ruolo di collaboratore; conclude, pertanto, nel senso che la ricostruzione fornita da NOME COGNOME rimane priva di idonei riscontri;
6. la Procura Generale ha trasmesso le conclusioni scritte ai sensi dell’art. 23, comma 8, del DL 137 del 2020 concludendo per l’inammissibilità del ricorso: rileva, infatti, che nell’unico motivo di ricorso confluiscono plurime censure sull’apprezzamento RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME NOME e COGNOME NOME, ai fini del riscontro RAGIONE_SOCIALE propalazioni del collaboratore di giustizia COGNOME NOME sul mandato omicidiario, poste a fondamento della condanna dell’COGNOME ad opera del giudice di rinvio; segnala, a tal proposito, che: 1) la Corte territoriale si è uniformata ai principi di diritto ribaditi d Suprema Corte – nella sentenza rescindente – NOME regole di valutazione della portata RAGIONE_SOCIALE chiamante in correità, svolgendo un accurato esame del loro tenore e confutando i profili di asserita criticità in termini coerenti in diritto, implicazioni sia del giudicato progressivo, sia, ove richiamate nelle sentenze oggetto RAGIONE_SOCIALE produzioni documentali difensive, degli apprezzamenti positivi sull’attendibilità del collaboratore NOME; 2) quanto all’NOME, la Corte ha correttamente applicato il principio relativo all’onere motivazionale incombente sul giudice di merito laddove egli si conformi o si discosti da precedenti apprezzamenti operati in altre sentenze passate in giudicato; 3) il rilievo sulla “frazionabilità d dichiarato” risulta generico mentre non consentita è la deduzione sull’assenza di propalazioni in merito all’incontro del 27/8/2012, invece riportato – come dato che emerge dalla medesima sentenza poi in parte annullata con rinvio – nella pronuncia rescindente; 4) è preclusa la censura in termini di inattendibilità del dichiarato
dell’NOME, con riferimento all’inizio del percorso di collaborazione e alla connessa possibilità di conoscere le dichiarazioni in atti del COGNOME e dell’COGNOME, trattandosi di quesitone già risolta dalla Corte di Appello nella pronuncia oggetto di parziale annullamento con rinvio e, nel contempo, di rigetto quanto alla condanna dell’COGNOME in merito al delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., nemmeno proposta, sia pure con riferimento al delitto associativo, dall’COGNOME nel ricorso avverso la condanna per tale delitto; 5) meramente ripetitiva, rispetto all’analitica confutazione della medesima doglianza sollevai:a in appello dal coimputato COGNOME, appare la questione RAGIONE_SOCIALE discrasie temporali tra i racconti dei c.d.g. COGNOME NOME e COGNOME NOME; altrettanto dicasi per la questione della fonte RAGIONE_SOCIALE conoscenze del c.cl.g. NOME NOME NOME massime si esperienza; 6) le doglianze del ricorrente sembrano non tener conto del principio secondo il quale il sindacato di legittimità sulla valutazione RAGIONE_SOCIALE chiamate di correo non consente il controllo sul significato concreto di ciascuna dichiarazione e di ciascun elemento di riscontro, perché un tale esame invaderebbe inevitabilmente la competenza esclusiva del giudice di merito, potendosi solo verificare la coerenza logica RAGIONE_SOCIALE argomentazioni con le quali sia stata dimostrata la valenza dei vari elementi di prova, in sé e nel loro reciproco collegamento.
CONSIDERATO IN IDIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato su censure manifestamente infondate ovvero non consentite in questa sede.
1. NOME COGNOME era stato tratto a giudizio, unitamente a NOME COGNOME (e ad altri) per rispondere, al capo A), del delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. in qualità di “capo, costitutore, organizzatore”; al capo E), dei fatti d omicidio pluriaggravato (anche ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen. e, in particolare, per avere agito “… per agevolare il cartello RAGIONE_SOCIALE nella faida in corso con la fazione RAGIONE_SOCIALE“, con i connessi fatti in materia di armi di cui al capo F).
In particolare, l’COGNOME, unitamente a NOME COGNOME, a NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME (ed altri) era stato accusato di aver fatto parte, i primi due cori la veste di capi ed organizzatori dell’associazione camorristica, RAGIONE_SOCIALE famiglie RAGIONE_SOCIALE–RAGIONE_SOCIALE, sorta dalla scissione, a partire dall’aprile-maggio 2011, dal clan RAGIONE_SOCIALE, di cui era stata parte integrante, e alleatasi poi con le famiglie COGNOME, NOME
e COGNOME, per poi contrapporsi ad esse con una successiva scissione avvenuta a far data dal luglio 2012.
Il sodalizio mirava a mantenere il controllo sul terril:orio dei quartieri napoletani di Secondigliano e Scampia i:ovvero RAGIONE_SOCIALE zone denominate «Monterosa», «i Sette Palazzi», «RAGIONE_SOCIALE Bakù» e «i Puffi») ed a commettere una pluralità di reati (omicidi, estorsioni, traffico di droga, reati in materia di ar riciclaggio) per poi acquisirne gli illeciti profitti e vantaggi, con lo scopo principa di condurre la gestione di tutte le piazze di spaccio site nei suddetti quartieri, con la detenzione e lo spaccio di sostanze stupefacenti.
Le sentenze di merito avevano consentito di ricostruire le vicende, la composizione e l’attività dell’associazione suddetta, con il decisivo apporto RAGIONE_SOCIALE propalazioni provenienti da collaboratori che avevano rivestito ruoli all’interno del sodalizio (i fratelli NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME) o che erano stati componenti attivi del clan prima della scissione con i COGNOME (NOME COGNOME) o erano stati personaggi di spicco del clan avverso (NOME COGNOME e NOME COGNOME).
Era stato perciò possibile ricostruire le faide interne che avevano caratterizzato la vita e l’attività dei vari clan, che dal 2004 si erano avvicendati nel controllo del territorio di Secondigliano e Scampia, sino all’ennesima ultima spaccatura (la cosiddetta terza faida) tra le cinque famiglie camorristiche che si erano alleate nel 2011 per contrapporsi ai COGNOME, ovvero da un lato il RAGIONE_SOCIALE COGNOME
COGNOME
COGNOME–COGNOME e dall’altro quello dei COGNOME COGNOME, segnata dal duplice omicidio, nel gennaio 2012..
Era accaduto, quindi, che il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE si era organizzato con batterie di fuoco, posizionate nelle roccaforti presidiate (Monterosa, RAGIONE_SOCIALE Bakù, Sette Palazzi, Case dei Puffi), con l’unico obiettivo di eliminare i rivali COGNOME COGNOME per riaffermare il controllo del territorio.
1.1 Il primo giudice, sulla scorta RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni collaboratori, aveva evidenziato il ruolo attribuito ad NOME COGNOME quale esponente di spicco del clan, responsabile del sodalizio con il potere di individuare gli obiettivi da colpire nelle faide che avevano impegnato il RAGIONE_SOCIALE criminale per affermarne la supremazia sul territorio anche a séguito dell’ultima spaccatura intervenuta con i COGNOME COGNOME.
COGNOME‘COGNOME (con il COGNOME) era stato riconosciuto responsabile, in primo grado, quale mandante, anche dei fatti di omicidio e tentato omicidio di cui al capo E), materialmente ascritti a NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME,
con NOME COGNOME di supporto, nonché RAGIONE_SOCIALE connesse imputazioni relative alle armi, di cui al capo F).
Alle ore 18,20 del 28.8.2012, era stato rinvenuto presso il complesso Vela Celeste di Scampia il corpo di NOME COGNOME, attinto a morte da colpi di arma da fuoco; contestualmente erano stati ricoverati in ospedale NOME COGNOME e NOME COGNOME, entrambi raggiunti da colpi da arma da fuoco.
Le indagini avevano consentito di identificare l’arma utilizzata per l’agguato in quella già adoperata il 25 settembre 2011 per l’omicidio di NOME COGNOME, esponente rilevante affiliato del RAGIONE_SOCIALE; il fratello della vittima, NOME COGNOME, che aveva assistito ai fatti da un balcone, aveva descritto le modalità dell’agguato mentre soltanto il NOME COGNOME aveva fornito qualche indicazione sulla sua dinamica.
Un decisivo contributo era stato portato dalle propalazioni, intervenute nel novembre 2012, da parte dei fratelli NOME e NOME COGNOME e della loro madre NOME COGNOME oltre che da NOME COGNOME il quale, unitamente allo stesso NOME COGNOME, si era attribuito la paternità dell’agguato, rendendo dichiarazioni particolareggiate sulla fase organizzativa ed esecutiva e al contempo utili per individuare i complici e, in particolare, i mandanti (oltre che coloro ch avevano fornito un contributo post delictum).
Dichiarazioni indirette ma confermative di quanto riferito dai predetti erano state fornite da NOME COGNOME e da NOME COGNOME sia in merito a quanto appreso dagli autori materiali del reato sia, la seconda, alle condotte di cui ai capi G) ed H).
Di rilievo erano state considerate anche le dichiarazioni di NOME COGNOME su quanto appreso da appartenenti al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ed al suo rapporto personale con l’odierno ricorrente.
Era stato perciò possibile, per il primo giudice, ricondurre l’agguato nell’ambito della faida conseguente alla spaccatura intervenuta tra i gruppi RAGIONE_SOCIALE da un lato ed i RAGIONE_SOCIALE, dall’altro: l’obiettivo sarebbe stato individuato dai capi del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ovvero da NOME COGNOME e da NOME COGNOME; i killer NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME erano stati condotti in auto dopo l’agguato da NOME COGNOME presso la madre NOME COGNOME che, con NOME COGNOME, si era quindi occupata della distruzione RAGIONE_SOCIALE armi e dell’auto.
I mandanti erano stati individuati, per l’appunto, nell’NOME e nel COGNOME i quali avrebbero deliberato un vero e proprio stato di guerra, dopo l’attentato alla vita di NOME COGNOME che aveva platealmente smascherato il
tradimento dei NOME COGNOME, individuando gli esponenti della cosca concorrente da colpire e predisponendo batterie di fuoco funzionai’ al perseguimento di tale finalità.
Per l’operazione, che aveva come obiettivo NOME COGNOME, era stata incaricata la batteria di fuoco dei Sette Palazzi, prossima al territorio in cui s muovevano il COGNOME e gli altri due affiliati del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e, in particolare NOME COGNOME e NOME COGNOME, ai quali erano stati affiancati, in supporto, NOME COGNOME e NOME COGNOME, operativi presso la batteria di fuoco dei Puffi.
Il primo giudice aveva in sintesi ritenuto di poter attribuire la paternità del mandato omicidiario all’COGNOME ed al COGNOME in forza RAGIONE_SOCIALE convergenti dichiarazioni rese dal COGNOME, dai fratelli NOME e da NOME COGNOME, i quali avevano concordemente individuato il movente dell’agguato nella faida interna con il clan RAGIONE_SOCIALE, identificandone la genesi nell’agguato teso a NOME COGNOME, e gli obiettivi da colpire.
Concordemente i collaboratori (i fratelli NOME e NOME COGNOME, intranei al clan, e NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) avevano riferito NOME dinamiche interne al sodalizio per l’assunzione RAGIONE_SOCIALE decisioni sugli obiettivi da colpire e, in particolare, sulla figura dell’COGNOME come colui al quale era rimesso il potere di individuarli; dal canto suo COGNOME era stato identificato come colui che era a capo dell’organizzazione dei RAGIONE_SOCIALE, federata agli NOME, con un ruolo di primo piano quanto al potere di decidere gli omicidi da eseguire, organizzare le batterie di fuoco e gestire la cassa degli stipendi.
Il GUP aveva quindi riportato le dichiarazioni di NOME COGNOME, il quale aveva dichiarato di aver fatto parte della squadra formata da COGNOME, NOME, COGNOME, addetta alla postazione dei Sette Palazzi per monitorare l’arrivo degli obiettivi da colpire, ed a cui era stato trasmesso il messaggio dei capi COGNOME e COGNOME, risentiti perché nonostante fosse passato un mese e il trasferimento del COGNOME (fatto spostare ad hoc nella batteria per ordine dei capi perché più esperto negli omicidi), non avessero ancora colpito nessuno.
Lo stesso collaboratore aveva evidenziato che il giorno dopo l’esecuzione mortale aveva ricevuto da NOME COGNOME la ricompensa da consegnare agli altri killer, proveniente dai capi COGNOME e COGNOME, che erano gli unici ad avere la disponibilità della cassa del clan, e che lo stesso COGNOME lo aveva poi chiamato a RAGIONE_SOCIALE Bakù il giorno dopo l’agguato per riferirgli la soddisfazione di questi ultimi per quel che avevano fatto.
In definitiva, la sentenza di primo grado aveva affermato la riconducibilità del mandato omicidiario ai due capi fondata da un lato NOME dichiarazioni di COGNOMECOGNOME fonte diretta altamente qualificata, e trovato riscontro sia nella chiamata in correità di NOME COGNOME (de auditu unicamente rispetto al conferimento solenne dell’incarico, ma non anche quanto alla individuazione dei mandanti e alla fase esecutiva) sia nella chiamata in correità di NOME COGNOME, il quale, de relato sia dal fratello sia dal COGNOME, aveva confermato l’attendibilità di entrambi e la valenza probatoria quanto al fatto reato e alla riferibilità soggettiva dello stesso a COGNOME e COGNOME.
Dal canto suo, sempre secondo il AVV_NOTAIO aveva riferito de relato circostanze apprese sia da un componente della squadra dello RAGIONE_SOCIALE Bakù sia da taluni partecipi e dal COGNOME, indicando il ruolo di COGNOME, del COGNOME e dal COGNOME e dello stesso COGNOME (che si era occupato di monitorare i comportamenti RAGIONE_SOCIALE vittime per poi restare in attesa RAGIONE_SOCIALE informazioni circa l’esito dell’agguato, che aveva provveduto a riportare ad COGNOME).
1.2 La Corte di assise appello, nel confermare le condanne per gli altri imputati e per le restanti imputazioni, tra cui’ in particolare, quella associativa, aveva invece reputato inadeguati gli elementi acquisiti per affermare la responsabilità dell’COGNOME e del COGNOME quali mandanti e concorrenti per i fatti di cui ai capi E) e F).
Nel corso del giudizio di secondo grado, era stata disposta e si era dato corso alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con l’esame (sollecitato dal PM) del coimputato (in relazione al reato associativo) NOME COGNOME il quale, dopo la sentenza di primo grado, aveva iniziato a collaborare fornendo informazioni utili in ordine ai fatti, e con la citazione, quale teste, di NOME COGNOME, a sua volta sollecitata dalla difesa del COGNOME, ai sensi dell’art. 195 cod. proc. pen..
La Corte territoriale aveva operato un’attenta valutazione di attendibilità dei dichiaranti vagliando i rapporti esistenti tra loro ovvero i motivi sottesi all scelta collaborativa escludendo di poter mettere in dubbio la spontaneità e la autonomia RAGIONE_SOCIALE rispettive dichiarazioni come frutto di pregressi incontri o accordi, alla luce di alcune discrasie nelle versioni singolarmente fornite, come puntualmente evidenziate dalle stesse difese.
La stessa Corte di assise d’appello aveva preso atto che per tutti i restanti imputati in ordine al reato di cui al capo A) e anche per NOME – quanto ai fatti di omicidio e tentato omicidio, per i quali era proceduto separatamente – si era giunti a sentenza di condanna sulla base RAGIONE_SOCIALE fonti dichiarative utilizzate nel presente
procedimento e, in particolare, aveva escluso che la idoneità RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni del collaboratore NOME potesse essere minata dalla circostanza che la sua scelta collaborativa era intervenuta solo dopo la condanna di primo grado poiché costui, intraneo al sodalizio criminoso, non si era limitato ad ammettere i fatti per i quali era stato tratto a giudizio, ma aveva riconosciuto la sua diretta partecipazione per altri omicidi, estranei al processo in corso.
Aveva quindi respinto i gravami proposti nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME quanto ai reati di cui ai capi E) e G) escludendo che le denunciate divergenze nella ricostruzione dell’episodio, come emergenti dalle varie fonti dichiarative, ovvero di quanto dichiarato dai c:ollaboratori NOME COGNOME COGNOME COGNOME e il teste oculare NOME COGNOME, non riguardavano aspetti del nucleo centrale dell’episodio ben potendo trovare logica spiegazione in una non corretta percezione da parte del predetto teste, posizionato dal balcone della sua abitazione, che per la concitazione del momento aveva attribuito i colpi esplosi da ambo i lati della autovettura agli occupanti posizionati suoi sedili posteriori, credendo che quindi fossero in numero di quattro.
Aveva anche evidenziato la autonomia RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese dai collaboratori, in quanto il COGNOME, quando aveva iniziato a collaborare, si trovava in stato di fermo per un altro omicidio e non era a conoscenza di quanto solo pochi giorni prima aveva riferito NOME COGNOME.
La Corte di assise di appello, invece, con riguardo alla responsabilità dell’COGNOME e del COGNOME per i fatti di omicidio e di tentato omicidio, aveva ritenuto che le dichiarazioni del COGNOME, pur dettagliate in ordine all’episodio dell’agguato ed al mandato conferito da costoro, erano risultate tuttavia prive dei necessari riscontri esterni: aveva sostenuto che NOME COGNOME, pur confermando che COGNOME e COGNOME erano stati chiamati prima dell’agguato dai due capi, aveva parlato di un generico mandato ornicidiario – in quanto non riferito in modo specifico a COGNOME – e comunque di una informazione appresa de relato dalla stessa fonte primaria; il collaboratore aveva riferito infatti di aver appreso tal circostanza proprio da NOME e da NOME al loro ritorno dalla convocazione dai capi allo chalet Bakù dove i due erano stati rimproverati da COGNOME in quanto stavano lì da un mese e non avevano ucciso ancora nessuno; secondo la Corte di assise d’appello, poi, le dichiarazioni di NOME COGNOME si erano rivelate “estremamente generiche” poiché il collaboratore, componente del RAGIONE_SOCIALE di fuoco dello RAGIONE_SOCIALE Bakù, si era limitato ad affermare che qualche mese prima dell’omicidio aveva ricevuto personalmente da COGNOME ed COGNOME l’incarico di uccidere il COGNOME; aveva inoltre escluso di aver partecipato all’omicidio ma che il giorno prima si era incontrato allo RAGIONE_SOCIALE Bakù con tutti i vertici del clan RAGIONE_SOCIALE–
COGNOME–RAGIONE_SOCIALE, tra i quali COGNOME e COGNOME, i quali, a dire del COGNOME, mentre lui se ne era andato in vacanza loro erano rimasti lì a «cercare di ammazzare qualche rivale» ed avendo potuto assistere al colloquio intercorso tra i due e nel corso del quale l’COGNOME aveva affermato di aver mandato a chiamare “quelli dei Sette Palazzi”, ovverossia NOME COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, aggiungendo che “vediamo se sono capaci altrimenti andiamo noi e facciamo vedere in quanto tempo uccidiamo questi due scemi”; il giorno dopo, sempre secondo il racconto dell’NOME, il COGNOME aveva riferito che NOME e COGNOME avevano portato a termine l’incarico ma che, in ogni caso, avevano “faticato”.
La sentenza della Corte di assise di appello era stata impugnata, con ricorso per cassazione, dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Napoli che aveva dedotto vizio di motivazione e violazione di legge con riferimento all’art. 192 comma terzo, cod. proc. pen..
In particolare, la parte pubblica aveva criticato la sentenza nella parte in cui i giudici di secondo grado non avevano giudicato le dichiarazioni di NOME COGNOME un valido riscontro a quelle rese dal COGNOME e da NOME COGNOME che, invece, per la loro specificità, indipendenza ed autonomia genetica, ben potevano e dovevano essere considerate un valido riscontro individualizzante.
1.3 La SRAGIONE_SOCIALEC., con sentenza resa in data 31.5.2017 (Sez. 6, n. 40530), aveva accolto il ricorso del PG: aveva in primo luogo ribadito il principio della “libertà dei riscontri” la cui tipologia, non essendo predeterminata nella specie e nella qualità, può essere di qualsiasi tipo e natura e “… ricomprendere non soltanto le prove storiche dirette, ma ogni altro elemento probatorio, anche indiretto, legittimamente acquisito al processo ed idoneo, anche sul piano della mera consequenzialità logica, a corroborare, nell’ambito di una valutazione probatoria unitaria, il mezzo di prova ritenuto ex lege bisognoso di conferma”; in quest’ottica, i giudici della fase rescindente, richiamando le SS.UU. “Aquilina”, avevano ricordato che “… in tema di prova del mandato omicidiario, la indicazione di un possibile interesse dell’imputato al delitto, pur non potendo costituire, di per sé sola, riscontro estrinseco ed individualizzante della chiamata in correità, spiega una funzione orientativa …” e che, per altro verso, “… non è richiesto che i riscontro integri la prova del fatto, in quanto lo stesso perderebbe la sua funzione gregaria per tramutarsi nella prova principale, cla sola sufficiente, e per altro verso che l’elemento di riscontro individualizzante deve confermare non necessariamente in via diretta la condotta illecita ascritta all’accusato, bensì le dichiarazioni del propalante e quindi la loro attendibilità …”.
Era stato ribadito che il riscontro può riposare su qualunque elemento probatorio, diretto o indiretto, “… con l’unico limite … costituito dall’esigenza esso sia estraneo nel senso di provenienza ab externo rispetto alle dichiarazioni da confermare, dovendosi scongiurare una verifica tautologica, autoreferenziale ed affetta dal vizio della circolarità”.
La sentenza rescindente ha quindi affermato che la Corte di assise di appello, pur proclamando la propria adesione a tali consolidati principi, li aveva tuttavia in concreto disattesi essendosi limitata a vagliare la attendibilità del COGNOME ed a ricercare riscontri esterni “… che confermassero esclusivamente il suddetto mandato nei termini descritti da costui, senza portare la propria attenzione sulla valenza indiziante di altri elementi, che, in quanto dotati di connotazione individualizzante, si prestavano, complessivamente considerati e valutati, a confermare ab extrinseco in quanto con essa compatibili e di questa rafforzativi, l’attendibilità della chiamata in correità in relazione al coinvolgiment di costoro nei fatti-reato di cui si discute”.
Era stato perciò stigmatizzato l’errore in cui erano incorsi i giudici di seconde cure nel dare rilievo al fatto che nessuno dei collaboratori aveva potuto confermare di aver ricevuto lo specifico (in quanto riferito proprio alle persone che sarebbero state vittime dell’attentato del 28 agosto) mandato omicidiario ovvero di esserne a conoscenza “… non attribuendo, quindi, valenza dimostrativa ad altri seri e consistenti elementi fattuali, indicativi dello specifico e concreto contributo concorsuale degli imputati nella realizzazione del crimine”.
In tal senso erano state richiamate, invece, le dichiarazioni di NOME COGNOME, riportate nella stessa sentenza di appello, il quale “… aveva riferito di un incontro con COGNOME e COGNOME, avvenuto il giorno prima dell’omicidio in cui erano stati chiamati NOME e NOME allo RAGIONE_SOCIALE Bakù, mentre entrambi, con lo stesso dichiarante, già si trovavano nella postazione di osservazione allestita ad hoc nella Vela Celeste per la eliminazione degli obiettivi” e che “… al ritorno sia NOME che NOME … avevano riportato alla batteria lo scontento dei capi perché, nonostante fosse passato un mese dal loro insediamento, non avevano ancora ucciso nessuno (…), sollecitandoli quindi ad agire con l’eliminazione degli obiettivi (i gestori della piazza della Vela Celeste, segnatamente COGNOME, COGNOME ed un certo COGNOME)”.
La RAGIONE_SOCIALE aveva sottolineato che nella stessa sentenza impugnata si era dato atto “… che NOME (…) aveva riferito che COGNOME era il responsabile dello spaccio per i COGNOME nella Vela Celeste e che questi era, con NOME COGNOME, l’obiettivo da colpire nella lotta tra i due clan avversi e di aver partecipato il agosto 2012 alla riunione presso lo RAGIONE_SOCIALE Bak:ù nella quale si erano dati raccolta tutti i vertici RAGIONE_SOCIALE famiglie COGNOME
COGNOME
COGNOME, tra i quali i due cap
COGNOME e COGNOME; che in tale incontro i due lo avevano informato di aver «mandato a chiamare» i componenti del RAGIONE_SOCIALE di fuoco dei Sette Palazzi perché era da tempo che non commettevano nessun reato per impossessarsi della Vela Celeste e che loro puntavano a COGNOME o al COGNOME per creare un danno ai COGNOME, dichiarandosi l’COGNOME pronto a colpire i due personalmente se la batteria di fuoco non si fosse rivelata capace”; aveva aggiunto che lo stesso NOME aveva riferito “… di essere stato inviato al termine della suddetta riunione da COGNOME ad avvisare NOME COGNOME che erano stati mandati a chiamare quelli là dei Sette Palazzi e di fare sapere qualcosa al primo e che costui gli aveva risposto di aver avvisato NOME COGNOME e di occuparsi lui di informare il COGNOME; che il giorno dopo NOME COGNOME gli aveva detto che COGNOME, COGNOME e COGNOME avevano faticato nell’uccidere il COGNOME e ferire gli altri due, aggiungendo che stava andando da COGNOME e COGNOME a riferire che era tutto a posto …” e”… che aveva personalmente constatato la soddisfazione di questi ultimi per come NOME avesse realizzato l’omicidio, commentando ci hanno messo un po’ di tempo, però hanno fatto risultato uccidendo NOME COGNOME“.
Tanto premesso, la SRAGIONE_SOCIALE. aveva fatto presente che, con riferimento alle dichiarazioni di NOME COGNOME, era stata ancora una volta la stessa sentenza impugnata a ricollegare la fonte della conoscenza di quest’ultimo sulla provenienza del mandato da COGNOME e COGNOME “… non solo al COGNOME, ma anche al COGNOME, allorquando questi ultimi erano tornati dall’incontro del 27 agosto 2012 allo RAGIONE_SOCIALE Bakù con i suddetti capi” sicché “… è la stessa Corte territoriale ad aver escluso la natura esclusivamente circolare dell’informazione, in quanto proveniente da fonti dirette diverse”; per altro verso, era stata sempre la sentenza impugnata “… ad evidenziare che questi aveva confermato non solo l’oggetto della riunione tenuta dai due capi (…), ma soprattutto, per averlo udito personalmente, il loro messaggio di sollecitazione ad operare diretto al RAGIONE_SOCIALE di fuoco addetto al compito …” risultando perciò coerente con il quadro delineato “… la circostanza riferita dall’NOME sulla puntuale informazione di ritorno fornita al COGNOME da parte di COGNOME (tutto è a posto), all’esito dell’esecuzione compiuta dai killer, con correlata soddisfazione espressa da entrambi i capi”.
In definitiva, la sentenza rescindente aveva concluso nel senso che “… la Corte di assise di appello, pur a fronte di elementi di riscontro, indicativi dello specifico e concreto contributo concorsuale degli imputati COGNOME e COGNOME nella realizzazione dei reati di cui ai capi E) e F), ha erroneamente focalizzato la sua attenzione nella ricerca di elementi che confermassero lo specifico, personale, incarico ricevuto dagli esecutori direttamente da costoro” non considerando che “… nel caso di coincidenza col capo di un’organizzazione criminale di tipo mafioso direttamente interessato (come n caso di specie) all’eliminazione fisica degli autori
della scissione intervenuta nel nucleo originario degli affiliati, può legittimamente connotarsi di un margine di determinatezza meno stringente quanto ai relativi contenuti: il mandato generico impartito dal capo di un’organizzazione mafiosa di eliminare i componenti di un clan rivale comporta il necessario concorso del mandante negli omicidi commessi, senza che il margine di indeterminatezza inerente al mandato possa ritenersi incompatibile col principio di colpevolezza, trattandosi di incarico relativo a un ambito definito di possibili vittime imponendosi, perciò, “… l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui ai capi E) ed F) della rubrica nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME per nuovo giudizio che tenga conto, nella valutazione del complessivo quadro probatorio, dei principi suddetti”.
Rileva il collegio che, nel caso di specie, la Corte di assise di appello, che ha giudicato in sede di rinvio, si è conformata ai principi sopra richiamati dando correttamente séguito ai rilievi formulati nella sentenza rescindente alle cui considerazioni si è coerentemente adeguata.
Ha spiegato che la S.RAGIONE_SOCIALE. aveva ritenuto necessario un approfondimento NOME dichiarazioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME nel senso, tuttavia, della loro sostanziale convergenza circa la individuazione dei due capi del sodalizio, COGNOME e COGNOME, quali mandanti della spedizione del 28 agosto e sulla individuazione RAGIONE_SOCIALE vittime, identificate in esponenti del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE da colpire ad opera del RAGIONE_SOCIALE di fuoco dei “sette palazzi”.
Ha quindi riportato le dichiarazioni di NOME COGNOME, escusso soltanto in secondo grado, NOME intenzioni dei vertici del RAGIONE_SOCIALE e sul fatto di aver personalmente udito COGNOME e COGNOME parlare della necessità di colpire il RAGIONE_SOCIALE del COGNOME; del pari ha riportato le dichiarazioni di NOME COGNOME relative al giorno precedente i fatti quando NOME e NOME erano stati convocati allo RAGIONE_SOCIALE Baku e, al loro ritorno, avevano riportato lo scontento dei capi (COGNOME e COGNOME) per la loro inerzia con la correlativa e conseguente sollecitazione ad operare per eliminare gli obiettivi individuati nel COGNOME, nel COGNOME ed in un certo “COGNOME“.
La Corte territoriale ha quindi richiamato le dichiarazioni dell’NOME quanto al fatto che era stato lo stesso COGNOME ad avvisare NOMECOGNOMEiccarelli che erano stati mandati a chiamare “quelli là dei palazzi” e che il giorno dopo NOME COGNOME aveva detto ad NOME che COGNOME, NOME e NOME avevano “faticato” per portare a termine l’omicidio, avendo infine potuto constatare direttamente la soddisfazione di COGNOME e COGNOME.
Quanto all’COGNOME, i giudici della fase rescissoria hanno sostenuto che era stata direttamente la Corte di RAGIONE_SOCIALEzione a far presente che la “fonte” RAGIONE_SOCIALE sue dichiarazioni era il COGNOME e non (soltanto) il COGNOME, escludendosi, in tal modo, ogni profilo di “circolarità”.
Al di là di questi specifici elementi di riscontro (ovvero le dichiarazioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME alla cui valutazione positiva ha ritenuto di essere “vincolata” dalla sentenza rescindente), la Corte di assise di appello, in coerenza con le considerazioni svolte dalla RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE., ha richiamato, quali elementi di riscontro indiretto, la posizione apicale di COGNOME e COGNOME che, nel presente processo, è stata oggetto di conferma definitiva proprio dalla Corte di RAGIONE_SOCIALEzione con la sentenza di annullamento quanto al fati:o omicidiario tanto da essere stata massimata proprio sul punto del “concreto esercizio” del ruolo apicale da parte degli odierni ricorrenti.
Ha inoltre richiamato le produzioni documentali della difesa, ammesse nella fase rescissoria e che, a suo avviso, finiscono per corroborare l’assetto organizzativo del sodalizio, l’articolazione dei gruppi di fuoco ed il contrasto acceso con i rivali della COGNOME–COGNOME così da fornire un sia pure indiretto riscontro all propalazioni concernenti il mandato conferito dall’COGNOME e dal COGNOME al
“RAGIONE_SOCIALE di fuoco”: ha richiamato, a tal proposito, l’omicidio di NOME COGNOME
(occorso in Terracina il 23.8.2012) e di NOME COGNOME (avvenuto in Napoli
1’8.10.2012) a conforto della divisione in gruppi e della posizione di primazia dei due imputati spiegando, anzi, che la stessa assoluzione del COGNOME per l’omicidio COGNOME era tuttavia partita dal presupposto della indispensabilità del
suo assenso per l’iniziativa.
Ha in particolare sottolineato che era stato proprio NOME COGNOME, che aveva già meritato il riconoscimento della attenuante di cui al terzo comma dell’art. 416-bís.1 cod. pen. in quanto giudicato pienamente attendibile, ad orientare la assoluzione del COGNOME, essendosi assunto la responsabilità materiale del fatto ed avendo riferito che lo stesso COGNOME si era complimentato con lui per l’iniziativa che aveva adottato anche senza il suo assenso.
La Corte di assise di appello non ha omesso di affrontare le discrasie temporali già evidenziate dalla difesa del COGNOME (e, ad onor del vero, non da quelle dell’COGNOME) ed ha riportato le dichiarazioni di NOME COGNOME sul fatto di aver rivisto COGNOME dopo un po’ dall’omicidio e l’COGNOME dopo più giorni perché egli (COGNOME) “rimaneva nel Monte Rosa”; ha riportato, inoltre, le dichiarazioni di NOME COGNOME, il quale aveva riferito di avere incontrato i due 15-20 giorni prima dell’omicidio del 23 agosto (Terracina), ed ha motivato sulla sostanziale “conciliabilità” RAGIONE_SOCIALE rispettive versioni; ha per altro verso richiamato quanto riferito da NOME COGNOME circa la difficoltà di incontrare i due capi nei quindici giorni successivi all’omicidio avvenuto in quel di Terracina ed a contattare la “batteria di fuoco” avendo appreso da NOME COGNOME che i due erano “ancora fuori”.
Tanto premesso, rileva il collegio che le doglianze articolate dalla difesa dell’COGNOME sono manifestamente infondate ovvero, comunque, non consentite in questa sede.
3.1 In tal senso si deve infatti ritenere quanto al rilievo secondo cui le propalazioni dell’COGNOME non sarebbero idonee a riscontrare il COGNOME in quanto il primo aveva intrapreso il suo percorso di collaborazione soltanto dopo il primo grado del processo cui aveva partecipato in qualità di coimputato (per il capo A) avendo avuto modo di venire a conoscenza di tutte le dichiarazioni che vi erano confluite; secondo la difesa, dunque, la Corte di assise di appello avrebbe valorizzato le dichiarazioni del predetto NOME, già giudicato attendibile in altri giudizi, senza tuttavia tener conto del principio di “frazionabilità dell’apprezzamento del contributo dichiarativo.
Rileva allora il collegio che, come già accennato, era stata la sentenza rescindente a dar conto del fatto che già la Corte di assise di appello, nella sentenza impugnata, aveva preso in esame la questione del momento in cui
l’NOME aveva intrapreso il suo percorso di collaborazione con la giustizia,
escludendo, tuttavia, che la sua veste di imputato nel medesimo processo potesse
inficiare in qualche modo la genuinità RAGIONE_SOCIALE sue propalazioni atteso che il predetto non si era limitato ad ammettere i fatti per i quali era stato tratto a giudizio ma si era accusato di altri omicidi, estranei al processo in corso (cfr., pag. 12 della
sentenza rescindente).
Per questa ragione, dunque, la RAGIONE_SOCIALE aveva richiamato le dichiarazioni del collaboratore ribadendone la idoneità a riscontrare quelle del COGNOME, senza nuovamente affrontare il problema, che non era stato sollevato, della loro “genuinità” rispetto ad altri contributi forniti dall’NOME e che gli avevano meritato l’attenuante della collaborazione.
È inoltre appena il caso di ribadire che la possibilità di una valutazione “frazionata” RAGIONE_SOCIALE propalazioni dei collaboratori (giudicati cioè attendibili per una parte della loro narrazione ed inattendibili per altri fatti) è tuttavia legata al fa che alla parte ritenuta attendibile possa essere riconosciuta una sua autonomia e, soprattutto, che il giudice sia in grado di motivare specificamente con riguardo alla parte della narrazione del dichiarante che fosse risultata smentita, pur formulando o ribadendo un giudizio positivo sull’attendibilità soggettiva (cfr., Sez. 1, n. 40000 del 10/07/2013, Pompita, Rv. 256917 – 01).
Questa Corte ha inoltre più volte puntualizzato che, in tema di valutazione RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia già esaminato in altro procedimento, il giudice, pur non essendo vincolato dalle valutazioni positive espresse in precedenti sentenze irrevocabili, deve, comunque, tenerne conto fornendo una puntuale motivazione ove intenda discostarsi dal precedente giudizio (cfr., Sez. 2, n. 13604 del 28/10/2020, COGNOME, Rv. 281127 – 04; Sez. 1 – , n. 8218 del 29/01/2019, COGNOME, Rv. 274917 – 02).
3.2 Altrettanto manifestamente infondato è il rilievo con cui vengono ribadite le considerazioni svolte in appello (ancora una volta, va detto, dalla difesa del COGNOME e non già dell’COGNOME), in relazione all’omicidio avvenuto in Terracina il 23.8.2012 e, in particolare, alla riferita difficoltà del COGNOME dell’COGNOME a contattare la “batteria di fuoc:o” ed il loro ruolo di mandanti dei fatti del 28 agosto.
Ebbene, ferme le dichiarazioni dei collaboratori, reciprocamente riscontrate, circa la “convocazione” del RAGIONE_SOCIALE di fuoco avvenuto il giorno 27 agosto, la Corte di assise di appello ha congruamente spiegato che tale evenienza non è affatto in contrasto con il fatto che i due capi del sodalizio, dopo l’omicidio in Terracina, avessero adottato RAGIONE_SOCIALE opportune cautele, in quanto “… il ruolo degli odierni imputati non è di partecipi all’esecuzione materiale e non presuppone,
dunque, la loro presenza fisica sul posto” (cfr., pagg. 8-9 della sentenza qui in verifica).
In definitiva, la confermata e ribadita attendibilità dei dichiaranti quanto al conferimento del mandato omicidiario in data 27 agosto non è stata superata o messa in crisi dagli elementi addotti dalla difesa e che, con motivazione “in fatto” e, nel contempo, non manifestamente iliogica o intrinsecamente contraddittoria, sono stati valutati come non suscettibili di introdurre un “ragionevole dubbio” sulla responsabilità del ricorrente.
E’ d’altra parte pacifico la regola di giudizio compendiata nella formula “al di là di ogni ragionevole dubbio” non può essere invocata in sede di legittimità dove rileva esclusivamente quando la sua violazione finisca con il tradursi nella illogicità manifesta e decisiva della motivazione della sentenza, non avendo la Corte di cassazione alcun potere di autonoma valutazione RAGIONE_SOCIALE fonti di prova (cfr., in tal senso, tra le altre, Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, D’Urso, Rv. 270108 01).
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della RAGIONE_SOCIALE, non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Così deciso in Roma, il 15.12.2023