Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23804 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 23804 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOMECOGNOME nato a Bari il 06/04/1987
avverso l’ordinanza del 19/12/2024 del Tribunale del riesame di Bari letti gli atti, il ricorso e l’ordinanza impugnata; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udite le conclusioni dei difensori, Avv. NOME COGNOME e Avv. NOME COGNOME che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
I difensori di NOME COGNOME ricorrono per l’annullamento dell’ordinanza indicata in epigrafe con la quale il Tribunale del riesame di Bari ha confermato l’ordinanza custodiale emessa il 26 novembre 2024 dal Giudice per le indagini preliminari presso il medesimo Tribunale per il reato di cui all’art. 416bis cod. pen. in particolare, per la partecipazione al gruppo degli scissionisti, capeggiato da COGNOME NOME, nato dalla scissione di alcuni fedelissimi dall’associazione mafiosa denominata clan COGNOME, di cui il COGNOME era organico
quale affiliato di COGNOME NOME con il grado di “quarta” fino all’inizio dell guerra di mafia scatenata dal Busco, che nel 2017 mirava ad occupare il vuoto creatosi dopo l’arresto dei vertici del clan COGNOME-Palermiti.
Il ricorso si articola in tre motivi.
1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione degli artt. 273, 187, 178 lett. c) cod. proc. pen. per avere il Tribunale valorizzato un dato non pertinente, attribuendo rilevanza alla affiliazione del COGNOME al clan COGNOME, non compreso nell’imputazione. In tal modo è stata illegittimamente ampliata la base indiziaria al contributo dichiarativo dei collaboratori di giustizia COGNOME, COGNOME e COGNOME, i quali avrebbero riferito dell’affiliazione del ricorrente al cl COGNOME per ricevere protezione dalle aggressioni provenienti dal clan COGNOME. Si deduce che del clan COGNOME non vi è alcuna prova in atti né al ricorrente è contestata l’appartenenza a detto clan, che lo stesso Tribunale reputa avvenuta nell’ottobre 2019 ovvero due anni dopo la disgregazione del gruppo Busco, collocabile nell’aprile del 2017, dopo l’omicidio di COGNOME NOME e la fuga del Busco.
1.2. Con il secondo motivo si contesta la violazione di legge e plurimi vizi della motivazione in relazione al reato associativo e agli elementi valorizzati nell’ordinanza, privi di rilevanza indiziaria.
1.2.1. Quanto all’affermazione che il COGNOME e il COGNOME sapessero dell’agguato, contenuta nella sentenza della Corte di assise di appello di Bari, passata in giudicato il 3 dicembre 2024, che assolveva il ricorrente dal concorso nell’omicidio di COGNOME NOME e dal tentato omicidio di COGNOME NOME, avvenuti il 6 marzo 2017, se ne contesta la rilevanza in chiave associativa e si rimarca il mancato rilievo attribuito al giudizio di inattendibilità espresso in dett sentenza alle chiamate in reità dei collaboratori Telegrafo, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, contraddittoriamente ricavandone la conferma dell’inserimento del ricorrente nel gruppo armato del Busco e la partecipazione a riunioni importantissime, delle quali nulla è precisato. A fronte delle specifiche censure difensive, il Tribunale ha esteso al ricorrente il contenuto della sentenza assolutoria con riferimento al conflitto armato tra il gruppo Busco e il clan COGNOME senza indicare gli indizi individualizzanti a carico del Signorile;
1.2.2. quanto all’estorsione ai danni di COGNOME NOME il Tribunale ha valorizzato le dichiarazioni del COGNOME senza avvedersi che questi chiamava in causa solo il COGNOME e il COGNOME sicché la chiamata del COGNOME non era riscontrata;
1.2.3. quanto alle offese pubblicamente dirette al capo clan NOME COGNOME e a suo fratello NOME, il Tribunale non si avvede che dalla trascrizione del colloquio del 10 maggio 2017 non emerge alcun riferimento al ricorrente;
1.2.4. quanto alle presunte ritorsioni subite dai familiari del ricorrente ad opera dei componenti del clan avverso si segnala che il colloquio in carcere del 16 maggio 2017 con il padre dimostra che nessuno dei dialoganti metteva in relazione l’estorsione con la partecipazione del ricorrente al gruppo degli scissionisti; anzi, emerge un elemento di segno contrario ovvero le attenzioni rivolte al ricorrente da NOME incompatibili con la presunta affiliazione al gruppo Busco;
1.2.5. quanto alle chiamate in reità provenienti dai collaboratori COGNOME COGNOME e COGNOME rese nel procedimento di cui il presente costituisce stralcio e, pertanto, le uniche valorizzabili ai fini della gravità indiziaria generica l’affermazione relativa alle decisioni che ne avrebbero statuito l’attendibilità soggettiva e oggettiva; è omessa la valutazione dell’allarmante personalità dei dichiaranti. destinatari di ordinanza cautelare del GIP di Genova in data 5 novembre 2024 per aver costituito un’associazione per delinquere dedita alle rapine e al traffico di stupefacenti, che ne mina l’attendibilità, ma con motivazione illogica il Tribunale ha ritenuto irrilevanti tali circostanze, sostenendo che il COGNOME aveva reso dichiarazioni in epoca precedente alla commissione dei reati contestati nella recente ordinanza cautelare, trascurando che il COGNOME aveva reso dichiarazioni accusatorie in epoca più recente. Anche le dichiarazioni del COGNOME, ritenute attendibili, nonostante il giudizio negativo espresso nella sentenza della Corte di assise di appello di Bari, in realtà non riguardano l’imputazione, essendo relative al passaggio del ricorrente nelle fila del clan COGNOME.
Anche le dichiarazioni di altri collaboratori che hanno riferito del cambio di padrino del ricorrente, passato al clan COGNOME, valorizzate dal Tribunale, non sono idonee a sorreggere il giudizio di gravità indiziaria in ordine alla partecipazione del ricorrente al gruppo degli scissionisti né ne viene valutata l’attendibilità. Infatti, COGNOME NOME, estraneo alla associazione di c all’imputazione, ha riferito del ferimento in carcere del ricorrente ad opera di un marocchino asseritamente affiliato al clan COGNOME e della gambizzazione del cognato del ricorrente, che il Tribunale inserisce nello scontro militare tra il gruppo COGNOME e il clan COGNOME–COGNOME, ma non vi è alcun riscontro del traffico di stupefacenti gestito dal carcere dal ricorrente né alcun apporto pertinente all’accusa. Analoghe censure valgono per il dichiarato dei collaboratori COGNOME NOME (quanto al ferimento del ricorrente nel carcere di Matera e al ritrovamento di un cellulare), COGNOME, COGNOME NOME COGNOME Michelangelo- ritenuti inattendibili dalla Corte di assise di appello di Bari- e la non pertinenza della presunta ritorsione posta in essere nei confronti di COGNOME Riccardo in assenza di riscontri e stante la distanza temporale
intercorsa tra la disgregazione del gruppo Busco e l’episodio riferito dai collaboratori Telegrafo e COGNOME, avvenuto il 6 novembre 2019.
Con il secondo motivo si denunciano la violazione di legge e vizi della motivazione in punto di esigenze cautelari in relazione alla disgregazione del gruppo, che l’imputazione colloca nel dicembre 2017, quindi, ben 8 anni fa. Durante tale periodo vi è solo l’arresto del 15 dicembre 2019 per detenzione di un’arma comune da sparo per cui il COGNOME è stato giudicato e condannato e detenuto in carcere sino al febbraio 2024, quando ottenne gli arresti domiciliari e in seguito l’ulteriore attenuazione della misura. L’ordinanza illogicamente fa riferimento all’adesione al clan COGNOME, la cui esistenza non è provata ed in assenza di formale contestazione, valorizza generiche condotte di traffico di stupefacente successive al 2017 di cui hanno riferito i collaboratori, ma del tutto prive di riscontro al pari del presunto coinvolgimento del ricorrente nella detenzione di stupefacenti accertata a carico di COGNOME NOME, arrestato il 7 agosto 2024 per detenzione di 32 grammi di cocaina.
Manifestamente illogica è la motivazione sulla scelta della misura fondata su elementi inidonei, avuto riguardo: al risalente precedente per evasione, non ritenuto ostativo dalla Corte di assise, che concedeva gli arresti domiciliari a fronte della più grave accusa di omicidio; al possesso di cellulari durante la detenzione per cui ha riportato condanna a pena pecuniaria; agli inesistenti riscontri della presunta affiliazione del COGNOME effettuata mediante videochiamata e alla insussistente latitanza del ricorrente, sottoposto alla misura cautelare nel procedimento in oggetto il 2 dicembre 2024.
Con nota del 9 aprile 2024 la difesa ha depositato la documentazione relativa ad atti indicati nel ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato, ai limiti dell’inammissibilità nella misura in cui propone una lettura selettiva e orientata del materiale probatorio, in particolare, delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
La prima critica che il ricorso muove all’ordinanza riguarda il metodo di impostazione e di analisi ricostruttiva, che avrebbe illegittimamente ampliato la base indiziaria, estendendola ad elementi non collegati all’imputazione provvisoria, riguardanti la presunta affiliazione del ricorrente al clan COGNOME, del tutto diverso dal gruppo degli scissionisti, oggetto di incolpazione, quindi, ininfluenti ai fini della gravità indiziaria.
Da questo primo rilievo critico discende la selezione delle uniche dichiarazioni utilizzabili, a parere della difesa, in relazione all’oggetto della
contestazione ovvero quelle dei collaboratori NOME e COGNOME, tuttavia, inattendibili sia soggettivamente che oggettivamente, risultando le altre ugualmente inattendibili, ma anche non pertinenti perché relative a condotte successive al fatto contestato.
Si tratta di obiezioni infondate, in quanto, come si dirà, l’ordinanza attribuisce rilievo al p -assaggio del ricorrente al clan COGNOME, di cui hanno riferito più collaboratori appartenenti a detto clan, che hanno ascritto detto passaggio proprio alla pregressa appartenenza del ricorrente al gruppo Busco e alle ritorsioni dallo stesso subite, direttamente o indirettamente, a seguito del fallimento della faida interna scatenata dal Busco per eliminare il gruppo Palermiti, trattandosi di informazioni ritenute confermative del fatto oggetto della contestazione cautelare.
Anche le ulteriori censure relative alla attendibilità soggettiva e oggettiva dei collaboratori, che si sostiene non essere stata esaminata nell’ordinanza genetica né valutata dal Tribunale alla luce delle puntuali criticità evidenziate in sede di riesame, sono infondate.
Tale verifica risulta effettuata dal primo giudice (pag. 21-30 ordinanza), anche con riferimento al giudizio positivo espresso in altri provvedimenti giudiziari. La censura di genericità del riferimento a tali provvedimenti è infondata, avuto riguardo ai procedimenti elencati dal Giudice per le indagini preliminari, richiamati nell’ordinanza impugnata (pag. 54), relativi al COGNOME, fonte qualificata, titolare di dote di grado elevato- la settima di ‘ndrangheta-, alle dirette dipendenze di Palermiti NOME. Il giudice ha, inoltre, dato atto dei ruoli e del livello dei dichiaranti nelle fila del clan COGNOME–COGNOME, giustificativo d patrimonio di conoscenza delle vicende interne successive all’arresto dei vertici nel marzo 2016, con particolare riguardo al tentativo di scalata del Busco, cui aveva aderito il ricorrente, appartenente allo stesso gruppo dei chiamanti, originariamente unico, poi suddivisosi in due compagini alleate, dominanti nel quartiere Japigia di Bari (v. pag.10 ordinanza impugnata)
Anche il Tribunale ha affrontato il tema, escludendo dubbi sulla genuinità e affidabilità delle chiamate in reità sia per la precisione delle circostanze riferite, sia per la provenienza dichiarativa da più fonti, anche esterne al clan COGNOME, come gli affiliati al clan COGNOME, protagonisti diretti delle vicend narrate e, pertanto, fonti privilegiate di conoscenza, sia per la presenza di riscontri risultanti da colloqui intercettati.
3.1. Motivatamente respinto è il tentativo difensivo di svalutare la credibilità del COGNOME, in quanto destinatario- insieme al COGNOME – di una recente ordinanza custodiale emessa dal GIP presso il Tribunale di Genova per
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associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, che ne minerebbe l’attendibilità soggettiva.
Il Tribunale ha correttamente escluso l’incidenza di tale dato successivo sulle dichiarazioni rese in epoca precedente sui fatti in esame, non potendo ritenersi retroattivamente travolto il dichiarato dal livello di pericolosità e di spregiudicatezza espresso dai più recenti reati commessi durante la sottoposizione a regime di protezione. Il Tribunale ha, infatti, richiamato la genuinità delle dichiarazioni auto e etero accusatorie rese dal COGNOME, dal COGNOME e dal COGNOME nel procedimento di cui il presente costituisce uno stralcio e di cui offre conferma anche la sentenza allegata al ricorso, da cui risulta che il COGNOME si è autoaccusato di aver ucciso per vendetta il COGNOME e di aver organizzato ritorsioni nei confronti del ricorrente, in quanto appartenente al gruppo Busco e ritenuto autore dell’omicidio Gelao.
Altrettanto correttamente è stato richiamato l’orientamento di questa Corte sulla inidoneità di contraddizioni marginali a minare l’attendibilità dei collaboratori, sottolineando che persino l’accertata falsità di uno specifico fatto narrato dal dichiarante- il che nella fattispecie non è- non impedisce la valorizzazione delle parti ulteriori di un suo racconto più complesso, a condizione che queste siano supportate da precisi riscontri, anche non specifici, ma comunque idonei a compensare il difetto di attendibilità soggettiva (Sez.1, n. 26966 del 01/12/2022, dep. 2023, NOME, Rv. 284836).
3.2. Analogamente giustificato è il rigetto della censura di inattendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori COGNOME, COGNOME e COGNOME alla luce del giudizio negativo espresso dalla Corte di assise di appello di Bari nella sentenza relativa all’omicidio del Gelao, conclusasi con l’assoluzione del ricorrente – e del Monti, ai sensi dell’art. 530, secondo comma, cod. proc. pen. per non aver commesso il fatto-, avendo il Tribunale ritenuto irrilevanti le dichiarazioni contraddittorie rese in relazione al coinvolgimento del COGNOME nell’omicidio Gelao, trattandosi di vicenda diversa da quella oggetto di accertamento in sede cautelare.
Va, comunque, rilevato che la censura è prospettata in termini generici e aspecifici perché rimanda alla sentenza allegata, senza evidenziare i passaggi argomentativi che sorreggono il giudizio di inattendibilità dei collaboratori, senza spiegare se si tratti di inattendibilità soggettiva o oggettiva e senza dare atto che, ad esempio, dalla stessa emerge che la fonte da cui il COGNOME e il COGNOME appresero i fatti era lo stesso COGNOME (pag. 26).
Peraltro, anche sul punto la difesa valorizza solo alcuni dati estrapolati dalla sentenza della Corte di assise allegata al ricorso, trascurando che, come ritenuto dal Tribunale, la sentenza convalida l’impostazione accusatoria quanto a ricostruzione della genesi della faida scatenata dal progetto del Busco e alle
ritorsioni di cui fu destinatario indiretto il COGNOME, ritenuto coinvol nell’omicidio del Gelao e nel tentato omicidio del COGNOME (pag. 50 sentenza allegata).
Il Tribunale ha, invece, valorizzato, soprattutto, il giudizio, ormai definitivo, espresso dalla Corte di Assise sulla certa conoscenza dell’agguato da parte del ricorrente e del Monti, che avevano spento i cellulari durante il periodo di commissione del delitto e indotto il COGNOME a rendere un falso alibi. Ciò che è stato ritenuto rilevante, ai fini della valutazione della gravità indiziaria della partecipazione associativa, è la circostanza che, pur non essendo stata ritenuta provata la presenza sul luogo dell’attentato del ricorrente e del Monti e la loro partecipazione materiale al delitto, la sentenza ha ritenuto accertata la consapevolezza del ricorrente dell’iniziativa omicidiaria, che si inseriva nella strategia e nella contrapposizione armata tra le consorterie criminali facenti capo a COGNOME NOME e al COGNOME, ricostruita sulla scorta delle dichiarazioni dei collaboratori e delle risultanze delle intercettazioni telefoniche.
Coerentemente il Tribunale ha concentrato l’analisi sul fatto oggetto di accertamento cautelare, riguardante la partecipazione del COGNOME al gruppo degli scissionisti, nato nel 2017 dall’iniziativa del Busco e da cui ebbe origine la guerra di mafia e la catena di omicidi innescata dall’omicidio del COGNOME, grosso fornitore di droga sottratto dal COGNOME al clan COGNOME, che ne aveva decretato la morte, avvenuta il 17 gennaio 2017, cui era seguito, in riposta, l’omicidio del Gelao e il tentato omicidio di Palermiti NOME il 6 marzo 2017 e appena un mese dopo l’omicidio del COGNOME del gruppo Busco, cui avevano fatto seguito la fuga di questi e una serie di ritorsioni nei confronti dei fedelissimi del Busco, tra cui il ricorrente, che proprio a causa di episodi estorsivi e danneggiamenti commessi nei confronti dei familiari, di suoi fiduciari e persino nei suoi durante la detenzione, si era in seguito affiliato al clan COGNOME, egemone nel quartiere San Paolo, meditando vendetta ed organizzando una spedizione punitiva nei confronti di esponenti del clan COGNOME.
3.3. A fronte di tale puntuale ricostruzione della storia criminale del ricorrente in base all’apporto dichiarativo di più fonti convergenti, che hanno militato nei diversi clan operanti nel territorio barese, risulta, come già detto, infondata la censura difensiva che reputa illegittimamente ampliata la base indiziaria e fuori fuoco il riferimento alle dichiarazioni dei collaboratori provenienti dalle fila del clan COGNOME, non oggetto dell’imputazione, atteso che, come già detto, tali fonti riferiscono delle ragioni dell’adesione del COGNOME al clan COGNOME e di vicende di loro diretta conoscenza, comunque, collegate alla sua pregressa appartenenza al gruppo degli scissionisti, illuminando sulle condotte tenute in tale periodo, sui rapporti con i sodali e sulle ritorsioni subite dopo la sconfitta militare del gruppo degli scissionisti e, soprattutto, sullo spirito
di rivalsa e vendetta che lo animava. Si tratta, pertanto, di elementi dichiarativi che, saldandosi a quelle degli appartenenti al gruppo Palermiti, arricchiscono e rinsaldano il quadro indiziario, oltre a rilevare sul piano strettamente cautelare per la descritta continuità mafiosa del ricorrente, transitato con disinvoltura in diverse compagini mafiose armate.
Alla luce di tali osservazioni la critica degli elementi valorizzati dal Tribunale, formulata in termini di violazione di legge e travisamento della prova, risulta, in realtà, diretta a schermare la inammissibile richiesta di rivalutazione del compendio indiziario, preclusa in questa sede, specie a fronte di una ordinanza sorretta da motivazione completa e priva di incongruenze o illogicità manifeste.
Ciò è dimostrato dalla circostanza che agli elementi che il Tribunale ha ricavato dalla sentenza della Corte di assise di appello di Bari di cui si è detto la difesa contrappone il giudizio di inattendibilità espresso in quella sentenza sul dichiarato di collaboratori, che si vuole estendere al fatto in esame, trascurando le motivazioni della sentenza prodotta, la diversità dei fatti, la frazionabilità delle dichiarazioni dei collaboratori e, come già detto, la valutazione, ormai definitiva, espressa da quei giudici sulla esistenza dello scontro armato tra i due gruppi con attentati reciproci, sulla consapevolezza del Signorile di quell’attentato, escludendone la partecipazione materiale, ma ritenendone l’intraneità al gruppo COGNOME.
3.4. Infondata è anche la censura di genericità del riferimento alle riunioni importantissime cui avrebbe partecipato il ricorrente, invece, pacificamente ricavabili dai colloqui intercettati, riportati nell’ordinanza (pagg. 17 e 56 ove è riportato il colloquio intercettato in ambientale in cui il boss NOME COGNOME e il fratello discutevano del ricorrente che aveva offeso pubblicamente esponenti del clan COGNOME e preso parte alle riunioni convocate dal Busco dopo l’omicidio Gelao per sapere chi degli aderenti al clan COGNOME intendeva schierarsi con il nuovo gruppo, dovendo, altrimenti, lasciare il quartiere Japigia, e per organizzare l’azione intimidatoria nei confronti dei non aderenti, risoltasi poi in una trappola nella quale perse la vita il COGNOME).
3.5. Analoga considerazione vale, come già detto, per le ritorsioni subite dai familiari del ricorrente dopo la disfatta militare del gruppo e la fuga del Busco, ricavabili dall’intercettazione in carcere tra il ricorrente e il padre: oltre a quanto emerge dalla sentenza allegata al ricorso, la lettura integrale del colloquio, riportato nell’ordinanza, smentisce la tesi difensiva, dimostrando la piena consapevolezza dei familiari e del ricorrente della provenienza delle pretese, confermata dai propositi di vendetta esternati dal ricorrente una volta uscito dal carcere (“questo mi hanno fatto, come esco da qua.. .gli devo staccare la testa”, v. pag.19-27). Stessa valutazione va espressa anche per l’attentato al
suo uomo di fiducia NOME COGNOME attinto da colpi di arma da fuoco nella primavera del 2017 ad opera di esponenti del clan Palermiti, e per il ferimento da lui stesso subito in carcere a Matera, di cui ha riferito il collaboratore COGNOME, estraneo ai gruppi in contrasto e compagno di detenzione del ricorrente. Questo fatto viene sminuito dalla difesa, che, invece, valorizza l’opposta significatività delle attenzioni che gli avrebbe riservato il Cardinale, incompatibili con l’adesione al gruppo COGNOME senza avvedersi dell’incompatibilità logica della tesi proposta ovvero della prospettata protezione offerta da un esponente di livello apicale del clan COGNOME con la valenza emblematica e la significatività specifica dello sfregio in viso (“il taglio della faccia”) inferto al ricorrente durante la detenzione. Tutte queste vicende risultano esaminate nell’ordinanza e ritenute alla base della scelta del ricorrente di passare al clan COGNOME per ottenere protezione e realizzare i propositi di vendetta, come riferito in modo convergente dai collaboratori appartenenti al clan, che si riscontrano reciprocamente.
3.6. Anche la contestata mancanza di riscontro dei contatti con l’esterno e del traffico illecito di stupefacenti gestito dal carcere è smentita dal sequestro di cellulari rinvenuti in possesso del ricorrente nel corso della perquisizione in carcere (pag. 32 e 67) al pari dei propositi di vendetta coltivati e tradottisi nell’organizzazione della spedizione punitiva del 6 novembre 2019 nei confronti di NOME COGNOME nel corso della quale furono utilizzate armi da guerra, di cui hanno riferito i collaboratori che alla stessa parteciparono, autoaccusandosi del grave episodio (pag. 58 ordinanza), e che trova riscontro nel sopralluogo effettuato dai CC sul luogo dell’attentato e nelle dichiarazioni di due testimoni oculari (pag. 38 e 48 ordinanza).
Ne deriva l’infondatezza delle censure difensive in punto di gravità indiziaria.
Analogamente infondate sono le censure in punto di sussistenza e attualità delle esigenze cautelari e di scelta della misura a fronte della completezza della motivazione resa, che giustifica il mantenimento della misura più rigorosa, nonostante il fatto risalga alla fine del 2017, in ragione della estrema gravità dei fatti e dell’allarmante pericolosità del ricorrente, passato, senza soluzione di continuità, da un clan all’altro nell’arco di pochi anni, coerentemente ritenuto tratto indicativo di una radicata scelta di vita e di un percorso irreversibile, specie se si tiene conto dell’arresto per detenzione di armi del 2019 e delle dichiarazioni dei collaboratori, che ancora di recente hanno riferito della militanza del COGNOME nel clan COGNOME, del suo attivismo nel settore degli stupefacenti e dei fermi propositi di vendetta nutriti nei confronti degli ex sodali nonché delle dichiarazioni rese dall’acquirente di cocaina appena ricevuta dal ricorrente e perciò tratto in arresto il 7 agosto 2024, che confermano
l’attività di cessione commessa in costanza di sottoposizione a misura coercitiva, riscontrano il narrato dei collaboratori sul punto e dimostrano l’assoluta
spregiudicatezza del ricorrente e l’inadeguatezza di misure meno afflittive.
5. Per le ragioni esposte il ricorso va rigettato con conseguente condanna dl ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 9 maggio 2025
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