Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1300 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1300 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Siracura il 16/07/1970
avverso la sentenza del 4/12/2023 della Corte di assise di appello di Catania letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, NOME COGNOME che ha concluso, richiamando le richieste di quella resa per l’udienza del 18 giugno 2024, chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente alla mancata concessione della continuazione esterna, con il rigetto del ricorso nel resto;
lette le memorie fatte pervenire dalla difesa, avv. M. T. A. COGNOME con le quali ha formulato motivi aggiunti e ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di assise di appello di Catania ha confermato la condanna, resa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale in sede, in data 31 gennaio 2022, nei confronti di NOME COGNOME alla pena di anni trenta di reclusione, in relazione al concorso nel reato di omicidio pluriaggravato perché cagionava la morte di NOME COGNOME sebbene la vittima designata fosse NOME COGNOME alle cui dipendenze lavorava NOMECOGNOME con la circostanza aggravante della premeditazione e quella di cui all’art. 7 legge n. 203 del 1991.
Si tratta dell’omicidio, avvenuto in data 17 marzo 2001, ai danni di NOME COGNOME il quale, mentre si trovava a bordo della sua vettura Fiat 126, veniva attinto da alcuni colpi di pistola al volto, esplosi da due individui travisati caschi integrali i quali, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, viaggiavano a bordo di un motociclo di tipo Enduro. Nonostante NOME fosse stato colpito, l’autovettura proseguiva la marcia e con una brusca manovra, dopo aver percorso circa 30 metri, era notata mentre andava a schiantarsi sul muro di cinta del supermercato denominato RAGIONE_SOCIALE, sito in INDIRIZZO Siracusa, di fronte al civico INDIRIZZO.
A seguito di indagini tecniche disposte dopo la riapertura delle indagini, la Polizia scientifica aveva accertato che i tre proiettili repertati in sede di autopsi nonché l’ulteriore proiettile, rinvenuto all’interno dell’auto, erano di calib 38/357, esplosi da un attrezzo di allarme o segnalazione acustica appositamente modificato, con meccanismo a tamburo.
A carico di COGNOME sono state indicate le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME oltre a plurimi riscontri investigativi effettuati nel corso delle indagini.
Propone tempestivo ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, avv. M. NOME COGNOME attraverso tredici motivi, di seguito riassunti ne limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo si denuncia violazione di cui all’art. 606 lett. d) cod. proc. pen. per mancata assunzione di prova decisiva, rappresentata dalla perizia diretta ad accertare che il delitto era stato eseguito da killer a bordo di un’automobile e non di una moto.
Si tratta di richiesta, avanzata al Giudice per le indagini preliminari, a Giudice in udienza preliminare ove si è svolto il rito abbreviato, nonché riproposta con i motivi di appello e definitivamente respinta dalla Corte territoriale.
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Secondo i collaboratori di giustizia che accusano, de relato, il ricorrente, l’omicidio sarebbe avvenuto ad opera di sicari che avevano affiancato NOMECOGNOME a bordo di una moto tipo Enduro, sparandogli mentre questi percorreva la INDIRIZZO, sita in Siracusa, a bordo della sua autovettura Fiat 126.
I colpi, quindi, visto il mezzo descritto, avrebbero dovuto avere, come inclinazione, quella dall’alto verso il basso, mentre si è accertato che questi hanno avuto un’inclinazione opposta, cioè dal basso verso l’alto, come specificato dal consulente tecnico che ha svolto l’esame autoptico. Infatti, i colpi di arma da fuoco esplosi hanno infranto anche il vetro del finestrino lato passeggero, circostanza impossibile se fossero stati sparati da killer che viaggiavano a bordo di una moto tipo Enduro.
Nell’esame espletato, il consulente tecnico ha chiarito che un solo colpo era stato sparato dall’alto verso il basso, mentre tutti gli altri avevano avut direzione dal basso verso l’alto. Rispetto a questo unico colpo, però, è stato chiarito che, per la traiettoria, decisiva è la posizione assunta dal soggetto nel momento in cui è attinto dal proiettile il quale può anche cambiare posizione del capo, oltre al cambio di posizione che può riguardare il punto di partenza.
La Corte di assise di appello ha rigettato la richiesta di perizia ritenendo che lo sparatore poteva trovarsi anche ad un’altezza maggiore rispetto a quella della vittima e che, in ogni caso, la dinamica, indicata dai collaboratori, è risultat compatibile con una esplosione di colpi dalla moto tipo Enduro descritta dal teste COGNOME
Si è valorizzato quanto riferito dal consulente tecnico COGNOME circa l’impossibilità che lo sparatore si trovasse a bordo di una vettura; inoltre, si ritenuto plausibile che i colpi siano stati esplosi da un soggetto in posizione più alta, potendo la pistola essere impugnata dallo sparatore non con la mano tesa ma anche con la mano bassa.
La difesa, invece, esclude che il teste COGNOME abbia descritto una dinamica che rende certa l’esplosione di colpi da un motociclo di tipo Enduro. Inoltre, lo stesso consulente tecnico non era stato in grado, nel corso del controesame, di escludere che i colpi potessero essere stati esplosi da un autoveicolo.
Infine, sostiene il ricorrente che non è possibile che, impugnando una pistola a mano bassa, il killer avesse potuto colpire il bersaglio. Ciò sarebbe escluso in base a due rilievi fotografici, prodotti dalla difesa, che mostrano una moto tipo Enduro, affiancata ad una vettura tipo 126, con a bordo due uomini che mimano l’atto di sparare all’indirizzo dell’auto.
Si contesta, quindi, travisamento dei fatti e omessa valutazione delle prove fotografiche che escludono totalmente la possibilità di esplodere colpi di arma da fuoco, a bordo di una moto tipo Enduro, con traiettoria dal basso verso l’alto.
Peraltro, il teste COGNOME secondo il ricorrente, ha dichiarato di avere assistito alle fasi finalli del delitto perché proveniva da una curva per cui la stess deposizione resa escluderebbe che questi abbia potuto vedere l’auto con i sicari che aveva appena svoltato a sinistra, nel suo senso stesso di marcia, come mostrano le mappe stradali.
Il fatto che gli occupanti della moto fossero travisati è dato irrilevant perché vi è l’obbligo di indossare il casco e tale obbligo vigeva anche all’epoca dei fatti.
Inoltre, si rileva che il teste COGNOME aveva affermato di aver visto uscire dall’incrocio, contemporaneamente, la Fiat 126 che svoltava a sinistra e la moto tipo Enduro che svoltava a destra, motivo per il quale si doveva concludere che la moto si trovava a destra dell’autovettura Fiat 126, come illustrato con uno degli schizzi svolti dallo stesso imputato.
Si esclude, da ultimo, di aver affermato, con memoria difensiva del 5 giugno 2023, che il consulente tecnico COGNOME non avrebbe detto il vero circa il fatto di non aver avuto a disposizione l’arma del delitto e gli indumenti della vittima, tenuto conto che, invece, le fotografie delle fasi iniziali della autopsia dimostrano che la vittima aveva indosso gli indumenti, come riferito nella memoria del 5 giugno 2023, p. 7.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia mancata assunzione di prova decisiva in relazione all’art. 441, comma 5 cod. proc. pen., quanto alla mancata verifica della potenza del binocolo da teatro sequestrato in occasione dell’arresto dell’imputato.
Con memoria del 3 settembre 2018, COGNOME aveva chiesto l’effettuazione di una prova empirica, da parte del Giudice, ai sensi dell’art. 441, comma 5, cod. proc. pen. diretta verificare la potenza del binocolo in sequestro reperito al momento dell’arresto dell’imputato, avvenuto a Viterbo il 13 aprile del 2001. W
La richiesta nell’udienza preliminare non è stata accolta ed è stata reiterata con l’appello, con memoria del 5 settembre 2023.
Si contesta che non si è proceduto ad assumere l’indicata prova relativa alla verifica di potenza del mini-binocolo che, secondo il collaboratore di giustizia COGNOME, era stata oggetto di una confidenza ricevuta da COGNOME, durante un periodo di comune detenzione (COGNOME avrebbe confidato al collaboratore che, durante un certo omicidio commesso in INDIRIZZO aveva usato un cannocchiale per osservare i movimenti della vittima).
2.3. Con il terzo motivo si denuncia erronea applicazione dell’art. 192, comma 3, cod. proc, pen. circa il vaglio di credibilità dei dichiaranti e della lor attendibilità intrinseca.
Quanto ai collaboratori di giustizia COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME il ricorrente esclude che la Corte tTitoriale
abbia proceduto a valutare la credibilità di ogni singolo dichiarante, secondo i canoni di cui alla pronuncia delle Sez. U, ricorrente COGNOME.
NOME COGNOME indica come movente la vendetta nei confronti del clan contrapposto di Santa Panagia, affermando di averne parlato con COGNOME e che si trattava di circostanza al corrente dei detenuti COGNOME e COGNOME. Invece, detta circostanza è smentita, secondo il ricorrente, da NOME COGNOME e NOME COGNOME (il primo ha affermato che autore dell’omicidio era NOME COGNOME, il secondo assumendo con certezza che non gli era stato fatto il nome di COGNOME come autore dell’omicidio).
In ordine alle dichiarazioni di COGNOME si osserva che la Corte territoriale l ha ritenute ondivaghe e non attendibili; tuttavia, la difesa contesta il metodo utilizzato dal giudice di secondo grado secondo il quale le dichiarazioni accusatorie sarebbero sempre utilizzabili, mentre quelle che scagionano l’imputato, provenienti dalla stessa fonte, sempre inutilizzabili.
Con riferimento a COGNOME, la Corte territoriale sostiene che non corrisponde al vero che COGNOME avesse parlato dell’omicidio con COGNOME avendo soltanto precisato che della vicenda erano a conoscenza anche COGNOME ed altri. Invece, la stessa motivazione della sentenza indica COGNOME come colui che aveva affermato che NOME COGNOME era a conoscenza dell’errore di persona commesso ad Attanasio, circostanza smentita del tutto da COGNOME medesimo.
Quanto a COGNOME, si espone che questi riferisce un movente opposto, rispetto a quello indicato da COGNOME, ritenuto, invece, dalla Corte territorial perfettamente sovrapponibile. Si contesta, inoltre, la carenza di costanza delle dichiarazioni rese da COGNOME in quanto diversa, la seconda, rispetto a quanto riferito, inizialmente, sulla vittima designata, solo successivamente indicata come confidente della polizia, e sulle dichiarazioni rese nei confronti del latitan NOME COGNOME. Inoltre, si contesta l’assenza di riscontri al narrato d COGNOME, quanto al mancato reperimento della moto usata per l’omicidio che, secondo il collaboratore, sarebbe stata bruciata da Mazzarella vicino alla villetta di Attanasio, con motivazione della Corte territoriale che, a parere del ricorrente, finirebbe per invertire l’onere della prova circa l’utilizzo di detta moto p commettere l’omicidio, indicata come poi data alle fiamme. Infine, la difesa rimarca che COGNOME è dichiarante interessato perché sarebbe il vero autore dell’omicidio così come dichiarato dall’imputato e dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME Si segnala che analoga strategia ha posto in essere COGNOME quanto all’omicidio di NOME COGNOME, così come emerso in sede di confronto con il collaboratore di giustizia COGNOME, nonché dalla sentenza che condanna COGNOME, in via definitiva, per tale omicidio acquisita in atti. Da ultimo s rimarca che COGNOME aveva motivi di rancore nei confronti dell’imputato perché era stato aggredito in carcere da COGNOME in presenza di COGNOME il quale non
era intervenuto in alcun modo, consentendone il pestaggio. Si tratta di circostanza che la Corte territoriale assume non avere alcun riscontro, trascurando il fatto che invece si tratta di affermazione riscontrata dal collaboratore COGNOME e ammessa dallo stesso COGNOME.
Anche per il dichiarante COGNOME si contesta l’assenza di costanza tra le prime dichiarazioni accusatorie nei confronti di COGNOME e quelle successive, rese a distanza di tre anni in data 30 aprile 2015. Soprattutto si rimarca che, nella prima dichiarazione, fermamente COGNOME aveva negato di conoscere movente, modalità e dettagli dell’omicidio, limitandosi a riferire di aver saputo dallo stess COGNOME che questi aveva ucciso NOME facendolo trovare nella sua auto come se dormisse, escludendo che lo stesso imputato avesse aggiunto particolari di qualsiasi genere. Peraltro, si evidenzia che COGNOME ha subito un processo e poi è stato assolto per ‘l’omicidio di un altro soggetto, di cognome COGNOME, nel maggio 2002, proprio nel periodo in cui COGNOME ha riferito di aver ricevuto tale confidenza. COGNOME, secondo la difesa, avrebbe, peraltro, motivi di rancore nei confronti dell’imputato perché la moglie del collaboratore, ex fidanzata storica dell’imputato, ha lasciato il dichiarante, ricongiungendosi ad COGNOME appena scarcerato.
Quanto a NOME COGNOME si osserva che le sue dichiarazioni scagionano COGNOME, in quanto afferma di aver saputo, dallo stesso imputato, che non era stato lui a commettere l’omicidio. Anche con riferimento a COGNOME, si svolge la medesima critica, da parte della difesa, sostenendo che, nella parte in cui la dichiarazione accusatoria è a carico, il collaboratore viene ritenuto credibile, mentre quando questa ha natura liberatoria, non viene considerata tale. In ordine al rinvenimento, presso la villetta in cui dimorava COGNOME, di un revolver calibro 38 che coinciderebbe, secondo la Corte territoriale, con l’arma utilizzata per commettere l’omicidio, si rimarca che COGNOME ha reso quattro dichiarazioni tra loro totalmente diverse, soprattutto superflue perché, secondo la polizia scientifica di Catania, l’arma utilizzata per il delitto è una scacciaca modificata e non un’arma vera. La Corte territoriale non dimostra che la calibro 38, asseritamente consegnata da COGNOME a COGNOME, secondo le dichiarazioni rese da quest’ultimo, sia effettivamente l’arma del delitto. COGNOME peraltro ha aggiunto di aver restituito l’arma tempo dopo ad Attanasio, per cui si esclude che si tratti di arma utilizzata per commettere il reato. La giustificazione resa dalla Corte circa le discrasie tra le affermazioni rese dal COGNOME il 19 settembre 2003 e quelle rese in data 9 ottobre 2002, su una seconda pistola restituita ad Attanasio, sarebbe, secondo la difesa, documentalmente risultata falsa, sulla base del verbale in cui COGNOME afferma al Pubblico ministero di aver acquistato la calibro 38 verso il gennaio 2001. Infine, si rileva una discrasia rispetto all risultanze di fatto (annotazione del 9 ottobre 2003) circa la descritta distanza tra
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la villetta di COGNOME e il luogo ove sarebbe stato occultato il revolver. Si rimarca che il collaboratore, davanti alla Corte di assise di Siracusa, ha cambiato ulteriormente versione, affermando che era in possesso di una pistola calibro 38 che si era affrettato a conservare nella cassaforte di casa dei propri genitori, nell’occasione dell’esecuzione del fermo, insieme all’COGNOME, una settimana dopo l’omicidio in data 24 marzo 2001.
Rispetto alle dichiarazioni di NOME COGNOME si osserva che questi accusa dell’omicidio NOME COGNOME per averlo saputo da NOME COGNOME con affermazioni convergenti con quanto dichiarato dall’imputato, nella memoria del 5 settembre 2023.
Si osserva, inoltre, che nel confronto tra COGNOME e COGNOME, COGNOME rimane fermo nelle sue dichiarazioni mentre COGNOME ammette di aver voluto depistare COGNOME.
La Corte territoriale si limita a sostenere che COGNOME non avrebbe fornito alcun dettaglio relativamente alla vicenda delittuosa essendo, peraltro, nelle more deceduto. La Corte d’assise di appello, però, dimentica che il processo si è svolto nelle forme del rito abbreviato e che in ogni caso COGNOME non sarebbe stato mai escusso come testimone.
Infine, il ricorrente rileva che nessun riscontro è stato indicato dalla Corte di assise d’appello, neppure individualizzante. Anzi, è emerso che non si è mai proceduto contro il reggente del clan opposto, NOME COGNOME nonostante che il collaboratore di giustizia COGNOME l’avesse accusato di essere il mandante dell’omicidio e che non si è mai proceduto contro NOME COGNOME nonostante le accuse di COGNOME (COGNOME avrebbe partecipato al delitto bruciando la moto utilizzata dai sicari).
La sentenza acquisita agli atti attesta che COGNOME era contrario a qualsiasi alleanza con il clan opposto, stipulato da COGNOME che avrebbe commesso l’omicidio insieme a NOME COGNOME.
La calibro 38 consegnata da COGNOME a COGNOME il giorno dell’omicidio non poteva essere quella del delitto perché la polizia scientifica di Catania ha riscontrato che l’omicidio era stato commesso con una scacciacani, non con una pistola vera.
Infine, si rileva che per tutti i collaboratori che accusano COGNOME la lor fonte sarebbe stata lo stesso imputato, abituato però ai depistaggi.
Che la vittima fosse stata uccisa mentre percorreva INDIRIZZO come affermano i collaboratori di giustizia e i giornali, non è circostanza certa perché questa, invece, era stata uccisa mentre era ferma all’incrocio come concordemente emerso dalle relazioni della questura di Siracusa, del CT COGNOME e della polizia stradale.
Da ultimo, NOME COGNOME reggente del clan di Santa Panagia nel periodo in cui è stato commesso l’omicidio, aveva confidato a NOME COGNOME poi divenuto collaboratore di aver commesso il delitto come del resto ha riferito lo stesso COGNOME a COGNOME.
2.4. Con il quarto motivo si denuncia inosservanza dell’art. 192 cod. proc. pen. circa la mancanza di autonomia genetica delle chiamate in reità de relato.
Tutte le dichiarazioni etero accusatorie sono riferibili a confidenze provenienti da NOME. Per la giurisprudenza di legittimità occorre, in caso di chiamate de relato, che queste abbiano un’autonomia genetica. Su tale punto già devoluto alla Corte territoriale questa ha reso, a parere del ricorrente, motivazione apparente.
Non vi sono, peraltro, riscontri a tali dichiarazioni perché la sentenza COGNOME acquisita in atti, attesta che COGNOME all’epoca del delitto, non era responsabile del clan, ma era stato condannato alla pena di mesi dieci di reclusione per la partecipazione all’as:sociazione, fino al 10 dicembre 2005, senza alcuna circostanza aggravante.
Si ribadisce che COGNOME e COGNOME hanno riferito di due moventi opposti e che COGNOME ha affermato di aver parlato con COGNOME, a conoscenza del fatto, riferendo che autore era il ricorrente e che questi aveva sbagliato persona, così come a conoscenza ne sarebbe stato COGNOME. Entrambi i citati collaboratori, però, avrebbero smentito COGNOME. Né dell’errore di persona, peraltro, riferiscono COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME.
COGNOME afferma, poi, che la moto usata per l’omicidio sarebbe stata bruciata da Mazzarella, vicino alla villetta di Attanasio, ma la circostanza è smentita dalle indagini, in quanto non è mai stata rinvenuta una moto bruciata nelle vicinanze della villetta dove COGNOME stava trascorrendo la sua latitanza. In ogni, caso la fonte dei collaboratori COGNOME e COGNOME è unica (COGNOME) così come è indubbio che non esistono chiamate in correità e riscontri individualizzanti.
2.5. Con il quinto motivo si denuncia travisamento dei fatti in relazione alle circostanze riportate a p. 30 e ss. del ricorso, vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen.
Secondo il ricorrente, il collaboratore di giustizia COGNOME non ha mai riferito di aver ricevuto confidenze da NOME COGNOME circa l’esecuzione del delitto da parte di COGNOME. Ciò risulterebbe dal verbale del 4 febbraio 2021.
Inoltre, con memoria difensiva del 21 giugno 2021, COGNOME aveva sostenuto che l’interpretazione data dalla COGNOME al discorso origliato era errata perché COGNOME, quando parlava con COGNOME, si riferiva a NOME COGNOME e a COGNOME.
In definitiva, per la difesa le dichiarazioni di COGNOME sarebbero favorevoli alla tesi difensiva, tanto che è stato prestato consenso alla loro acquisizione.
La Corte territoriale, invece, travisa le dichiarazioni di COGNOME quando afferma che queste sarebbero confermate dalla documentazione video prodotta, circa la precostituzione di un alibi.
Inoltre, si assume che la Corte territoriale non si è confrontata con la memoria difensiva sul punto e che non corrisponde al vero che COGNOME nella sua testimonianza, fa emergere che una moto di tipo Enduro era stata utilizzata per commettere il reato, così come sarebbero stati travisati fatti circa l’interpretazione fornita dalla Corte territoriale sull’uso di una vettura da part dei killer.
Si contesta l’affermazione, contenuta nella motivazione, nella parte in cui esclude che i riscontri non sono stati oggetto di specifica contestazione da parte dell’imputato, contestazione avvenuta, invece, con memoria difensiva del 3 settembre 2018, nonché con atto di appello redatto personalmente da COGNOME.
In definitiva, si esclude che gli indicati riscontri siano pertinenti rispet all’omicidio di NOME COGNOME ed anzi alcuni di questi sarebbero contraddittori o addirittura dimostrativi della veridicità dell’ipotesi alternativa prospetta dall’imputato.
A p. 38 e ss. del ricorso si fa riferimento a una serie di elementi di fatto, che la difesa sostiene essere conferma dell’ipotesi alternativa, prospettata dall’imputato, circa il coinvolgimento nell’omicidio di NOME COGNOME perché vi erano motivi di astio e di rancore di questi nei confronti della vittima, per motivi legati alla gestione di una casa di riposo, e circa il coinvolgimento di NOME COGNOME nell’omicidio.
Da ultimo, si denuncia travisamento nella parte in cui la Corte territoriale assume che COGNOME non avrebbe mai specificato se si trattasse o meno di arma nuova quanto alla pistola utilizzata per commettere l’omicidio.
2.6. Con il sesto motivo si denuncia vizio di motivazione in relazione ai punti descritti da p. 40 a p. 50 del ricorso.
Si contesta la linearità logica della motivazione, quanto al contenuto delle dichiarazioni di COGNOME, nonché si confutano, singolarmente, tutti gli elementi di riscontro, indicati dalia prima sentenza, riportando le osservazioni che, già in sede di appello e con memoria del 5 settembre 2023, erano state mosse rispetto alla natura di tali elementi (riscontri n. 8, 22, 6, 17, 11, 12, 19, 20, 23, 24, 25)
In definitiva, il ricorrente sostiene che nessuno degli elementi di riscontro si è rivelato tale ma, addirittura, che da questi elementi sarebbero emerse circostanze favorevoli alla difesa.
Si insiste per la tesi secondo la quale l’omicidio sarebbe stato commesso da COGNOME e che la programmata uccisione era stata decisa da COGNOME
COGNOME, senza alcuna autorizzazione, a fronte dell’intervenuta alleanza con Liberante Romano, fortemente osteggiata da COGNOME.
In ogni caso, il Collegio avrebbe omesso di motivare in ordine al fatto che tra NOME e COGNOME COGNOME vi era anche una differenza relativa alla capigliatura e all’auto utilizzata.
La Corte territoriale, su tali punti, non avrebbe saputo spiegare il presunto errore di persona che, peraltro, non viene indicato da tutti i collaboratori di giustizia.
2.7. Con il settimo motivo si denuncia vizio di motivazione e violazione dell’art. 546 cod. proc. pen. in relazione ai punti specificati a p. 54 e ss. d ricorso.
Si sostiene che i collaboratori COGNOME e COGNOME, nella parte in cui affermano che COGNOME sarebbe stato affiancato, mentre percorreva INDIRIZZO, hanno dichiarato il falso.
Ciò emerge dal fatto che COGNOME esclude che una moto abbia affiancato la Fiat 126, guidata dalla vittima, dal fatto che la consulenza necroscopica indica che NOME era alla guida della vettura in corrispondenza dell’incrocio, la comunicazione di notizia di reato della questura di Siracusa indica che l’agguato è avvenuto all’incrocio con INDIRIZZO, le foto di cui ai rilievi tecnici d Questura di Siracusa del 17 marzo 2001, mostrano l’auto di NOME sita all’incrocio tra INDIRIZZO e INDIRIZZO.
Si tratta di questione che la Corte territoriale ha indicato come non decisiva ma che, invece, incide sulla credibilità dei collaboratori di giustizia citati e fatto che questi hanno tratto le dichiarazioni rese dalle notizie di stampa, sebbene contrastanti con le risultanze processuali.
La circostanza secondo il ricorrente è decisiva perché riconoscere che il delitto è stato commesso con l’auto ferma all’incrocio, come prospettato dalla tesi alternativa della difesa, toglierebbe qualunque credibilità ai tre collaboratori di giustizia.
Inoltre, si contesta vizio di motivazione circa la confessione extragiudiziale fatta da NOME COGNOME, soggetto appartenente al clan di Santa Panagia, a NOME COGNOME circa il fatto che il collaborante COGNOME scagiona apertamente COGNOME riferendo che questi si era sorpreso alla notizia dell’uccisione di NOME COGNOME.
Né la Corte di merito fa riferimento al fatto che COGNOME ha affermato che tra la villetta di INDIRIZZO e il luogo in cui sarebbero stati occultati casco e revolver vi fosse una distanza di circa 400 metri, a fronte di una distanza cinque volte maggiore a quella indicata. Infine, la Corte non ha motivato sull’inconsistenza della tesi dell’errore di persona tenuto conto che tra Romano e
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NOME COGNOME vi era differenza di altezza e capigliatura nonché per l’auto utilizzata.
2.8. Con l’ottavo motivo si denuncia erronea applicazione dell’art. 195, comma 3, cod. proc. iDen.
Si deduce che la Corte territoriale ha escluso le dichiarazioni di COGNOME nella parte in cui questi ha confermato le dichiarazioni dell’imputato circa il fatto d aver saputo che autore dell’omicidio è stato NOME COGNOME perché COGNOME non avrebbe fornito alcun dettaglio relativo alla vicenda e soprattutto essendo nelle more deceduto, quindi, non avrebbe potuto offrire alcuna conferma le dichiarazioni del collaboratore COGNOME.
Si tratta, per il ricorrente, di impostazione contraria al disposto di cui all’ar 195, comma 3, cod. proc. pen. perché l’inosservanza delle disposizioni di cui al comma 1 della stessa norma, rende inutilizzabili le dichiarazioni relative a fatti di cui il testimone abbia avuto conoscenza, salvo che l’esame di questo non risulti impossibile per morte infermità o irreperibilità.
Escludere che le dichiarazioni di COGNOME abbiano un peso probatorio perché il soggetto che gli aveva riferito la circostanza era nelle more deceduto significa violare il disposto della norma citata e togliere riscontro oggettivo alla tes difensiva.
2.9. Con il nono motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 533 cod. proc. pen. per l’emissione di condanna in presenza di ragionevoli dubbi.
Secondo la Corte territoriale, i collaboranti hanno indicato un movente in maniera non coincidente; inoltre, il ricorrente assume che non vi è certezza circa l’uso di una moto. Per contro, la versione difensiva ha trovato elementi di riscontro specificamente indicati a p. 62 e ss. del ricorso (punti da 1 a 19).
2.10. Con il decimo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 7 legge n. 203 del 1991 in ordine ai riconoscimento della circostanza aggravante del metodo mafioso.
Il primo Giudice aveva escluso la circostanza aggravante indicata, sulla base dell’incertezza del movente quanto alla finalità di agevolazione mafiosa ma l’aveva ritenuta quanto al metodo, in considerazione della dinamica dell’azione omicidiaria.
La difesa aveva dedotto, con i motivi di appello, che la motivazione resa sul punto era circolare perché si limitava a rilevare che la dinamica dell’azione omicidiaria era stata realizzata dall’imputato nella forma di un vero e proprio agguato di stampo mafioso.
Si rimarcava, inoltre, che non era stata usata alcuna moto e alcuna pistola ma un attrezzo di allarme o segnalazione acustica modificata, cioè una scacciacani.
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La Corte territoriale ha confermato la motivazione del primo giudice, aggiungendovi un parallelo movente di natura personale, legato alla tutela del fratello NOME (cfr. p. 78), precisando che l’omicidio è stato commesso con una scacciacani modificata.
2.11. Con l’undicesimo motivo si denuncia in osservanza dell’applicazione degli artt. 62-bis e 133, comma 2, n. 3 cod. pen. in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte territoriale non ha tenuto conto della relazione di sintesi della Casa circondariale di Tolmezzo, del fatto che COGNOME ha conseguito un diploma di geometra, una laurea in scienze delle comunicazioni, una laurea in scienze dei servizi giuridici e che l’imputato è iscritto a un nuovo corso di laurea in giurisprudenza.
NOME ha cambiato vita, come dimostrato dal fatto che, a seguito della scarcerazione avvenuta il 7 luglio 2022, ha regolarizzata la sua posizione con cambio di residenza presso l’abitazione della propria convivente ed è stato arrestato, una settimana dopo, all’interno del Comune di Siracusa.
2.12. Con il dcidicesimo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 577 n. 3 cod. pen.
La circostanza aggravante della premeditazione andava esclusa perché già la sentenza di primo grado ammetteva l’incertezza del movente, come ritenuto anche dalla Corte di assise di appello.
Si richiama Sez. U, n. 337 del 18/12/2008 secondo la quale la premeditazione deve essere esclusa e ritenersi non provata allorquando siano incerti il movente e le modalità dell’agguato.
Le modalità del delitto, nel caso di specie, sono sconosciute perché non vi ha assistito nessuno. Peraltro, la circostanza secondo la quale la vittima era stata uccisa mentre percorreva INDIRIZZO è smentita da elementi probatori e dallo stesso provvedimento impugnato, nella parte in cui indica che il consulente tecnico COGNOME aveva precisato che, in base alle traiettorie dei sei colpi esplosi, si doveva escludere il fatto che l’omicidio era avvenuto con l’auto in movimento. La motivazione della Corte territoriale, su tale punto, sarebbe congetturale quanto alla indicazione della fase organizzativa del delitto e all’atteggiamento psicologico da parte dell’autore onde recedere dal proposito.
2.13. Con il tredicesimo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 81 cod. pen. in ordine al mancato riconoscimento della continuazione, in relazione a reati giudicati con altre sentenze passate in giudicato.
La difesa ha prodotto l’ordinanza della Corte di appello di Catania, del 3 agosto del 2018, nonché l’ordinanza della Corte di appello di Catania del 31 maggio 2022, con le quali è stato riconosciuto il vincolo della continu
tutte le sentenze di condanna emesse nei confronti dell’imputato, per reati commessi tra il 1988 e il 2010, per cui non è ammissibile escludere dal novero dei reati connessi quello oggetto del presente procedimento che rientra sicuramente nel disegno criminoso unitario, come si evince leggendo il capo di imputazione.
La difesa ha prodotto anche l’ordinanza della Corte d’appello di Catania, del 3 luglio 2014, che riconosceva la continuazione tra un reato fine e il reato associativo, con riferimento al tentato omicidio di NOME COGNOME
La Corte di assise di appello nel caso di specie ha negato l’applicazione della continuazione non perché non sussistente ma perché non essendo stata esclusa la circostanza aggravante della premeditazione, vi sarebbe stato, in caso di accoglimento, un trattamento sfavorevole nei confronti dell’imputato.
Si ritiene che la continuazione andasse comunque riconosciuta perché non vi è nessuna pena, tra quelle già irrogate, che supera gli anni 5 di reclusione. L’unica è stata quella di cui alla sentenza del 26 giugno 2015, emessa dalla Corte di appello di Catania determinata nella pena di anni uno di reclusione.
2.14. Infine, in caso di annullamento con rinvio si chiede la cessazione della misura cautelare dal momento che ricorrente vi è stato sottoposto, per la prima volta, a distanza di sei mesi dalla pronuncia della sentenza di condanna di primo grado, quando erano già state depositate le motivazioni della sentenza, nelle more, della presentazione dell’atto di impugnazione.
La difesa ha fatto pervenire, ad integrazione del ricorso principale, motivi aggiunti.
3.1. Con un primo atto, datato 16 febbraio 2024, si rappresenta, preliminarmente che ove si eccepisce il travisamento dei fatti rectius travisamento della prova – con i motivi quinto e sesto del ricorso principale, si tratta di vizio di travisamento di cui alla lett. c) dell’art. 606 cod. proc. p correggendo come refuso l’indicazione, nell’intestazione dei motivi di ricorso della lett. b) dell’art. 606 comma 1 cod. proc. pen.
Inoltre, si deduce vizio di travisamento della prova di cui all’art. 606 lett. c ed e) cod. proc. pen. consistente nell’avere la Corte di assise di appello affermato che il consulente tecnico COGNOME non ha avuto a disposizione l’arma del delitto né gli indumenti della vittima.
Invece, l’appellante, con memoria del 5 giugno 2023, avrebbe dimostrato documentalmente che NOME era con i vestiti addosso quando è iniziata l’autopsia come del resto affermato dal consulente esaminato all’udienza del 24 aprile 2023.
Quindi, sarebbe stato possibile rilevare l’eventuale presenza di tracce di polvere da sparo sugli indumenti (circostanza, per la difesa, atta ad escludere
l’uso di una moto per commettere l’omicidio in tal modo confermando la ricostruzione alternativa dei fatti resa all’imputato).
Tale considerazione incide anche sul primo dei motivi di ricorso e, quindi, sulla necessità di disporre perizia per stabilire quale mezzo sia stato utilizzato dai sicari, cioè se una moto – come afferma l’accusa – oppure un’auto, come afferma la difesa. Gli elementi forniti dal consulente tecnico sono incerti e basati su argomentazioni scientificamente dubbie, per nulla convincenti visto che i colpi sparati da sicari a bordo di una moto avrebbero dovuto avere necessariamente un’inclinazione dall’alto verso il basso mentre emerge esattamente l’opposto.
3.2. Con atto datato 18 febbraio 2024, ad integrazione dei motivi principali, la difesa evidenzia che, in due punti del ricorso, viene eccepita la violazione ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 27 Cost. comma secondo, con inversione dell’onere della prova che meglio si specifica.
L’onere della prova incombe sull’accusa e si citano tutti i dati normativi da cui si ricava la presunzione di innocenza oltre al fatto che l’onere di provare la colpevolezza degli imputati è a carico della pubblica accusa.
Ciò comporta che non è sufficiente che un evento sia astrattamente possibile ma occorre la prova che questo sia realmente accaduto e che questo sia riconducibile all’imputato.
Nel caso di specie, secondo la difesa, sarebbe dimostrato che nessuna moto è stata usata per commettere l’omicidio e che nessuna moto, data alle fiamme, è stata rinvenuta dopo il delitto. Inoltre, si rimarca che COGNOME non ha partecipato alle fasi conclusive del delitto, con il compito di bruciare la moto, tanto è vero che non è stato indagato e che, anzi, COGNOME ha dichiarato che si trovava con lui subito dopo il delitto, del quale entrambi non sapevano nulla.
Non può pertanto affermarsi, come ha fatto la Corte territoriale, che non può escludersi l’uso di una moto e che non può escludersi che la moto sia stata quanto meno distrutta, se non incendiata.
Viceversa, si sarebbe dovuto dimostrare che a commettere il delitto sia stato COGNOME utilizzando una moto poi bruciata da Mazzarella vicino all’abitazione di Attanasio.
Infine, si rimarca che la Corte di assise di appello ha dato per certo che una moto di tipo Enduro era stata utilizzata per commettere l’omicidio secondo la testimonianza di COGNOME, testimonianza che, invece, è oggetto di travisamento, negando, peraltro, all’imputato di provare quanto affermato circa l’uso di una vettura da parte dei killer. Anche le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia secondo cui sarebbe stato utilizzato un cannocchiale, per la commissione del delitto, riscontrate, secondo la Corte territoriale, dal ritrovamento di un binocolo da teatro, al momento dell’arresto di COGNOME, restano prive di riscontro non soltanto perché l’uso di un cannocchiale per
commettere l’omicidio non emerge da alcun atto del procedimento ma anche perché questo non viene riferito da altri collaboratori.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME per l’udienza del 18 giugno 2024, ha concluso con requisitoria scritta chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte territoriale limitatamente alla mancata concessione della continuazione esterna con rigetto, nel resto, del ricorso. Tanto, in assenza di tempestiva richiesta di trattazione orale, ex art. 23 del d. I. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, come prorogato, applicabile a impugnazioni proposte sino al 30 giugno 2024, ai sensi dell’art. 94, comma 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal d. I. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito con modificazioni dalla legge 23 febbraio 2024, n. 18.
La difesa ha fatto pervenire tempestiva memoria con motivi nuovi, con la quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso, producendo, in allegato, verbale della polizia scientifica.
In data 18 giugno 2024, rilevato che l’udienza non si era potuta tenere regolarmente, a causa di un incendio sviluppatosi nel Palazzo di Giustizia a seguito del quale, disposta l’evacuazione a scopi cautelativi, è stato impedito lo svolgimento dell’attività giudiziaria, il processo veniva differito all’odier udienza.
La difesa, per l’udienza del 25 settembre 2024, ha depositato memoria, a mezzo p.e.c. del 31 luglio 2024, con allegata documentazione.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME per l’odierna udienza, ha formulato conclusioni scritte, ribadendo la richiesta di annullamento con rinvio limitata alla mancata concessione della continuazione esterna, con rigetto, nel resto, dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato.
1.1. Il primo motivo è inammissibile.
Si tratta di richiesta istruttoria (perizia balistica) soltanto esplorativa comunque, riguardante una prova rispetto alla quale il ricorrente non ha indicato specifici elementi per reputarla decisiva.
Invero, osserva il Collegio che, nel giudizio di appello, la presunzione di tendenziale completezza del materiale probatorio già raccolto nel contraddittorio di primo grado rende, comunque, inammissibile la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale che si risolva in una attività “esplorativa” d indagine, finalizzata alla ricerca di prove anche solo eventualmente favorevoli al
ricorrente, non sussistendo, pertanto, rispetto ad essa, alcun obbligo di risposta da parte del giudice del gravame (tra le altre, Sez. 3, n. 47293 del 28/10/2021, R., Rv. 282633 – 01).
La perizia, poi, secondo l’indirizzo maggioritario di questa Corte di legittimità, non rientra nella categoria della prova cd. decisiva e il relativ provvedimento di diniego non è sanzionabile ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto costituisce il risultato di un giudizio di f che, se sorretto da adeguata motivazione – come quella svolta nella specie – è insindacabile in sede di legittimità (tra le altre, Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, A., Rv. 270936 – 01; Sez. 6, n. 43526 del 03/10/2012, COGNOME, Rv. 253707 01).
Nel caso al vaglio, peraltro, rileva il Collegio che, trattandosi di rit abbreviato, la prova ex art. 603 cod. proc. pen, deve essere introdotta ai sensi dell’art. 441, comma 5, cod. proc. pen. anche se si tratta di prova sopravvenuta; sicché la necessità, ai fini del decidere, del suo espletamento non viene illustrata specificamente con i motivi di ricorso, in relazione ai limiti di ammissibilità dell’accertamento che si suggerisce derivanti dal rito prescelto.
In ogni caso, si deve rilevare che la Corte territoriale sulla richiesta, già avanzata in sede di udienza preliminare e contenuta anche nei motivi di gravame, ha svolto ineccepibile motivazione (cfr. p. 82) non censurabile nella presente sede di legittimità.
La Corte territoriale, infatti, ha valorizzato gli esiti della consulenza tecnica di parte, eseguita dal pubblico ministero, nonché quelli dell’audizione del consulente in base ai quali è risultato che la vittima è stata attinta, al capo e alla spalla sinistra, da sei proiettili con direzione pressoché trasversale o lievemente obliqua, tutti da sinistra verso destra, precisamente indicando le caratteristiche di ciascuna delle lesioni riscontrate.
La motivazione, poi, giunge alla conclusione, immune da illogicità manifesta, secondo la quale la traiettoria e la direzione dei colpi di arma da fuoco, acclarata in base all’accertamento tecnico svolto, è risultata compatibile con la ricostruzione della dinamica dell’azione descritta dai collaboratori i quali hanno indicato trattarsi di colpi esplosi da una moto e non da un’autovettura.
La Corte territoriale, invero, valorizza il fatto che i colpi sono stati tu esplosi da sinistra verso destra, dato convergente con la presenza di uno sparatore che si affianca al lato guida di una autovettura, nonché segnalando che gli effetti del colpo esploso possono modificarsi in base alla posizione del piano di volata dell’arma e alla posizione assunta dalla vittima nel momento in cui viene attinta dal proiettile.
Di qui l’argomento, non manifestamente illogico, esposto dai Giudici di secondo grado, secondo cui la posizione dello sparatore era da considerarsi ad
un’altezza, comunque, maggiore rispetto a quella della vittima, con una dinamica compatibile con un’esplosione di colpi da una moto di tipo Enduro e, in ogni caso, escludendo che il killer potesse trovarsi a bordo di un’autovettura, come prospettato dall’imputato (cfr. p. 83).
Anzi, la Corte territoriale indica, specificamente, la ragione per la quale, quanto meno in base alle caratteristiche riscontrate per la lesione n. 3, si è reputata compatibile la ferita riportata dalla vittima, con una postura del braccio dello sparatore, a mano bassa, da distanza ravvicinata, impossibile da provocare se questi si fosse trovato, a sua volta, all’interno di un altro veicolo.
Le ulteriori considerazioni del ricorrente sono inammissibili in quanto versate in fatto e tendenti alla rivalutazione di dati probatori (dichiarazioni del tes oculare COGNOME) rispetto a quella svolta dai Giudici di merito, volta ad accreditare una diversa, alternativa, lettura delle risultanze, operazione non consentita in sede di legittimità (cfr. Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, COGNOME, Rv. 203767 – 01; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794; Sez. 6, n. 456 del 21/09/2012, dep. 2013, Cena, Rv. 254226; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, Rv. 235507 – 01).
Peraltro, si contesta vizio di travisamento dei fatti e per omissione (quanto ai rilievi fotografici prodotti dalla difesa) non ammissibile nel giudizio dinanzi questa Corte.
Invero, secondo il consolidato orientamento di legittimità, in relazione ai vizi deducibili con il ricorso per cassazione, anche in seguito alle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett. e) ad opera dell’art. 8 della Legge n. 46 del 2006, non è consentito prospettare il travisamento del fatto, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito decisione (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME Rv. 273217; conf. n. 25255 del 2012 Rv. 253099; n. 27429 del 2006, Rv. 234559), mentre può essere dedotto il vizio di travisamento della prova, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su un elemento dimostrativo inesistente o su un risultato conoscitivo incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati d giudice di merito ai fini della decisione, bensì di verificarne la sussistenza.
Da ultimo, è appena il caso di osservare che le considerazioni svolte circa il contenuto della memoria difensiva del 5 giugno 2023 sono generiche e non segnalano vizi di travisamento per omissione di dati probatori decisivi, idonei a ribaltare, in senso favorevole all’imputato, l’impianto accusatorio recepito dai convergenti giudizi di merito.
1.2. Il secondo motivo è inammissibile.
Invero, non si indicano le ragioni della decisività della prova che si assume necessaria (accertamento circa la potenza del binocolo sequestrato all’imputato al momento dell’arresto) risultando il procedimento definito con il rito abbreviato e, dunque, dovendo avere la prova richiesta i requisiti di cui all’art. 441, comma 5, cod. proc. pen.
Questa Corte di legittimità (Sez. 1, n. 12928 del 07/11/2018, dep. 2019, P., Rv. 276318; Sez. 1, n. 8316 del 14/01/2016, Rv. 266145) ha affermato il condivisibile principio secondo il quale, nel giudizio di appello avverso una sentenza emessa all’esito di rito abbreviato, è ammessa la rinnovazione istruttoria esclusivamente ai sensi dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen. e, quindi, solo nel caso in cui il giudice ritenga l’assunzione della prova assolutamente necessaria, perché potenzialmente idonea ad incidere sulla valutazione del complesso degli elementi acquisiti.
La Corte di legittimità, poi, ha operato un distinguo nel caso in cui si sia in presenza di prova sopravvenuta o emersa dopo la decisione di primo grado, rilevando che, solo in tale caso, la valutazione giudiziale del parametro della assoluta necessità deve confrontarsi con tale novità del dato probatorio, per sua natura adatto a realizzare un effettivo ampliamento delle capacità cognitive nella chiave prospettica sopra indicata.
In definitiva, si è ribadito (Sez. 6, n. 37901 del 21/05/2019, Arbolino, Rv. 276913; Sez. 1, n. 35846 del 23/05/2012, Andali, Rv. 253729) che le parti non possono far valere il diritto alla rinnovazione dell’istruzione per l’assunzione d prove nuove, sopravvenute o scoperte successivamente, soltanto in base ai limiti di cui all’art. 495, comma 1, cod. proc. pen., spettando, in ogni caso, al giudice la valutazione in ordine all’assoluta necessità della loro acquisizione, quando il giudizio di primo grado sia stato definito nelle forme del rito abbreviato.
Rispetto a tali principi, cui il Collegio intende dare continuità, il motivo ricorso svolto sul punto non illustra, puntualmente, le ragioni per ritenere l’assoluta necessità della prova indicata.
Né il ricorrente svolge la prova cd. di resistenza visto il solidissimo impianto di ulteriori elementi a carico, emergenti dai convergenti provvedimenti di merito, rispetto ai quali, dunque, il ricorso avrebbe dovuto illustrare, specificamente nella presente sede, l’incidenza, in senso favorevole all’imputato, dell’accertamento proposto.
Infatti, il motivo di ricorso, rispetto alla complessiva dinamica degl accadimenti che si ricava dalla lettura congiunta dei provvedimenti di merito, tende a valorizzare un elemento di fatto – la potenza del binocolo sequestrato in sé irrilevante posto che, comunque, non è emerso, dall’istruttoria della quale danno conto le motivazioni di merito, da quale distanza il binocolo sarebbe stato
utilizzato dal killer per osservare i movimenti della vittima, prima di intervenire con l’azione omicida.
1.3. Il terzo motivo è inammissibile.
Va, in via preliminare, osservato che formalmente si denuncia travisamento del fatto e che solo con i motivi nuovi, del 16 febbraio 2024, da parte della difesa tecnica si deduce il vizio di travisamento della prova, comunque prospettando contenuti della censura parzialmente diversi rispetto a quelli articolati con il terzo motivo principale.
A ciò va aggiunto che, per molti aspetti, il motivo di ricorso è versato in fatto e contesta il giudizio di credibilità e attendibilità dei collaboratori svol tuttavia, con ragionamento lineare, non manifestamente illogico e privo di censure dalla Corte territoriale (a p. 74 e ss.) dunque non censurabile nella presente sede, in quanto conforme alle linee interpretative tracciate da Sez. U, ricorrente COGNOME nel caso di chiamate in reità plurime.
Peraltro, a sostegno della ricostruzione difensiva, circa la scarsa credibilità dei collaboratori, in più punti, si ripotano, nel ricorso, stralci di pro dichiarative, non per esteso, prove, dunque, non valutabili nella loro complessiva portata rispetto al denunciato travisamento del contenuto da parte della Corte territoriale e, in ogni caso, non allegate integralmente al ricorso per l’autosufficienza ma soltanto indicate.
In ogni caso, il Collegio osserva che, sulla credibilità soggettiva ed oggettiva dei collaboratori (COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME), la sentenza di secondo grado giunge a conclusioni positive valutando il contenuto delle singole dichiarazioni e verificando la concordanza tra le stesse in ordine al nucleo essenziale dell’accusa mossa al ricorrente, quanto al ruolo di concorrente nel reato nella veste di esecutore materiale dell’omicidio, tenendo conto dello spessore dei collaboratori di giustizia, dei rapporti di questi con l’imputato e dell’esistenza di plurimi elementi oggettivi di riscontro.
I Giudici di secondo grado, ancora prima di accertare l’esistenza di riscontri esterni, si sono occupati, comunque, di verificare la credibilità soggettiva di ciascun dichiarante e l’attendibilità oggettiva delle dichiarazioni, attraverso un percorso valutativo che non si è mosso con passaggi rigidamente separati. Tanto, in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale (tra le altre, Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. cit.; Sez. 1, n. 41238 del 26/06/2019, COGNOME, Rv. 277134 – 01; Sez. 6, n. 40899 del 14/06/2018, C., Rv 74149).
Il percorso dei giudici di merito, infatti, è in linea con i cri giurisprudenziali codificati nei commi 3 e 4 dell’art. 192 cod. proc. pen., secondo i quali le dichiarazioni accusatorie provenienti da taluno dei soggetti ivi indicati devono essere sottoposte, con riguardo ad ogni singola chiamata in reità o correità e a ogni singolo episodio, a un duplice controllo volto ad accertare tanto l’attendibilità intrinseca del dichiarante, quanto l’affidabilità ab extrinseco delle accuse formulate, mediante l’individuazione e la valutazione di elementi processuali esterni di verifica, tra i quali possono annoverarsi anche le dichiarazioni accusatorie che provengano da altri soggetti, della stessa qualità del dichiarante da confermare, sempre che sia possibile escludere ipotesi di collusione o di reciproco condizionamento (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. cit.; Sez. 1, n. 41238 del 26/06/2019, COGNOME, Rv. 277134 – 01).
Inoltre, si osserva che, in tema di chiamata in correità, gli altri elementi di prova da valutare, ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., unitamente alle dichiarazioni del chiamante, non devono avere necessariamente i requisiti richiesti per gli indizi a norma dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., essendo sufficiente che essi siano precisi, nella loro oggettiva consistenza, nonché idonei a confermare, in un apprezzamento unitario, la prova dichiarativa dotata di propria autonomia rispetto a quella indiziaria. Detti riscontri, quindi, secondo la giurisprudenza di questa Corte, possono essere costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico, a condizione che sia indipendente anche da altre chiamate in correità, purché la conoscenza del fatto da provare sia autonoma e non appresa dalla fonte che occorre riscontrare, e a condizione che abbia valenza individualizzante, dovendo, cioè, riguardare non soltanto il fatto-reato, ma anche la riferibilità dello stesso all’imputato, mentre non è richiesto che i riscontri abbiano lo spessore di una prova autosufficiente perché, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correità (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255143 – 01; conf. n. 45733 del 2018, Rv. 274151). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nell’interpretare la locuzione “altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità” contenuta nell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., va precisato, poi, che la conferma imposta dalla norma non è direzionata alla persona del dichiarante (soggetto la cui attendibilità è da valutarsi, previamente, in rapporto all’esistenza di indicatori tali da asseverare la sua partecipazione al fatto narrato o comunque da rappresentare le modalità della sua conoscenza) ma alle specifiche dichiarazioni. Va, anche, precisato che l’espressione “elementi di prova” per descrivere gli elementi convalida, fa riferimento a elementi dotati di un’autonoma consistenza e di una, sia pur limitata, capacità rappre entativa. Vi
deve essere, peraltro, una correlazione di pertinenza tra i riscontri e l’imputazione contestata. Il riscontro non può limitarsi, dunque, ad accrescere l’attendibilità intrinseca del dichiarante, ma deve proiettarsi verso i fatti delittuo attribuiti.
Ovviamente, tale idoneità probatoria non può essere intesa in termini di autosufficienza dovendo, comunque, il riscontro fungere da completamento della narrazione oggetto di verifica. Si tratta, quindi, di elementi in posizione subordinata e accessoria rispetto alla prova derivante dalla chiamata in correità, avendo essi idoneità probatoria rispetto al thema decidendum non da soli, ma in riferimento alla chiamata. Altrimenti, in presenza di elementi dimostrativi della responsabilità dell’imputato, non varrebbe la regola di giudizio di cui all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., ma quella generale di pluralità di prove e di libera valutazione di queste.
Ci posto, va aggiunto, in primo luogo, che, per quanto sin qui esposto, la censura secondo la quale, in via generale, la Corte territoriale avrebbe assunto un diverso parametro di giudizio quanto all’utilizzabilità delle dichiarazioni eteroaccusatorie, nella parte in cui queste prospettano elementi a carico, rispetto a quella in cui emergono circostanze a discarico, appare non fondata.
La Corte territoriale, infatti, ha ritenuto, con ragionamento ineccepibile, che l’incrocio narrativo tra la dichiarazione del collaboratore COGNOME e quella degli altri dichiaranti, unitamente ai riscontri accertati dagli investigatori e assun all’esito delle sommarie informazioni testimoniali del teste oculare COGNOME siano stati tali da soddisfare il canone normativo di cui all’art 192, comma 3, cod. proc. pen. (cfr. p. 72 e ss.).
In secondo luogo, si rileva che la Corte territoriale esamina il tema del movente e sottolinea che la causale dell’omicidio (cfr. p. 77 e ss.), alla stregua delle convergenti dichiarazioni rispetto al contenuto essenziale di queste, è ricollegata, da tutti i collaboratori, a questioni inerenti al clan di appartenenza del ricorrente, quindi a vicende associative interne dirette a garantire la stabilità del gruppo, comunque indicando COGNOME quale esecutore materiale dell’omicidio di NOME, precisando che vi era stato un errore di persona (per essere la vittima designata non NOME COGNOME ma NOME COGNOME), che era stata utilizzata una moto per l’agguato e che il killer aveva agito, unitamente ad NOME COGNOME nelle more deceduto.
Si tratta di motivazione che si pone in linea con l’indirizzo interpretativo di questa Corte secondo il quale l’assenza di movente dell’azione omicidiaria è irrilevante ai fini dell’affermazione della responsabilità, allorché vi sia, comunque – come nel caso al vaglio – prova dell’attribuibilità di detta azione all’imputato, non risolvendosi il suo mancato accertamento nell’affermazione probatoria di
assenza di dolo del delitto di omicidio, o, tanto meno, di assenza di coscienza e volontà dell’azione (Sez. 5, n. 20851 del 12/03/2021, Rv. 281109 – 01).
Non manifestamente illogica, poi, appare la motivazione nella parte in cui indica le ragioni della mancanza di conoscenza, da parte di taluni dei dichiaranti, delle effettive ragioni dell’omicidio, nonché dei dettagli dell’esecuzione, considerando anche il ruolo di meri affiliati di taluni dei collaboratori, nonché l circostanza che nessuno di questi aveva fatto parte del commando e che, quindi, non tutti erano a conoscenza dei dettagli dell’azione esecutiva.
Si rileva che la censura relativa alla qualità delle fonti accusatorie, in quanto, secondo la difesa, tutte indirette e tutte provenienti dallo stesso COGNOME – peraltro, soggetto incline a depistaggi – è infondata, posto che il ricorrente trascura che, comunque, il riscontro di dichiarazioni de relato ben può essere reciproco (cfr. Sez. 1, n. 17370 del 12/09/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286327 – 01; Sez. 1, n. 7643 del 28/11/2014, dep. 2015, Rv. 262309 – 01) tra dichiarazioni che hanno la medesima qualità e che, nello specifico caso, alcune delle deposizioni rese, sono de relato ma provenienti anche da altri dichiaranti di riferimento, diversi dall’imputato.
Ancora, va osservato che, per ciascuna dichiarazione, la Corte territoriale affronta e risolve, con ragionamento ineccepibile, il tema della costanza delle accuse (cfr. p. 76), dell’esistenza di motivi di rancore o astio verso NOME (cfr. p. 75), valorizzando anche la non trascurabile circostanza che si tratta di dichiaranti tutti già beneficiari della circostanza attenuante speciale di cui all’ar 8 legge n. 203 del 1991 e, dunque, non mossi da specifiche esigenze premiali.
Inoltre, deve essere richiamata, quanto alle censure mosse in tema di credibilità e attendibilità del collaboratore COGNOME, la giurisprudenza di legittimità secondo la quale (tra le altre, Sez. 1, n. 8799 del 23/01/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 276166) il giudizio di credibilità del dichiarante e di attendibilità delle dichiarazioni deve essere l’esito di una motivata valutazione autonoma del giudicante e non può essere soddisfatto dal mero rinvio a quanto avvenuto in separati procedimenti che si risolva in un acritico recepimento di valutazioni operate da altri giudicanti.
Infine, è appena il caso di osservare:
sul tema del diverso esecutore, riferito da COGNOME per la specifica ragione che questi era interessato a scagionare sé stesso, indicato dal ricorrente come reale autore dell’omicidio, che la Corte territoriale affronta la critica già svolta con l’atto di appello (cfr. p. 72 e ss.) svolgendo un ragionamento in linea con i canoni interpretativi sin qui richiamati e immune da vizi di ogni tipo;
sul tema del mancato reperimento dei resti della moto usata per l’omicidio, indicata come incendiata nei pressi della villetta dell’imputato, ad opera di COGNOME, che questo viene affrontato e risolto, dai Giudici di secondo rado,
con ragionamento in fatto, non censurabile nella presente sede, perché intrinsecamente immune da illogicità manifesta (cfr. p. 95);
sul tema dell’arma consegnata da NOME a Piccione, il pomeriggio dopo l’omicidio, che questa, secondo lo stesso narrato del collaboratore richiamato nella motivazione, non era stata descritta come arma nuova o meno, dunque, indicando come non dirimente il ragionamento svolto dal ricorrente, circa la circostanza, di segno contrario, secondo la quale si era acclarato che si era trattato di una scacciacani (cfr. p. 87);
sul tema della posizione precisa della vettura a bordo della quale viaggiava la vittima (mentre percorreva INDIRIZZO – come affermato dai dichiaranti – o mentre era ferma all’incrocio con detta via, come sostenuto dalla difesa) che la Corte territoriale svolge argomenti rendendo una ricostruzione ineccepibile, in base alle risultanze delle prove raccolte (cfr. p. 81), spiegando, con ragionamento immune da illogicità manifesta, le ragioni dell’assoluta infondatezza della tesi difensiva secondo cui i colpi erano stati esplosi da un’altra autovettura, che mai aveva transitato sui luoghi e che, ove fosse comparsa sulla scena del delitto, non avrebbe potuto non essere notata dal teste oculare COGNOME
1.4. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il ricorrente deduce che tutti i collaboratori escussi sono dichiaranti de relato ex parte, mentre, secondo la qualificazione ineccepibile resa dai convergenti provvedimenti di merito, i dichiaranti COGNOME e COGNOME sono soggetti che hanno appreso i fatti non solo da COGNOME, ma anche da NOME COGNOME (cfr. p. 79 della sentenza di secondo grado), cioè da un componente del medesimo gruppo di COGNOME, denominato COGNOME.
Con tale elemento, rimarcato dai giudici di merito, non si confronta il ricorso che, dunque, per questa parte si presenta aspecifico.
Inoltre, deve osservarsi che l’autonomia genetica delle chiamate non è esclusa dalla comunanza di alcune delle fonti primarie, alle quali, peraltro, se ne accompagnano altre, tra loro indipendenti (cfr. p. 2 e ss. della sentenza di secondo grado).
Il motivo di ricorso poi, riprende il tema del diverso movente indicato dai dichiaranti COGNOME e COGNOME introducendo censure sovrapponibili a quelle già svolte con il terzo motivo di ricorso, rispetto alle quali, dunque, si richiamano le considerazioni di cui al § 1.3.
Anche rispetto al mancato reperimento della moto che, secondo COGNOME, sarebbe stata incendiata subito dopo il delitto, il motivo di ricorso svolge argomenti sovrapponibili al terzo motivo di ricorso. Dunque, si richiamano gli argomenti svolti da questo Collegio al § 1.3.
Infine, si osserva che un ulteriore elemento a carico è rappresentato dal narrato di COGNOME, reso per conoscenza diretta, il quale, pur nell’assenza della confessione da parte del dichiarante, assume, secondo i giudici di merito, univoco valore probatorio rispetto al fatto omicidiario.
1.5. Il quinto motivo è inammissibile.
Il motivo principale contesta, in modo inammissibile, il travisamento del fatto, indicato come violazione di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen. Invece, il vizio di travisamento della prova, come vizio censurabile ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., viene introdotto dalla difesa soltanto con i motivi nuovi del 16 febbraio 2024, con argomenti, peraltro, in parte diversi da quanto sostenuto con il motivo principale.
Comunque, si osserva che si devolvono, complessivamente, plurimi argomenti versati in fatto e, in ogni caso, tendenti ad accreditare una diversa interpretazione delle affermazioni di dichiaranti (COGNOME e COGNOME), con lo scopo di confermare la versione dell’imputato, quanto agli esecutori dell’omicidio.
Anzi, il ricorrente, apparentemente richiamando una pluralità di vizi di motivazione e di travisamento, ha, in sostanza, sollecitato l’inammissibile rilettura delle prove acquisite. Tanto, senza considerare che la costante giurisprudenza di questa Corte reputa preclusa, in sede di legittimità, ogni rivalutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre alla valutazione effettuata in sede di merito attraverso la rilettura delle emergenze processuali o una differente ricostruzione degli accadimenti o dell’attendibilità delle fonti di prova utilizzate (tra le altre, Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, dep. 2019, Battaglia, Rv. 275100-101; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217 01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482-01).
1.6. Il sesto motivo è inammissibile in quanto reiterativo dell’appello e del contenuto della memoria del 5 settembre 2023, entrambi esaminati dalla Corte territoriale con ragionamento completo e non manifestamente illogico.
Invero, la sostanziale riproposizione dei motivi di appello conduce all’aspecificità del ricorso: tale situazione va valutata non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel descritto vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591, comma 1 lett. c) cod. proc. pen., all’inammissibilità della impugnazione (cfr. Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 25556E3; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/05/2008, COGNOME, Rv. 240109; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, COGNOME, IRv. 230634).
1.7. Il settimo motivo è infondato.
Invero, questo Collegio osserva che non è decisivo, ai fini della conclusione cui pervengono i giudici di merito sulla credibilità dei tre collaboratori COGNOME e COGNOME, che l’auto della vittima sia stata da questi indicata come sita, al momento dell’agguato, in INDIRIZZO e non all’incrocio con la medesima INDIRIZZO, perché i dettagli relativi alle fasi esecutive dell’omicidio da quest narrati sono molteplici e vengono considerati dai giudici di merito complessivamente, come espressione dell’affidabilità del ricordo e dell’autenticità delle dichiarazioni eteroaccusatorie rese.
Peraltro, il ricorrente ipotizza che questa versione sia stata tratta dai collaboratori da notizie stampa che avevano ritratto i luoghi, all’epoca dei fatti, in modo tale da far sembrare, dalla prospettiva delle riprese, che l’auto percorresse INDIRIZZO e non che la vettura fosse, come acclarato, ferma all’incrocio.
Si tratta, tuttavia, di ragionamento del tutto ipotetico e, in ogni caso, versato in fatto che non tiene conto, peraltro, della circostanza che le prime dichiarazioni dei collaboratori risalgono al 2013, dunque a molti anni dopo la divulgazione delle notizie di stampa ritraenti lo stato dei luoghi descritto dal ricorrente.
Invece, rispetto agli altri elementi indicati come non esaminati il ricorrente, non specifica l’intrinseca decisività del dato che si assume travisato per omissione e, comunque, finisce per accreditare una versione alternativa rispetto a quella, complessivamente, recepita dai convergenti provvedimenti di merito, operazione non consentita nel giudizio innanzi a questa Corte.
Si osserva, comunque, che in tema di travisamento per omissione, la giurisprudenza di legittimità, in caso di cd. doppia conforme affermazione di responsabilità sostiene (tra le altre, Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258438) che il vizio di omessa valutazione di una prova indicata come decisiva, possa essere dedotto con il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto, come oggetto di valutazione, nella motivazione del provvedimento di secondo grado.
Inoltre, il vizio di travisamento della prova, è ravvisabile solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la decisiva forza dimostrativa del dato probatorio, fermi restando il limite del devolutum e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, COGNOME, Rv. 258774).
Detta decisività non si rinviene nella specie, analizzando il complessivo ragionamento, non manifestamente illogico, dei giudici di merito.
1.8. L’ottavo motivo è infondato.
Come osservato dal Sostituto Procuratore generale, nella requisitoria scritta fatta pervenire a questa Corte, non è stata esclusa l’utilizzabilità delle dichiarazioni di COGNOME per violazione dell’art. 195, comma 3, cod. proc. pen., a fronte dell’intervenuto decesso di COGNOME ci&del teste riferito.
La Corte territoriale, invece, ha ritenuto che le stesse sono rimaste prive di riscontro nella ricostruzione dei fatti che seguì l’omicidio, sulla base di un insieme di elementi, analiticamente esaminati, secondo un giudizio di fatto ineccepibile perché immune da illogicità manifesta e, dunque, non rivedibile nella presente sede.
1.9. Il nono motivo è inammissibile in quanto integralmente versato in fatto e tendente all’assoluta rivisitazione della ricostruzione resa dai convergenti provvedimenti di merito, operazione inibita nel giudizio di legittimità.
Coerente rispetto al canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio, previsto dall’art. 533 cod. proc. pen., risulta la motivazione, sia nel contenuto che nella forma utilizzata dall’estensore. Il criterio di attribuzione della responsabilità, cu ha fatto ricorso la Corte territoriale, si fonda infatti, su parametri del tutto linea con quello normativo di indispensabile valutazione della colpevolezza penale.
Si tratta, come è noto, di parametro di verifica, obbligatoriamente prescritto dall’art. 533 cod. proc. pen. che, connesso alla presunzione di innocenza o non colpevolezza, richiede il superamento dell’oltre ogni ragionevole dubbio e non già la mera verosimiglianza, sia pur dotata di forte plausibilità, della ricostruzione adottata, così assicurando lo standard richiesto dal legislatore, in conformità all’art. 27 Cost. (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430, in mot.). Proprio in adesione a tale canone di giudizio, i giudici di appello hanno ragionato in termini di certezza della colpevolezza per il reato contestato e per la sua attribuibilità all’imputato, senza accedere ad alcun dubbio.
1.10. Il decimo motivo è infondato.
L’iter logico attraverso il quale la sentenza impugnata ha riconosciuto la configurabilità della circostanza aggravante del metodo di cui all’art. 7 legge n. 203 del 1991, sulla base di un’attenta disamina della dinamica dell’azione omicidiaria realizzata con la forma dell’agguato mafioso, appare in linea con la giurisprudenza di legittimità secondo cui la suddetta circostanza ricorre nel caso in cui le modalità esecutive della condotta siano idonee, in concreto, a evocare, nei confronti dei consociati, la forza íntimidatrice tipica dell’agire mafioso (cfr Sez. 1, n. 38770 del 22/06/2022, COGNOME, Rv. 283637 – 01) quand’anche
quest’ultima non sia direttamente indirizzata sui soggetti passivi, ma risulti, comunque, funzionale a una più agevole e sicura consumazione del reato (Sez. 2, n. 22096 del 3/07/2020, COGNOME, Rv. 276109 – 01; Sez. 6, n. 41 772 del 13/06/2017, Vicedomini, Rv. 271103 – 01; Sez. 1, n. 5881 del 4/11/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251830 – 01).
Del resto, il citato orientamento di legittimità propende per la configurabilità della circostanza aggravante dell’utilizzazione del metodo mafioso anche senza che sia dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia assumano veste tipicamente mafiosa. Ciò in quanto la circostanza citata ha la funzione di reprimere il metodo delinquenziale, connesso non alla struttura e alla natura del delitto rispetto al quale la circostanza è contestata, quanto alle modalità della condotta che evochino la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso (cfr. Sez. 5, n. 22554 del 9/03/2018, COGNOME, Rv. 273025 – 01).
Sicché, in continuità con tale indirizzo interpretativo, la Corte territoriale (cfr. p. 99) ha rimarcato che l’agguato è stato pianificato con modalità brutali di realizzazione, con l’impiego di un’arma modificata, con organizzazione di uomini e mezzi, realizzando l’azione omicidiaria in pochi minuti, elementi comprovanti la professionalità criminale tipica degli appartenenti a gruppi organizzati e di chi, operando in tale gruppo, sia stato a tale condotta da questo autorizzato. Dunque, la sussistenza della circostanza aggravante si è acclarata, dandone conto con ragionamento ineccepibile, non solo in base alle caratteristiche soggettive degli autori del reato, ma tenendo conto delle modalità esecutive dell’azione, reputandole, in concreto, idonee a evocare la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso.
1.11. L’undicesimo motivo è inammissibile
La motivazione offerta (cfr. p. 102) dalla Corte territoriale è immune da illogicità manifesta e, peraltro, affronta e risolve le medesime censure già devolute con l’atto di appello, rispetto al quale, quindi, il motivo di ricorso s appalesa meramente reiterativo.
1.12. Il dodicesimo motivo è manifestamente infondato.
La premeditazione è stata confermata dalla sentenza impugnata sulla base di un accurato esame del complesso degli elementi di convincimento emersi nel rito speciale espletato, che ha condotto a reputare che, nel caso al vaglio, il delitto era stato deciso in un arco temporale apprezzabile, tale per far recedere l’agente dalla condotta e dalla decisione adottata.
Nella specie, peraltro, si segnala da parte dei giudici di merito, che si è trattato di un vero e proprio agguato, dato che assume specifica rilevanza probatoria ai fini della configurabilità della circostanza aggravante.
Il ragionamento svolto in sede di merito, appare conforme alla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, in tema di omicidio volontario, l’agguato costituisce, in astratto, indice rivelatore straordinario quanto alla circostanza aggravante della premeditazione, perché sinonimo di imboscata o insidia preordinata che postula un appostamento, protratto per un tempo più o meno lungo, in attesa della vittima designata e in presenza di mezzi e modalità tali da non consentire dubbi sul reale intendimento dell’autore; sicché già il pur breve arco di tempo dell’attesa, può valere a soddisfare gli elementi costitutivi della premeditazione. Si fa riferimento al requisito ideologico, consistente nel perdurare nell’animo del soggetto, senza soluzione di continuità fino alla commissione del reato, di una risoluzione criminosa ferma e irrevocabile, nonché a quello cronologico, rappresentato dal trascorrere di un intervallo di tempo apprezzabile, fra l’insorgenza e l’attuazione di tale proposito, in concreto sufficiente a far riflettere l’agente sulla decisione presa e a consentire il prevalere dei motivi inibitori su quelli a delinquere (tra le altre, Sez. 5, n. 26406 de 11/03/2014, COGNOME, Rv. 260219 – 01).
Sempre secondo i parametri interpretativi dettati da questa Corte, si osserva, poi, che ai fini della configurabilità della circostanza aggravante in questione, è rimesso al giudice di merito apprezzare tutte le peculiarità della concreta fattispecie, accertando se i prescritti requisiti sussistano o siano, invece, l’uno o l’altro da escludere (come nel caso di avvistamento casuale della vittima o, comunque, di un agguato frutto di iniziativa estemporanea) laddove la risoluzione omicida non sia maturata attraverso lunga riflessione, con possibilità di recesso prima dell’attentato.
Nel caso in esame, i giudici di merito hanno accertato, con ragionamento ineccepibile, la presenza dei suddetti requisiti proprio attraverso la valutazione di tutte le peculiarità della fattispecie.
1.13. Il tredicesimo motivo è inammissibile.
La Corte territoriale evidenzia che la richiesta di continuazione era stata formulata subordinatamente all’accoglimento del motivo sulla circostanza aggravante della premeditazione,come da memoria del 23 febbraio 2023, a firma dell’imputato, riportata a p. 101 della sentenza impugnata. Si tratta di ratio decidendi non avversata con il ricorso e, comunque, da reputarsi assorbente, considerata la rilevata manifesta infondatezza del motivo di ricorso sulla premeditazione. Sicché la richiesta, avanzata soltanto in via subordinata, non può costituire oggetto di esame nella presente sede.
Dunque, non può essere esaminata neppure la prospettata questione circa la sussistenza dell’interesse al riconoscimento della continuazione, in quanto assorbita, della quale eventualmente, si potrà dibattere in sede esecutiva.
1.14. Infine, è appena il caso di osservare che il rigetto del ricorso per cassazione preclude l’esame della richiesta di declaratoria di inefficacia della custodia cautelare in atto nei confronti dell’imputato, perché la misura della custodia cautelare sarebbe stata applicata a distanza di sei mesi dalla pronuncia della sentenza di primo grado.
Invero, quando diventa irrevocabile la sentenza di condanna a pena detentiva superiore al presofferto, la definitività dell’accertamento del merito, aprendo la fase esecutiva del processo, esclude la possibilità della rimessione in libertà e, dunque, fa venire meno l’interesse alla questione cautelare devoluta (cfr. in tema di inammissibilità dell’impugnazione cautelare, dopo la definitività della condanna, Sez. 6, n. 10786 del 09/02/2018, Privitera, Rv. 272764 – 01 Sez. 1, n. 33913 del 23/06/2015, Fondino, Rv. 264758 – 01).
I motivi nuovi, depositati il 16 febbraio e il 18 febbraio 2024, sono inammissibili.
2.1. In primo luogo, si osserva che è inammissibile la produzione difensiva a questi allegata. Si tratta di atti non ricevibili in rapporto ai limiti cognitivi del giudizio di legittimità.
2.2. In secondo luogo, si osserva che si tratta di motivi che non sono idonei a sanare l’inammissibilità originaria del vizio del travisamento del fatto formulato nell’interesse dell’imputato, anche con erronea indicazione della norma di legge cui si riferisce il vizio denunciato, di cui ai motivi uno, tre e cinque del ricors principale.
Invero, nel caso al vaglio, il ricorrente, nella formulazione dei motivi indicati, ha errato non solo nell’individuazione della norma che si assume violata, ma anche nella strutturazione del motivo di impugnazione come travisamento del fatto.
Di qui l’inidoneità dei motivi nuovi a sanare l’inammissibilità originaria dei corrispondenti motivi principali.
Invero, in caso di inammissibilità del ricorso principale, a mente dell’art. 593 cod. proc. pen., norma di carattere generale applicabile anche al ricorso per cassazione, questa si estende anche ai motivi nuovi, con la conseguenza che l’inammissibilità dell’atto di impugnazione rende inammissibile il proposto ricorso anche se successivamente, come nel caso al vaglio, sono stati depositati (ammissibili) motivi nuovi ad integrazione, nei termini di legge (Sez. 5, n. 48044 del 02/07/2019, COGNOME, Rv. 277850).
In ogni caso, poi, il dedotto travisamento della prova non viene articolato con le medesime argomentazioni rispetto alle censure che erano state, originariamente, devolute con il motivo principale.
Infine, nemmeno con i motivi nuovi si specifica la decisività del presunto travisamento della prova consistente, secondo la difesa del ricorrente, nell’affermazione della Corte territoriale secondo la quale il consulente tecnico del Pubblico ministero non aveva avuto a propria disposizione l’arma del delitto e gli indumenti della vittima.
2.3. Infondato, infine, è il motivo aggiunto formulato con atto fatto pervenire in data 18 febbraio 2024.
La difesa, conclusivamente, considera in violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. prod. pen., perché in contrasto con l’art. 27 Cost., la motivazione dei giudici di merito, nella parte in cui finisce per attribuire la responsabilit all’imputato per la morte del Romano, in quanto evento soltanto astrattamente possibile, senza giungere alla certezza della prova.
Ciò, in particolare, con riferimento al ritenuto utilizzo, per l’agguato, di una moto di tipo Enduro, acclarato sulla base della testimonianza del teste oculare che, invece, sarebbe stata oggetto di travisamento, nonché circa l’utilizzo di un cannocchiale per studiare gli spostamenti della vittima prima dell’agguato, circostanza reputata confermata dal rinvenimento di un binocolo da teatro al momento dell’arresto di COGNOME di cui, però, non è stata accertata la potenza.
Si tratta, per la difesa, di circostanze non riscontrate da altre dichiarazioni o elementi di fatto raccolti aliunde.
Il Collegio, tuttavia, osserva, che proprio le circostanze in parola trovano formidabile riscontro, non soltanto nella pluralità di elementi che la sentenza impugnata valorizza, ma, in particolare, anche in quanto dichiarato, secondo i giudici di merito, dal collaboratore COGNOME il quale ha ricordato che COGNOME gli aveva consegnato due caschi e che si era disfatto di un’arma, compresi i proiettili. Si tratta di circostanza, con ragionamento ineccepibile, reputata significativa, stante l’indicata presenza di due caschi, riscontro individualizzante forte perché il teste oculare ha indicato la presenza, a bordo della moto, di due occupanti che indossavano caschi integrali.
Segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Lo GLYPH O z o GLYPH Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese ha processuali. Così deciso, il 25 settembre 2024 c , …. Li….v