Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 34645 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: NOME COGNOME
Penale Sent. Sez. 1 Num. 34645 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME COGNOME NOME
– Relatore –
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a SIRACUSA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a SIRACUSA il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 07/11/2024 della CORTE di ASSISE di APPELLO di CATANIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udita la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO COGNOME, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;
udito l’AVV_NOTAIO, che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso ed insistendo per l’accoglimento degli stessi.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di assise di appello di Catania ha confermato la decisione del 21 febbraio 2022 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale della medesima città, che aveva ritenuto NOME COGNOME e NOME COGNOME – in concorso tra loro – colpevoli del delitto di cui agli artt. 575, 577, 416bis .1 cod. pen. – perchØ, una volta giunti dinanzi al locale denominato ‘Bar NOME‘, ubicato in Siracusa, a bordo di un ciclomotore condotto da COGNOME, COGNOME, travisato da un casco da motociclista, faceva ingresso all’interno dell’esercizio commerciale impugnando una pistola e, raggiunto NOME COGNOME, lo attingeva con diversi colpi di arma da fuoco al dorso e alla nuca, così cagionandone la morte, dandosi poi alla fuga unitamente a COGNOME, rimasto in attesa sulla pubblica via (omicidio contestato come aggravato dalla premeditazione, nonchØ dal fine di agevolare l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE denominata RAGIONE_SOCIALE, della quale i due imputati facevano parte) – e, per l’effetto, riconosciuta quanto a COGNOME la contestata recidiva reiterata e infraquinquennale,aveva condannato ciascuno alla pena di anni trenta di reclusione, previa riduzione per il rito prescelto; con applicazione delle pene accessorie della interdizione in perpetuo dai pubblici uffici, oltre che della interdizione legale durante il tempo di espiazione della pena e della sospensione della responsabilità genitoriale, nel corso dell’espiazione della pena; con sottoposizione di entrambi i condannati – una volta eseguita la pena – alla misura di sicurezza della libertà vigilata per il periodo di anni tre; con confisca delle munizioni e degli accessori in sequestro; con condanna di entrambi al risarcimento dei danni subiti dalle costituite parti civili NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, danni da liquidarsi in separata sede, nonchØ alla rifusione delle spese di
costituzione e assistenza da esse affrontate.
Ricorrono per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME, con ricorsi distinti, entrambi a firma dell’AVV_NOTAIO; gli atti di impugnazione sono tra loro del tutto sovrapponibili e si compongono entrambi di tre motivi, per cui possono essere enunciati congiuntamente, entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo dei ricorsi presentati nell’interesse degli imputati, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1 lett. e) cod. proc. pen., per contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 546 comma 1, lett. e) e 192 cod. proc. pen. Sostiene la difesa che la sentenza impugnata si sia limitata ad esaltare il contributo dichiarativo offerto dai collaboratori di giustizia, svalutando immotivatamente gli elementi certi, nonchØ di segno contrario, forniti dai testimoni oculari.
2.2. Con il secondo motivo dei ricorsi presentati nell’interesse degli imputati, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1 lett. e) cod. proc. pen., per contraddittorietà, ovvero per carenza ed illogicità della motivazione in relazione alla affermazione di responsabilità dei ricorrenti, con particolare riferimento alla ritenuta attendibilità delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia e, per converso alla non credibilità dei testimoni oculari.
2.3. Con il terzo motivo dei ricorsi presentati nell’interesse degli imputati, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1 lett. b) cod. proc. pen., per inosservanza o erronea applicazione degli artt. 577 e 416bis .1 cod. pen., lamentandosi violazione di legge, con riferimento alla ritenuta sussistenza della premeditazione e dell’aggravante RAGIONE_SOCIALE.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati.
Come già sintetizzato in parte espositiva, i due ricorrenti sono stati condannati alla pena di trenta anni di reclusione, per un fatto omicidiario molto risalente nel tempo, ossia per l’assassinio di NOME COGNOME, commesso a Siracusa in data 3 settembre 2002; sono state ritenute sussistenti tanto l’aggravante RAGIONE_SOCIALE, quanto la premeditazione. Attenendosi alla ricostruzione storica e oggettiva sussunta nella avversata decisione, i due imputati giunsero nei pressi di un bar a bordo di un ciclomotore e – restato COGNOME in strada ad attendere – COGNOME fece ingresso nel locale con il casco in testa, nonchØ impugnando una pistola ed esplose vari colpi proiettili all’indirizzo di NOME COGNOME, attingendolo al dorso e alla nuca e, quindi, uccidendolo.
La decisione di condanna trae alimento dalle dichiarazioni rese da diversi collaboratori di giustizia, ossia NOME COGNOME, NOME COGNOMECOGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME; delle propalazioni di tali dichiaranti, la Corte territoriale ha valutato l’attendibilità ed ha evidenziato l’esistenza di adeguati riscontri.
¨ opportuno premettere, tenuto conto che il difetto Ł comune a piø motivi di ricorso che denunciano il vizio della motivazione, come il compito del giudice di legittimità non consista nel sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito; tale compito si sostanzia invece esclusivamente nel fatto di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione degli stessi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n, 930 del 13/12/1995 dep. 1996, Clarke, Rv. 203428; Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 dep. 2000, COGNOME G, Rv. 215745;
Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 dep. 2004, Elia, Rv. 229369).
3.1. Dall’affermazione di questo principio, si traggono alcuni corollari. Ad eccezione del caso in cui il ricorso prospetti compiutamente l’esistenza di un «ragionevole dubbio», esula dai poteri della Corte di cassazione, nell’ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacchØ tale attività Ł riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica dell’iter argomentativo di tale giudice, accertando se quest’ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione.
La specificità della disposizione di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., esclude poi che la norma possa essere dilatata per effetto di regole processuali concernenti la motivazione stessa, utilizzando la diversa ipotesi di cui all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. Tantomeno può costituire motivo di ricorso, sotto il profilo dell’omessa motivazione, il mancato riferimento a dati probatori acquisiti.
Se Ł vero che tale vizio Ł ravvisabile non solo quando manca completamente la parte motiva della sentenza, ma anche qualora non sia stato considerato un argomento fondamentale per la decisione espressamente sottoposto all’analisi del giudice, il concetto di mancanza di motivazione non può essere tanto esteso da includere ogni omissione concernente l’analisi di determinati elementi probatori. Invero, un elemento probatorio estrapolato dal contesto in cui esso si inserisce, non posto a raffronto con il complesso probatorio, può acquisire un significato molto superiore a quello che gli Ł attribuibile in una valutazione completa del quadro delle prove acquisite. Ritenere il vizio di motivazione per l’omessa menzione di un tale elemento nella sentenza comporterebbe il rischio di annullamento di decisioni logiche, e ben correlate alla sostanza degli elementi istruttori disponibili. Per ovviare ad un tale rischio, la Corte di legittimità dovrebbe valutare la portata dell’elemento additato dalla difesa nel contesto probatorio acquisito, con una sovrapposizione argomentativa che sconfinerebbe nei compiti riservati al giudice di merito (Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Reggio, Rv. 254988; Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, COGNOME, Rv. 239789).
3.2. Venendo al piø specifico tema del «vizio di manifesta illogicità» della motivazione, va osservato che il relativo controllo viene esercitato esclusivamente sul fronte della coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza la possibilità, per il giudice di legittimità, di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo; sicchØ nella verifica della fondatezza, o meno, del motivo di ricorso ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il compito della Corte di cassazione non consiste nell’accertare la plausibilità e l’intrinseca adeguatezza dei risultati dell’interpretazione delle prove, coessenziale al giudizio di merito, ma quello, ben diverso, di stabilire se i giudici di merito: a) abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione; b) abbiano dato esauriente risposta alle deduzioni delle parti; c) nell’interpretazione delle prove abbiano esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
3.3. Ne consegue che, ai fini della denuncia del vizio in esame, sempre che non sia dedotto un dubbio ragionevole, Ł indispensabile dimostrare che il testo del provvedimento sia manifestamente carente di motivazione e/o di logica, per cui non può essere ritenuto legittimo l’opporre alla valutazione dei fatti contenuta nel provvedimento impugnato una
diversa ricostruzione degli stessi, dato che in quest’ultima ipotesi verrebbe inevitabilmente invasa l’area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito (Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007, COGNOME, Rv. 236540; Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, COGNOME, Rv. 250168). 3.4. Passando al tema del travisamento di prova va osservato che, a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., ad opera della L. n. 46 del 2006, art. 8, mentre non Ł consentito dedurre il «travisamento del fatto» (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099), stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, Ł invece consentita la deduzione del vizio di «travisamento della prova», che ricorre nel caso in cui il giudice del provvedimento impugnato abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano (Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, COGNOME, Rv. 2382157; Sez. 3, nr. 39729 del 18/06/2009, COGNOME, Rv. 244623).
Sul tema va ancora precisato che la novella codicistica, introdotta con la L. n. 46 del 2006, nel riconoscere la possibilità di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad «atti processuali», non ha comunque mutato la natura del giudizio di Cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, sicchØ gli atti eventualmente indicati devono contenere elementi processualmente acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento impugnato e nell’ambito di una valutazione unitaria, e devono essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso (Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina, Rv. 235716).
Il primo e il secondo motivo rampollano da una evidente matrice comune e ben si prestano, dunque, ad una agevole trattazione unitaria.
4.1. La difesa lamenta, in primo luogo, come sussista una discrasia, quanto all’indicazione dell’altezza dello sparatore; questi Ł indicato dalle persone presenti, infatti, come un soggetto alto metri 1,70, laddove COGNOME, pacificamente, Ł alto metri 1,90. Prosegue l’impugnazione, ricordando come la stessa sentenza impugnata evidenzi la sussistenza di differenze, nelle narrazioni dei vari collaboratori e, comunque, non chiarisca in modo appropriato e completo la ragione della ritenuta inattendibilità dei testi oculari, i quali smentiscono i collaboratori di giustizia. Avrebbe errato la Corte di assise di appello, in sostanza, nel definire le dichiarazioni rese da questi ultimi convergenti nel nucleo essenziale, oltre che non inficiate nella loro attendibilità dalle divergenze sussistenti.
La sentenza impugnata – in ipotesi difensiva – avrebbe finito per valutare come tra loro combacianti le propalazioni dei collaboratori di giustizia, limitandosi però a considerare l’indicazione dei due soggetti attivi dell’omicidio; non avrebbe tenuto conto, quindi, degli ulteriori aspetti contraddittori, che attengono all’indicazione del modello del ciclomotore e della pistola. Aggiunge la difesa che la fonte comune a tutti i collaboratori Ł NOME COGNOME, il quale avrebbe riferito – ai diversi soggetti ai quali ha riportato le nozioni in suo possesso – circostanze tra loro difformi.
La perizia medico legale, inoltre, avrebbe confermato come l’esecutore materiale e la vittima fossero soggetti della medesima altezza (ed Ł pacifico che COGNOME fosse alto metri 1,70). E infine NOME COGNOME, secondo la difesa, sarebbe un soggetto del tutto inattendibile (egli, infatti, si colloca sul luogo del delitto, pur non essendo stato visto nØ dagli altri testi, nØ dalla p.g.; la sua attendibilità, inoltre, risulterebbe smentita dalla sua conoscenza degli atti
del processo).
4.2. In diritto, giova ricordare che – a fronte di dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia occorre saggiarne e attestarne sia la credibilità soggettiva, sia l’attendibilità oggettiva dei narrati da essi provenienti e, infine, verificarne la vicendevole capacità di riscontrarsi a livello individualizzante. Quest’ultima postula la convergenza delle chiamate, in relazione a circostanze rilevanti del thema probandum , nonchØ la loro autonomia genetica (vale a dire, la derivazione da fonti di informazione diverse) e, infine, la loro indipendenza, nel senso che non appaiano frutto di intese fraudolente (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255143-01; Sez. 1, n. 41238 del 26/06/2019, COGNOME, Rv. 277134). ¨ necessario, in sostanza, non arrestarsi ad un mero vaglio inerente alla constatazione dell’avvenuta collaborazione con la giustizia in altri processi, bensì incentrare la complessiva analisi del narrato muovendo dalla personalità dei dichiaranti, dalla genesi della loro collaborazione con la giustizia e – in special modo – dai rapporti intessuti con gli accusati, circostanza fortemente evocativa di una diretta e immediata percezione dei fatti per i quali si procede, oltre che delle dinamiche interpersonali poste a monte degli stessi.
NØ può essere tralasciato il dato – di tenore oggettivo e, pure, specificamente dimostrativo della affidabilità della fonte di conoscenza – rappresentato dalla durata della militanza dei propalanti, all’interno di sodalizi appartenenti alla criminalità organizzata. Attraverso la evidenziazione delle specificità – anche, ma non solo di tipo cronologico – connotanti le singole narrazioni, vanno poi esclusi sospetti di reciproco inquinamento, ovvero di possibile astio nei collaboranti. L’analisi implica poi il raccordo – di tenore logico e intratestuale – fra le dichiarazioni dei vari collaboranti e, successivamente, con gli elementi oggettivi raccolti nel corso delle indagini, in funzione di riscontro. In riferimento a tale ultima tematica, Ł bene rammentare che – attenendosi ai principi dogmatici elaborati in questa materia dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. la succitata Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, Aquilina, Rv. 255145) – il giudice Ł chiamato a verificare la sussistenza di tre requisiti, rappresentati:
dalla credibilità soggettiva del dichiarante, valutata alla stregua di elementi personali quali le sue condizioni socio-economiche e familiari, il suo passato, i rapporti con l’accusato, la genesi e le ragioni che lo hanno indotto alla confessione e all’accusa dei coautori e complici;
dall’attendibilità intrinseca del contenuto dichiarativo, desunta da dati quali la spontaneità, la verosimiglianza, la precisione, la completezza della narrazione dei fatti, la concordanza tra le dichiarazioni rese in tempi diversi;
dalla riscontrabilità oggettiva del dichiarante, attraverso elementi di prova o indiziari estrinseci, i quali devono essere esterni alla chiamata onde evitare il fenomeno della c.d. “circolarità” probatoria e che possono consistere in elementi probatori o indiziari di qualsiasi tipo e natura, ivi compresa un’altra chiamata in correità (Sez. 1, n. 16792 del 9/4/2010, COGNOME, Rv. 246948; Sez. 2, n. 16183 del 1/2/2017, Fiore, Rv. 269987); a condizione, in quest’ultimo caso, che le convergenti dichiarazioni accusatorie, ritenute intrinsecamente attendibili, siano realmente autonome e che la loro coincidenza non sia fittizia, come nel caso in cui una chiamata abbia condizionato l’altra (cfr. ancora Sez. U., n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255143).
Peraltro, in piena coerenza con quest’ultima decisione delle Sezioni Unite, anche la successiva giurisprudenza di legittimità ha precisato che – nella valutazione della chiamata in correità o in reità – il giudice, ancora prima di accertare l’esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità
oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., in proposito, alcuna specifica tassativa sequenza logicotemporale (Sez. 4, n. 34413 del 18/06/2019, Khess, Rv. 276676 – 01)
Quanto al profilo della convergenza delle dichiarazioni collaborative, ci si deve rifare al consolidato orientamento di legittimità, secondo cui le dichiarazioni accusatorie provenienti da plurime fonti possono anche offrirsi reciproco riscontro, a patto che si proceda comunque alla loro valutazione, in uno agli ulteriori elementi di prova atti a confermarne la credibilità, in modo che resti verificata la concordanza circa il nucleo essenziale della narrazione, restando quindi indifferenti eventuali divergenze o discrasie che investano soltanto elementi circostanziali del fatto, a meno che tali discordanze non siano sintomatiche di una insufficiente attendibilità dei chiamanti stessi (Sez. 1, n. 7643 del 28/11/2014, Rv. 262309). Stando alla condivisa giurisprudenza di questa Corte, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia appartenente ad altro RAGIONE_SOCIALE criminoso possono assumere rilievo probatorio purchØ supportate da validi elementi di verifica in ordine al fatto che la notizia riferita costituisca, effettivamente, oggetto di patrimonio conoscitivo comune, derivante da un flusso di informazioni attinenti a fatti di interesse per gli associati, indipendentemente dalla escussione della fonte da cui sono promanate le informazioni (Sez. 4, n. 1097 del 22/10/2020, dep. 2021, Domicoli, Rv. 280241 – 01). La conclusione riposa sulla massima di comune esperienza che, in una dinamica di necessario governo del territorio, ben può giustificarsi, alla luce della specificità dei vari contesti, la conoscenza non solo degli appartenenti al proprio gruppo, ma anche degli elementi di gruppi diversi.
4.3. Nella concreta fattispecie, la Corte territoriale ha fornito adeguata e coerente risposta a tutte le critiche formulate in sede di gravame, dialogando motivatamente con le questioni che il presente ricorso ripropone pedissequamente.
4.3.1. Adeguatamente affrontato risulta, anzitutto, il tema inerente all’altezza dello sparatore, nonchØ quello concernente la difforme indicazione – da parte dei vari collaboratori di giustizia – sia del modello di scooter adoperato dagli assassini per giungere sul posto, sia della pistola utilizzata. I Giudici del merito, infatti, hanno evidenziato come le ricostruzioni dei soggetti presenti al fatto non potessero che risultare vaghe e sommarie, proprio in ragione della natura estremamente rapida, fulminea dell’azione delittuosa alla quale essi avevano assistito; la modalità estremamente repentina, secondo la quale si Ł snodato l’accadimento de quo , non può non essersi riverberata negativamente sulla saldezza e sulla effettività del ricordo dei presenti. La Corte di assise di appello, sul punto specifico, ha esposto nel dettaglio tutte le differenze descrittive, emergenti dalle dichiarazioni rese dai vari soggetti presenti al fatto, sottolineando discrasie attinenti:
al casco da motociclista indossato dallo sparatore (che era di colore bianco secondo NOME COGNOME, ma che Ł stato descritto come di colore nero da NOME COGNOME e NOME COGNOME, laddove NOME COGNOME ha addirittura dichiarato di non ricordare se l’assassino entrato nel locale avesse, o meno, il casco in testa);
al fatto che lo sparatore impugnasse, o meno, la pistola con la mano destra (fatto riferito da COGNOME, ma non da COGNOME e NOME).
Quanto al profilo della statura dello sparatore, trattasi di una tematica che ha percorso come una corrente invisibile – l’intera trama del processo e con cui la Corte distrettuale, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa mediante la presente impugnazione, si Ł congruamente confrontata. Nella sentenza impugnata, infatti, si ricorda come COGNOME abbia indicato tale statura in metri 1,70 o poco piø (descrivendo un soggetto di corporatura giovanile), laddove COGNOME ha fissato tale statura in metri 1,68 e NOME ha fatto riferimento a
metri 1,70/1,75. Trattasi di informazioni, conclude la Corte territoriale, tutte riconducibili ad un soggetto certamente non visivamente caratterizzato dalla bassa statura e che lasciano trasparire, palesemente, una marcata connotazione approssimativa e generica. Descrizioni profondamente segnate, ancora una volta, dalla natura brevissima dell’osservazione e dalla presenza temporalmente molto circoscritta dello sparatore all’interno del locale, in una situazione, peraltro, di forte emotività, correlata alla natura violenta e improvvisa del gesto omicida posto in essere.
Trattasi di elementi che la Corte, dopo averli scrupolosamente vagliati, ha reputato non idonei a scalfire la solidità dei riferimenti operati dai collaboratori di giustizia.
Non ha nemmeno mancato, la Corte distrettuale, di evidenziare svariati profili di scarsa attendibilità soggettiva di alcuni dei testi, quali NOME e COGNOME (per essere entrambi pregiudicati, l’uno per RAGIONE_SOCIALE a delinquere di stampo RAGIONE_SOCIALE e l’altro per ricettazione e tentata rapina).
4.3.2. La sentenza impugnata, inoltre, ha affrontato approfonditamente la questione dell’attendibilità di ciascun collaboratore e dei riscontri alle sue dichiarazioni.
Gli elementi di valutazione e conoscenza in cui si sostanzia l’impianto accusatorio, come sopra accennato, sono costituiti dalle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME. Di tali propalazioni, la Corte territoriale ha valutato compiutamente l’attendibilità, evidenziando i dati ritenuti in grado di fungere da riscontro.
La Corte di assise di appello ha anche preso in considerazione le dichiarazioni provenienti dal collaboratore NOME COGNOME, il quale ha indicato – quale unico autore del fatto NOME COGNOME, ritenendo trattarsi di affermazioni restate prive del necessario riscontro. I Giudici di appello, inoltre, hanno sottolineato come le dichiarazioni rese da NOME COGNOME – sarebbe a dire, da colui che sostiene di avere visto la vittima che ancora si muoveva, una volta entrato nel locale dopo la realizzazione dell’attentato (sebbene alcun dichiarante abbia suffragato tale affermazione) – siano smentite dai risultati dell’autopsia, che non ha fatto riferimento ad una paralisi degli arti ed ha ritenuto che la morte sia sopravvenuta all’esito di un breve periodo agonico. Aggiunge la sentenza, infine, come la traiettoria dei colpi non valga a fissare la statura dello sparatore a metri 1,70.
In conclusione, la Corte territoriale ha ritenuto essere attendibili i sopra menzionati collaboratori di giustizia, nonostante la sussistenza di marginali distonie fra le varie dichiarazioni da questi rese (soprattutto per quanto attiene alla pistola ed al ciclomotore). Ciò in ragione del fatto che – ad avviso dei giudici del merito – le ricostruzioni provenienti dai diversi collaboratori di giustizia convergono quanto al nucleo essenziale, che Ł costituito dall’indicazione degli autori dell’omicidio e dalla causale. In tale prospettiva – prosegue la sentenza impugnata – le divergenze riscontrabili all’interno delle varie narrazioni riguardano aspetti secondari e, anzi, sono evocative della genuinità del racconto.
A prescindere dalle marginali e ininfluenti discrasie, secondo la Corte territoriale, vi Ł in quasi tutte le narrazioni il riferimento a una pistola TARGA_VEICOLO, già utilizzata in occasione di un precedente agguato (trattasi di circostanza risultata riscontrata), fatto che aveva suscitato preoccupazioni.
COGNOME, COGNOME e COGNOME, infatti, fanno riferimento a una pistola già usata in occasione di un tentato omicidio da NOME COGNOME e NOME COGNOME e che era restata nella disponibilità del clan (la riconducibilità del tentato omicidio di NOME COGNOME e NOME COGNOME a questi ultimi, peraltro, Ł ormai cristallizzata in una sentenza passata in giudicato); hanno precisato, altresì, come l’arma sia stata consegnata a COGNOME per il tramite
di NOME COGNOME e NOME COGNOME. Lo stesso COGNOME – prosegue la Corte distrettuale – riferisce che COGNOME, successivamente all’omicidio, si era preoccupato di poter essere individuato, proprio in forza dell’utilizzo di una pistola già adoperata in passato per altro gesto delittuoso.
Tutti i dichiaranti, inoltre, fanno riferimento all’utilizzo di uno scooter, anche se ne indicano tipi differenti.
4.4. Quanto al profilo valutativo inerente al controllo delle fonti di conoscenza, trattasi di collaboratori che mutuano le nozioni che poi riportano da fonti tra loro ben distinte, così potendosi escludere il pur minimo sospetto di scarsa genuinità, ovvero di sovrapposizione di notizie, così come di circolarità delle informazioni, che la difesa incongruamente assume scaturire tutte da una sola fonte, ossia da NOME COGNOME. Non vi Ł chi non rilevi, anzi, come le narrazioni operate da COGNOME – tanto a COGNOME, quanto a COGNOME – siano qualificabili alla stregua di vere e proprie confessioni stragiudiziali.
4.4.1. Giova ricordare che – stando al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità – la confessione stragiudiziale dell’imputato assume valore probatorio, in conformità alle regole del mezzo di prova che la veicola all’interno del processo e, laddove venga in rilievo una prova dichiarativa, con l’applicazione dei relativi criteri di valutazione (si vedano Sez. 5, n. 11296 del 22/11/2019, dep. 2020. Vegini, Rv. 278923 – 01; Sez. 2, n. 38149 del 18/06/2015, COGNOME, Rv. 264972; Sez. 1, n. 17240 del 02/02/2011, COGNOME, Rv. 249960; si veda anche Sez. 1, n. 6467 del 11/05/2017, dep. 2018, Secolo, Rv. 272100 – 01, a mente della quale: ‹‹La confessione stragiudiziale può essere assunta a fonte del libero convincimento del giudice quando, valutata in sØ e raffrontata con gli altri elementi di giudizio, sia possibile verificarne la genuinità e la spontaneità in relazione al fatto contestato›› e, nello stesso senso, Sez. 5, n. 38252 del 15/07/2008, NOME, Rv. 241572 – 01).
4.4.2. In linea con l’indirizzo richiamato, la Corte distrettuale ha valorizzato – nella concreta nel patrimonio conoscitivo processuale, con narrazioni dettagliate e tra loro del tutto coerenti.
fattispecie – le dichiarazioni rese da COGNOME a COGNOME e COGNOME e da questi poi introdotte A sconfessare la tesi difensiva dell’unicità della fonte, Ł già sufficiente richiamare quanto affermato proprio da NOME COGNOME, il quale venne reso partecipe dei particolari dell’azione omicidiaria mentre si trovava detenuto, ma non dal solo COGNOME, bensì direttamente da COGNOME, che gli confermò espressamente di essere uno degli autori dell’omicidio. La Corte territoriale, sul punto, compie una attenta disamina della scaturigine delle varie conoscenze delle quali Ł portatore ciascun collaboratore di giustizia, escludendo qualsivoglia meccanismo di inquinamento o carenza di spontaneità delle fonti stesse.
4.5. Viene compiutamente analizzata, infine, anche la questione dei tic, ossia di quei movimenti involontari e reiterati della muscolatura del viso, dai quali risulta affetto NOME (si tratta di un tratto certamente distintivo e ulteriormente evocativo, in punto di identificazione personale, che viene ricordato da NOME COGNOME e che viene specificamente indicato da NOME COGNOME, per esserne affetto il soggetto che guidava il motociclo sul quale giunsero in loco gli assassini).
4.6. Ritiene questo Collegio, in definitiva, che l’avversata sentenza abbia dialogato motivatamente con l’insieme delle doglianze difensive, offrendo una risposta coerente e lineare, priva del pur minimo spunto di illogicità e, quindi, meritevole di restare immune da qualsivoglia stigma, in sede di legittimità.
In particolare, i Giudici di appello hanno affrontato le problematiche principali della vicenda processuale per la quale Ł processo, ossia il tema dell’altezza del killer e dell’indicazione
diversa – ad opera dei diversi dichiaranti – del modello di scooter e di pistola. Risulta congruamente approfondita, inoltre, la questione relativa all’attendibilità di ciascun collaboratore e quella inerente ai riscontri alle sue dichiarazioni, offrendosi anche argomentata risposta ad alcune distonie narrative evidenziate dalla difesa, correttamente giudicate – con valutazione di fatto non manifestamente illogica o contraddittoria e, quindi, incensurabile in sede di legittimità – scarsamente rilevanti e, comunque, non direttamente attinenti al nucleo centrale degli accadimenti narrati.
Si Ł dunque in presenza di una struttura motivazionale che – quanto ai punti toccati dai motivi in esame – non viene minimamente disarticolata dalle osservazioni contenute nelle impugnazioni, che auspicano, in realtà, una rivisitazione del merito delle dedotte questioni.
Con il terzo motivo, vengono affrontati i temi della premeditazione e dell’aggravante RAGIONE_SOCIALE, già oggetto del quinto punto del gravame.
5.1. Non esisterebbe – stando alla prospettazione difensiva – alcun elemento genuinamente dimostrativo della sussistenza della premeditazione, atteso che non si conosce con certezza quale sia il lasso di tempo intercorso, fra l’insorgere del proposito criminoso e l’attuazione dello stesso e non potendosi dar credito al racconto di alcuni collaboratori, da reputarsi poco credibili.
5.1.1. Questa Corte di legittimità ha, per il vero, piø volte espresso principi in diritto tesi a creare una netta linea di demarcazione, tra la semplice preordinazione (di un reato doloso come l’omicidio volontario, consumato o tentato) e la circostanza aggravante della premeditazione. Tale linea interpretativa – cui il Collegio presta adesione – Ł stata espressa con particolare chiarezza da Sez. 1 n. 47250 del 09/11/2011, NOME, Rv 251503 (che ha chiarito come – in tema di omicidio volontario – non rappresenti sicuro indice rivelatore della premeditazione, che si sostanzia in una deliberazione criminosa coltivata nel tempo e mai abbandonata, il mero intervallo riscontrabile tra la preparazione e l’esecuzione, sì come non possono trarsi elementi di certezza dalla predisposizione di un agguato, in quanto ciò attiene alla realizzazione del delitto e non Ł sufficiente a dimostrare l’esistenza di quel processo psicologico di intensa riflessione e di fredda determinazione, che connota la indicata circostanza aggravante), nonchØ da Sez. I n. 5147 del 14/07/2015, Scanni, Rv 266205 (secondo la quale, la mera preordinazione del delitto – intesa come apprestamento dei mezzi minimi necessari all’esecuzione, nella fase a questa ultima immediatamente precedente non Ł sufficiente ad integrare l’aggravante della premeditazione, che postula invece il radicamento e la persistenza costante, per apprezzabile lasso di tempo, nella psiche del reo del proposito omicida, del quale sono sintomi il previo studio delle occasioni ed opportunità per l’attuazione, un’adeguata organizzazione di mezzi e la predisposizione delle modalità esecutive).
In effetti, come osservato, tra le altre, da Sez. 5 n. 26406 del 11/03/2014, COGNOME, Rv 260219, spetta al giudice di merito cogliere ed apprezzare tutte le peculiarità della fattispecie concreta, posto che anche una sorta di ‘agguato’ può essere frutto di una iniziativa estemporanea accompagnata da dolo, ma non inquadrabile nei caratteri della circostanza aggravante.
5.1.2. Ad onta delle sopra riassunte deduzioni difensive, la Corte di secondo grado si Ł adeguata a tali indicazioni dell’organo nomofilattico, realizzando una logica attribuzione di peso ai numerosi elementi di valutazione e conoscenza emersi.
Con motivazione logica, dettagliata e puntuale, i Giudici di secondo grado hanno desunto la sussistenza della premeditazione, da una variegata congerie di dati probatori, di eterogenea genesi, ma tra loro collimanti alla perfezione. Si Ł così sottolineata la
pianificazione con largo anticipo della condotta, da parte degli imputati, deducendo tale fatto dalla certosina predisposizione dei dettagli esecutivi del gesto delittuoso. Al lasso temporale – un dato sicuramente già da solo bastevole, per l’attivazione di ogni forma di remora e ripensamento della già assunta determinazione e, al contrario, evocativo di una ormai sedimentata e stabile intenzione – si salda la causale stessa dell’omicidio, deciso all’interno del RAGIONE_SOCIALE, quale risposta a un precedente fatto omicidiario. In sentenza si ricorda come l’esecuzione dell’omicidio sia stata affidata, in un primo momento, a NOME COGNOME e NOME COGNOME, che avrebbero dovuto far riferimento a NOME COGNOME – all’epoca reggente del clan – al fine di ottenere il necessario supporto; solo in un secondo momento si decise di sostituire i due primi incaricati, reputati ancora non pronti per il compimento di un gesto del genere, con i due ricorrenti, i quali si fecero carico dell’organizzazione e dell’esecuzione dell’omicidio.
NØ la Corte territoriale ha mancato di sottolineare i momenti salienti della preparazione dell’assassinio, scanditi dalla attenta acquisizione di notizie, circa gli abituali movimenti della vittima, sino alla attuazione di appostamenti e sopralluoghi di tipo preparatorio e, infine, alla scelta delle armi e del veicolo da adoperare.
Sul punto, in pratica, pare a questo Collegio che vi sia stata ampia e doviziosa risposta ad ogni censura formulata dalla difesa in sede di appello, risultando le doglianze nelle quali si compendia la doglianza in esame meramente riproduttive di quelle già prospettate in sede di appello.
5.2. Quanto all’aggravante RAGIONE_SOCIALE, segnala la difesa come l’intraneità degli imputati al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE risalga ad epoca successiva, rispetto alla perpetrazione del fatto omicidiario posto in essere in danno di COGNOME; non sussisterebbe la prova, quindi, della volontà degli imputati di avvantaggiare il clan RAGIONE_SOCIALE.
5.2.1. Circa questo aspetto – di certo deducibile in sede di legittimità, stante la portata degli effetti correlati al riconoscimento di tale aggravante a effetto speciale – vanno operate talune premesse.
Il particolare incremento sanzionatorio, previsto in relazione a tale forma di manifestazione del reato, pone l’interprete nella necessità di individuare non tanto il fondamento politico-criminale della scelta legislativa (compito che può definirsi solo di ausilio, nell’opera applicativa), quanto la concreta dimensione fenomenica delle condotte descritte nella norma, allo scopo di evitare la maggior punizione di condotte in realtà estranee al modello tipizzato, oppure già altrove incriminate. Sul punto, Ł ormai pacifica la considerazione della esistenza – nell’ambito della disposizione normativa in parola – di una duplice «direzione» dei contenuti precettivi, nel senso che:
– da un lato si valorizza – in senso negativo – una particolare modalità commissiva del delitto, rappresentata dall’essersi gli agenti avvalsi delle condizioni di cui all’art. 416bis cod. pen. Tali condizioni, per dettato normativo, sono rappresentate dalla forza di intimidazione del vincolo associativo e dalla condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva tra i consociati.
Si Ł ritenuto, sul punto che tale ‘corno’ dell’aggravante incrimini essenzialmente le condotte degli associati, espressive in concreto di una maggior valenza intimidatoria, o anche dei soggetti non associati (o comunque del cui inserimento nel gruppo non vi sia prova, si veda Sez. 1 n. 33245 del 09/05/2013, COGNOME, Rv 256990 nonchØ Sez. 2 n. 38094 del 05/06/2013, COGNOME, Rv 257065) laddove venga espressamente evocata – o comunque, sfruttata in modo evidente, quale fattore di semplificazione della condotta illecita (per la correlata riduzione dei poteri di reazione della vittima) – la capacità intimidatoria di un
gruppo criminoso. In particolare, si Ł condivisibilmente affermato che, per ritenere integrata la fattispecie in parola (l’avvalersi delle condizioni) non Ł sufficiente il mero collegamento con contesti di criminalità organizzata, o la mera ‘caratura RAGIONE_SOCIALE‘ degli autori del fatto, occorrendo invece l’ effettivo utilizzo del metodo RAGIONE_SOCIALE e, dunque, l’impiego della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo (in tal senso, tra le altre, Sez. 2 n. 28861 del 14/06/2013, Orobello, Rv 256740 e Sez. 6 n. 27666 del 04/07/2011,COGNOME, Rv 250357; ritiene tuttavia possibile l’utilizzo implicito della forza di intimidazione Sez. 2 n. 37516 del 11/06/2013, COGNOME, rv 256659);
– dall’altro lato la previsione di legge incrementa la connotazione di gravità della condotta, laddove la stessa sia stata commessa al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste nel medesimo art. 416bis cod. pen. Si richiede, pertanto, sia una particolare consistenza e direzione dell’elemento volitivo ( cosciente e univoca finalizzazione agevolatrice del RAGIONE_SOCIALE , come ritenuto da Sez. 6, n. 31437 del 12/07/2012, Messina, Rv. 253218) che una concreta strumentalità del reato commesso rispetto alle finalità perseguite dal gruppo criminoso di riferimento (che in tal caso deve essere individuato, secondo quanto precisato da Sez. 2, n. 41003 del 20/09/2013, COGNOME, Rv 257240). L’aggravante della c.d. modalità RAGIONE_SOCIALE prescinde dalla consapevolezza o meno di agevolare un’RAGIONE_SOCIALE o un clan e anzi neanche presuppone che l’RAGIONE_SOCIALE in effetti esista (Sez. 2, n. 36431 del 02/07/2019, COGNOME, Rv. 277033; Sez. 2, n. 27548 del 17/05/2019, COGNOME, Rv. 276109).In questo caso, l’aggravante ha natura oggettiva e sussiste per il solo fatto che l’agente abbia fatto ricorso a modalità riferibili alla criminalità organizzata. Modalità che, anche per il contesto sociale e geografico nel quale si collocano i fatti, occorre che sia significativa di un modo di agire e operare che Ł tipico delle associazioni mafiose e, per la riferibilità ad affiliati, abbia una forza intimidatoria eccezionale, ossia proprio ciò che l’aggravante ha lo scopo di sanzionare.
5.2.2. Nella concreta fattispecie, l’aggravante ex art. 416bis .1 cod. pen. Ł contestata esclusivamente secondo la declinazione della finalità di avvantaggiare il RAGIONE_SOCIALE di mafia. Nel ricostruire tale versante della questione, la Corte ricorda come numerosi collaboratori di giustizia, affiliati all’organizzazione RAGIONE_SOCIALE denominata RAGIONE_SOCIALE, abbiano delineato l’omicidio di NOME COGNOME quale risposta del clan stesso all’assassinio di NOME COGNOME detto ‘NOME, esponente del medesimo RAGIONE_SOCIALE; l’omicidio di COGNOME, infatti, era avvenuto per mano di soggetti organici all’RAGIONE_SOCIALE (a sua volta, COGNOME era stato assassinato, per aver danneggiato un esercizio commerciale controllato da tale gruppo).
Confrontandosi con l’ulteriore profilo di critica dipanato dalla difesa, ossia la posteriorità rispetto all’omicidio COGNOME – dell’ingresso di COGNOME e COGNOME nella suddetta RAGIONE_SOCIALE malavitosa, la sentenza impugnata ha evidenziato come COGNOME e COGNOME siano stati poi condannati per i delitti di partecipazione ad RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e ad RAGIONE_SOCIALE finalizzata al traffico di sostanza stupefacente, oltre che di estorsione con aggravante RAGIONE_SOCIALE. Trattasi di un elemento che la Corte territoriale – del tutto correttamente – ha reputato essere rilevante nell’ottica inerente alla verifica in ordine alla sussistenza della finalità RAGIONE_SOCIALE, pur trattandosi di fatti temporalmente collocati in epoca susseguente, rispetto all’omicidio. A ciò va infatti a saldarsi, conclude la Corte di assise di appello, la descrizione fornita da tutti i collaboratori di giustizia ascoltati, i quali hanno concordemente indicati gli imputati, quali soggetti già affiliati – all’epoca dell’omicidio COGNOME – al clan COGNOME/COGNOME,.
La struttura motivazionale adottata dalla Corte territoriale Ł lineare e priva di spunti di
contraddittorietà e non viene minimamente disarticolata dalle deduzioni difensive, che sono – anche sul punto specifico – aspecifiche e reiterative.
Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone il rigetto dei ricorsi; segue ex lege la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così Ł deciso, 03/10/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME